Giuseppe Russo
Avanti.it
Alle elezioni regionali del Friuli-Venezia Giulia, tenutesi com’è ormai prassi in due giorni, ancora una volta la coalizione “vincitrice” è stata quella degli astensionisti. Si è recato infatti alle urne solo il 45% degli aventi diritto, e in nessuna circoscrizione ha partecipato la maggioranza degli elettori: si va dal 40% e poco più di Trieste al 49% scarso di Udine, dove però a far da traino c’era anche l’elezione del sindaco del comune capoluogo. Già alle regionali del 2018 l’asticella dell’affluenza si era fermata pochi punti decimali sotto la soglia “psicologica” del 50%, ma alle politiche del settembre scorso avevano preso parte i due terzi dei cittadini: rispetto ad allora, sono rimasti a casa in 200000.
Ciò premesso, lo scrutinio delle schede ha premiato oltre ogni previsione il presidente uscente, il leghista Massimiliano Fedriga, che ha più che doppiato il suo antagonista della coalizione “progressista” Massimiliano Moretuzzo. Nella regione che dal 1998 ha sempre visto l’alternanza fra le due principali aggregazioni politiche, per la prima volta viene riconfermato il governatore uscente, mentre il centrosinistra, che aveva guidato il Friuli – Venezia Giulia con l’industriale Riccardo Illy dal 1998 al 2003 e con la turboburocrate piddina Debora Serracchiani dal 2013 al 2018, quasi si eclissa. Moretuzzo ottiene infatti 139000 voti, pari al 28,4% (anche se la stampa “amica” continua ad attribuirgli il 30), mentre Fedriga dilaga con oltre il 64%, corrispondente a quasi 315000 schede. Ragionando, com’è nostra abitudine, sui numeri assoluti piuttosto che sulle percentuali, Fedriga ha da un lato guadagnato appena 8000 voti rispetto alle precedenti regionali (che lo avevano visto trionfare con il 57% e 30 punti di distacco dati al piddino Bolzonello), e dall’altro ha ottenuto 20000 suffragi in più rispetto a quelli riscossi dal centrodestra alle politiche di settembre, quando l’affluenza era stata molto più alta. Per il “campo largo” a trazione piddina, invece, che si è presentato nella sua versione più “radicale”, con il Movimento 5 Stelle e la solita macedonia di sinistre e sinistri ma senza i centristi di Renzi e Calenda (ai quali è toccata un’altra umiliazione), è stata una disfatta sotto tutti i punti di vista. Rispetto alla somma di centrosinistra e 5 Stelle alle recenti politiche i voti lasciati per strada sono 65000, rispetto alle regionali del 2018 sono 45000. Non c’è stato alcun “effetto-Schlein”, anzi: nel voto di lista, il Partito Democratico perde 43000 schede in relazione al risultato di settembre (per metà recuperate dalla lista civica di Moretuzzo) e 11000 rispetto a quello di cinque anni fa. Ancora peggio è andata alle truppe di Giuseppe Conte: il Movimento 5 Stelle ha preso meno di 10000 voti, pari a un quarto di quelli presi alle politiche e a un sesto di quelli che portò a casa il suo candidato presidente Alessandro Fraleoni Morgera nel 2018. Fra le liste della coalizione vincente, si assiste invece ad un cambiamento dei rapporti di forza, con un robusto travaso di consensi da Fratelli d’Italia alla Lega, che s’è presentata di fatto sdoppiata: a fianco del tradizionale Carroccio, infatti, ha corso la “lista Fedriga”, e insieme hanno ottenuto 145000 voti, con la Lega primo partito della regione. Alle politiche dell’anno scorso i meloniani avevano fatto il botto, in quella terra di confine che da sempre riveste un alto valore simbolico per il postfascismo, ottenendo 185000 suffragi; alle regionali di quest’anno se ne sono accaparrati meno della metà, 71000. La Lega ha portato a casa 10000 voti in più rispetto alle politiche (che salgono a 80000 se si considera la lista Fedriga), perdendone però oltre 70000 se si fa il confronto con le trionfali regionali del 2018, quando però la lista Fedriga non