Durante tutta la sciagurata storia della Seconda Repubblica, il “Grande Centro” è stato il fantasma politico per eccellenza. Esso prende ad aleggiare all’indomani del 18 gennaio 1994, quando Mino Martinazzoli stacca la spina alla moribonda Democrazia Cristiana e la rifonda come Partito Popolare Italiano, ispirandosi all’originaria formazione sturziana di 75 anni prima. Per i primi ruspanti anni questo fantasma ha infestato aule parlamentari e redazioni giornalistiche avvolto nel lenzuolo della più candida nostalgia: i tentativi di “rifondare la DC” son stati innumerevoli, portati avanti perlopiù da rancorosi ex sottosegretari rovinati dagli effetti avversi di Tangentopoli. Patetiche, farsesche e brancaleonesche, solo poche fra queste iniziative rientrano nella storia della politica; la maggioranza di esse rientra nella storia del folklore. Ultima in ordine di tempo la “Democrazia Cristiana Nuova” del redivivo Totò Cuffaro, reduce da travolgenti successi alle recenti elezioni comunali in Sicilia. Se non altro, l’uomo già noto come “vasa-vasa” si sta divertendo un mondo.
Mentre s’eclissava il centro politico, andava prendendo piede quel centro “tecnocratico” che avrebbe svolto un ruolo cruciale nel travagliato parto della Seconda Repubblica: sono ascrivibili a quest’area uomini come Maccanico, Amato, Ciampi. “Moderni” e postideologici, è a loro che si deve, nella vulgata ufficiale, il salvataggio dell’Italia durante il tempestoso biennio ’92-93, ed è a loro che bisogna dire grazie per il tanto agognato “ingresso in Europa”. L’anglofilia è la cifra che li caratterizza: reduci da studi e dottorati in prestigiose università in lingua inglese, costoro ricevono il mandato di governare l’Italia durante la celebre “crociera” sul panfilo Britannia nel giugno 1992. Questo “nuovo centro” che non ha bisogno di passare dalle elezioni per esercitare il suo potere saprà incistarsi sia nei governi di “destra” che in quelli di “sinistra”, passando attraverso le due apoteosi “tecniche” dei governi Dini nel 1995 e Monti nel 2012. Mario Draghi è solo l’ultimo esponente di questa congrega: del resto, c’era anche lui sul famigerato Britannia.
È capitato, in verità, che questo centro più o meno grande e più o meno nuovo si sottoponesse al giudizio dei cittadini: alle elezioni politiche del 2013 Mario Monti, primo ministro uscente dopo il colpo di mano che aveva spodestato Berlusconi a colpi di spread, decise di “scendere in campo” con la sua neonata formazione “Scelta Civica”, alla quale si aggregarono gli “scissionisti” che avevano determinato la fine del governo berlusconiano, ovvero gli ultimi reduci del nostalgismo democristiano (quell’UDC allora ancora guidata da Pier Ferdinando Casini) e i prematuramente scomparsi “finiani” di Futuro per l’Italia. In quell’occasione maturò compiutamente il connubio fra i “vecchi” centristi provenienti dai ranghi dei vecchi partiti, e i “nuovi” centristi provenienti dalle banche d’affari, dagli organismi internazionali, dall’alta burocrazia statale. Ai primi era demandata la “bassa” politica, la raccolta del voto minuto e clientelare, gli enti locali; ai secondi le leve del governo e l’onore di essere celebrati da tutte le gazzette, con la certezza di poter riprendere un domani la carriera congelata in base al collaudato sistema delle “porte girevoli”. A far da collante a questo piccolo Grande Centro la cosiddetta “Agenda Monti”, ovvero l’articolato piano di macelleria sociale e di svendita del paese che era stato alla base dell’azione di governo montiana. Nonostante la sovraesposizione televisiva ed i disperati tentativi di “umanizzare” il tecnocrate di ghiaccio (gli venne persino regalato un cane a onor di telecamere), appena tre milioni e mezzo di italiani, poco più del 10%, votarono per la coalizione “Con Monti per l’Italia”, i cui parlamentari risulteranno comunque determinanti nella formazione della maggioranza che darà vita al governo di Enrico Letta. Pure la promettente “Scelta Civica” si squaglierà poi indegnamente come tutti gli altri “grandi centri” che l’avevano preceduta, dilaniata da scissioni e controscissioni: alle europee del 2014 i montiani orfani di Monti prenderanno lo 0,7%, alle elezioni del 2018, assieme a Denis Verdini e al PRI, lo 0,06%. Ad ogni modo, questo tentativo, audace ma prematuro, di nuovo Grande Centro permise se non altro di svezzare alcuni puledri di razza tecnocratica che avrebbero fatto parlar di sé negli anni a venire, su tutti Carlo Calenda.