c’era. Fra le altre formazioni, ottengono seggi nel consiglio regionale Forza Italia, che galleggia sul filo della sua agonia con il 7% scarso e tre consiglieri, l’Alleanza Verdi e Sinistra appena desoumahoroizzata (il 2% e un seggio), la lista “Open Sinistra FVG” dell’ex sindaco di Udine Furio Honsell (1,5% e un rappresentante) e la Slovenska Skupnost, lo storico partito di riferimento della minoranza slovena al quale è riservato per legge almeno uno scranno a patto che raggiunga l’un per cento dei voti validi (soglia superata di una manciata di schede). Per un capriccio dell’aritmetica elettorale, il gruppo più rappresentato sarà quello del PD con dieci consiglieri, ai quali vanno aggiunti i quattro della lista Moretuzzo, mentre nel centrodestra la Lega ne ottiene nove e Fratelli d’Italia e la lista Fedriga otto a testa. Restano fuori dal palazzo, non avendo superato lo sbarramento del 4% previsto per le liste non coalizzate, i calendo-renziani (che avevano incorporato per l’occasione anche i rottami di +Europa) ed Insieme Liberi, la compagine che ha messo insieme diversi movimenti di opposizione al Green Pass ed al draghismo che si erano presentati divisi alle ultime elezioni politiche. Azione – Italia Viva naufraga con 10000 voti (2500 in più ne ha presi il suo candidato presidente, l’ex PCI Alessandro Maran), pari al 2,7%; sei mesi fa ne aveva ottenuti 50000. Questo disastro giunge a meno di due mesi fa da quello maturato in Lombardia, dove su Letizia Moratti i fautori del “macronismo all’italina” s’erano giocati tutto, e a poche ore dall’annuncio di Renzi, che a margine della maratona di Milano di domenica scorsa (pare abbia stabilito il suo primato personale), ha detto di volersi prendere una pausa dalla politica (“per studiare”). Insomma, nonostante i proclami di Calenda, che continua a perorare la causa dell’unificazione fra i due pseudopartiti, quest’ultima esperienza “grandecentrista” sembra giunta al capolinea. Insieme Liberi, dal canto suo, presentata dalla stampa come “lista No Vax”, ha sfiorato l’elezione di un consigliere con il 3,98%: sarebbero stati necessari altri 86 voti. A rendere il risultato ancora più beffardo, il fatto che la sua candidata alla presidenza Giorgia Tripoli abbia preso ben 7000 voti in più rispetto alla lista. Insieme Liberi viene penalizzata anche dall’assenza del contrassegno nella circoscrizione di Tolmezzo, e vede sfumare un traguardo che sembrava a portata di mano nella regione che era stata più generosa verso le liste “antisistema” alle elezioni politiche di settembre; allora, i voti delle diverse formazioni, che correvano l’un contro l’altra armate, erano stati più di 40000; alle regionali del 2 e 3 aprile, al termine di un processo unitario che aveva coinvolto quasi tutti, i suffragi racimolati sono appena 15000.
Con questo trionfo, Massimiliano Fedriga si accredita come leghista “buono” e telegenico, un anti-Salvini che si accomoda sulla riva del fiume al fianco di Zaia in attesa di vedere il cadavere politico dell’uomo del Papeete.trasportato dalla corrente. Buona parte di questa “rispettabilità” se l’è costruita all’epoca del Covid, quando fu promotore della linea dura contro i renitenti al vaccino e venne addirittura messo sotto scorta per le minacce ricevute. Fedriga rappresenta l’ala “nordista” e pragmatica della Lega, quella disposta a mollare tutte le battaglie “ideologiche” per tutelare gli schei della tradizionale base imprenditoriale padana, che è stata parecchio trascurata negli ultimi anni in virtù delle ambizioni “nazionali” del segretario. L’asse Zaia – Fedriga, insomma, sta per sfilare il partito al Capitone, dal quale ci si aspetta un ultimo guizzo. Tutto questo mentre il governo naviga a vista e già si predispongono le Grandi Manovre.
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