Nel dicembre scorso, sei mesi prima della svolta postpopulista del figliol prodigo neocentrista Luigi Di Maio, un vecchio feticista delle alchimie centristiche come Clemente Mastella riuniva al Brancaccio di Roma alcuni “amici”, come si usa dire fra democristiani, per presentare la sua ultima creatura politica, il movimento nDC (noi Di Centro), con il quale aveva già conquistato il municipio di Benevento. Fra gli “amici” presenti, Ettore Rosato di Italia Viva e Gaetano Quagliariello di Coraggio Italia, due interlocutori sulla strada che porta verso quella che il visionario uomo di Ceppaloni delineava come una “Margherita 2.0”, riedizione dell’aggregazione rutellian-democristiana del 2001. Alludendo alle immense praterie centriste, così si esprimeva Mastella: Noi dobbiamo recuperare questo spazio. Noi saremo i terrapiattisti del centro, nella considerazione generale, perché crediamo a un’idea che sembra sfocata, ma per noi c’è, affidandosi poi, per scaldare i cuori dei presenti, al misticismo delle Crociate: Supereremo il mare a piedi asciutti in virtù della fede: noi abbiamo fede nel centro. Più prosaicamente, questo Grande Centro in embrione avrebbe dovuto trovare spazio incuneandosi fra una destra “sovravvarica di sovranismo” ed un PD che sarebbe addirittura “troppo stravaccato a sinistra”. Si tratta dell’ennesima riproposizione del refrain che ha accompagnato gli anni del “bipolarismo muscolare” della Seconda Repubblica, la stessa illusione sulla quale si sono giocati la reputazione legioni di demosauri trapassati o incanutiti, fra i quali, e più volte, lo stesso Mastella con le sue UDR e UDEUR. La realtà è che questo fantomatico “Centro”, non luogo per eccellenza della politica, essendo ubiquo, non ha bisogno di un soggetto “autonomo” per manifestarsi: tutti gli schieramenti sono già da tempo caratterizzati da una “corsa al centro” che significa accettazione incondizionata dei dogmi atlantisti, europeisti, liberisti e sanitaristi da un lato, promozione di figure “tecniche” nelle cariche politiche dall’altro. Una sublimazione di questo stato di cose si è avuta in Francia con l’ascesa di Macron e l’edificazione, sulle rovine del vecchio bipolarismo decotto, di un nuovo assetto politico più funzionale alla “governabilità” nell’era dei “populismi”. L’ambizione di esportare tale modello in Italia titilla da quel dì i sogni di una parte rilevante delle élite: tutto sta a trovare l’uomo (o meglio ancora la donna) giusto: un “Macron italiano” che sappia conquistare le masse come gli algidi Monti e Draghi mai riusciranno a fare. Gli autocandidati alla parte sono numerosissimi: se appartengono ormai al passato remoto i vari Passera e Montezemolo, Renzi continua a vagheggiare d’esser lui l’uomo della Provvidenza, mentre Calenda, ebbro di spocchia pariolina, si muove come se fosse già investito della sacra missione. La platea dei contendenti si allarga ora a Giggino di Maio, il nuovo campione del centrismo: come il ministro degli esteri ha avuto occasione di precisare, il suo “Insieme per il Futuro” è solo l’incubatrice di qualcosa di “più grande”.
Questo grandissimo, smisurato, incommensurabile Centro avrebbe l’ambizione di tenere insieme il Giglio magico di Renzi e i pomiglianesi d’assalto di Di Maio, le truppe mastellate e quelle calendiane (per il momento recalcitranti), il “progressista” Sala ed il “conservatore” Toti, la tecnocrazia ed il clientelismo. Il nascente soggetto si candida ad essere la più affidabile agenzia di reclutamento di maggiordomi presente sulla piazza, spodestando negli indici di gradimento dei “mercati” il “troppo stravaccato a sinistra” PD. Ad avere l’ambizione di salire su questo carrozzone sarebbero, allo stato attuale delle cose, i seguenti “partiti” e “movimenti” (elenco in continuo aggiornamento): Alternativa Popolare, Cambiamo!, Centro Democratico, Coraggio Italia, Democrazia Cristiana Nuova, Democrazia Liberale, Democrazia Solidale, FARE!, Insieme per il Futuro, Italia Viva, MAIE, Mezzogiorno Federato, Noi di Centro, Noi con l’Italia, Nuovo CDU, Partito Liberale Europeo, UDC, Verde è Popolare, Vinciamo Italia.
Il Grande Centro è una cagata pazzesca.
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