Riccardo Giordano
Avanti.it
Immaginiamo di star guardando un bellissimo tramonto estivo: il cielo infuocato di rosso, il disco solare che dolcemente viene inghiottito dalle acque del mare, la pace e la quiete dell’istante che separa il giorno dalla notte, quando l’intensità dell’esperienza sensibile lascia il posto all’accendersi dell’intuizione interiore.
Siamo rapiti da questa incantevole visione; un’emozione potente si accende nell’anima e la esalta, dando vita a tutta una serie di immagini, di ricordi, di esperienze vissute… fino ad avere quasi l’impressione di entrare in una dimensione invisibile, dove significati profondi e arcani si impongono alla coscienza.
Nel momento in cui ci immergiamo in questa immagine, infatti, essa suscita in noi una profonda emozione: l’emozione non è altro che una forza che, servendosi dell’immaginazione, assume delle forme seducenti; e queste incantano la coscienza, la addormentano, conducendola sulla soglia di un mondo fantastico.
La coscienza, in questi casi, ha spesso l’impressione di essere sul punto di capire qualcosa, che tuttavia non riesce mai ad afferrare con chiarezza. Essa rimane in balia di questa forza, che non è in grado di conoscere e padroneggiare.
Tutto questo accade perché la coscienza non è capace di mantenersi desta nella sfera del sentire: ovvero, essa non è capace di rimanere neutra nell’emozione: questo stato di neutralità, da ricercare, non significa non provare emozioni.
C’è infatti una differenza profonda tra “emozione” e “sentire”. L’emozione è una forza che travolge la coscienza, la afferra, ed essa è talmente presa a godere – quasi a soffrire – da dimenticarsi di sé. E dimenticandosi di sé, non è capace di penetrare e conoscere che cosa quella esperienza, quella forza che si manifesta nell’emozione, veramente le vuole comunicare.
Ecco allora che lo scopo deve essere quello di raggiungere uno stato di neutralità cosciente: uno stato in cui la coscienza rimanga una spettatrice e “osservi” le emozioni – che non vuol dire non provare emozioni, non è l’impassibilità comunemente intesa, bensì è la capacità di osservare l’emozione per ciò che essa realmente è: una forza. Solo nel momento in cui sono capace di far questo, solo allora posso riuscire a conoscere “che cosa” quella forza vuole realmente insegnarmi, che cosa l’emozione vuole rivelarmi.
Quale forza dell’anima, cioè, essa rappresenta, e ce la presenta affinché l’anima impari a riconoscerla e integrarla dentro di sé. Questo è dunque il compito.
Come già detto, il fallimento avviene proprio perché la nostra coscienza non sa rimanere neutra nella sfera del sentire, ma si lascia coinvolgere e trascinare. Allora, il sentire diventa emozione, laddove appunto tiranneggia la coscienza, la porta oltre… essa è talmente presa a godere, a sentire, che di fatto non c’è più: la coscienza viene meno. Invece, se la coscienza riuscisse a distaccarsi, intendendo qui come separarsi dall’emozione, riuscirebbe in quel modo a ricordarsi di sé.
Questo non vuol dire, ripetiamo, non provare più emozioni; al contrario, vuol dire riuscire a sentire, sperimentare un’emozione per ciò che essa realmente è. A quel punto, è possibile comprendere come essa ci si rivela quale facoltà dell’anima, consegnando all’uomo una possibilità di conoscenza.
Tornando all’immagine del sole al tramonto, un uomo che sia riuscito a sperimentare questo stato di neutralità, può allora comprendere realmente che cosa quel tramonto vuole insegnargli: il mistero, cioè, che gli alchimisti racchiudono nell’immagine della Rubedo.
L’opera per mezzo della quale il sole, rinato dopo la Nigredo della notte, torna a immergersi e si congiunge con le profondità della terra; e quindi il mistero del sangue, dove la forza dello spirito si viene a raccogliere e a condensare, come in un magnete: l’elemento spirituale entra quindi nella dimensione fisica.
Rievochiamo l’immagine dell’Uroboro: un’immagine alchemica, un serpente che si morde la coda. Ma chi sono il serpente e la coda? Essi sono il soggetto che guarda, e l’oggetto che è guardato. Dunque, da un punto di vista metafisico, cosa può comprendere l’uomo quando la sua coscienza rimane desta nelle profondità della percezione dei sensi? L’uomo non percepisce più i sensi come una porta d’ingresso attraverso cui il mondo entra dentro di lui; piuttosto sperimenta che i sensi sono la via, la porta attraverso cui la luce della coscienza si immerge nel mondo.
Quando entra nel cosmo la coscienza si accorge che in realtà il cosmo è se stessa, è il mistero della propria anima. Entrando in questa percezione sensibile, in qualche modo la smaterializza, la libera, e la restituisce alla sua antica visione, che non può essere più ricercata emotivamente, in un senso romantico, come il ricordo di qualcosa che fu. Ma deve essere ricostruita da un punto di vista scientifico: la coscienza entra nella percezione sensibile, e così facendo smaterializza la realtà, restituendola alla sua antica realtà di natura vivente, percependola come un cosmo animato da potenze spirituali. Così si arriva a vivere pienamente quello stato di cui le emozioni sono solo una vaga reminiscenza.
Non esiste altro modo attraverso cui la coscienza possa sperimentare questa natura vivente: non può essere più solo il ricordo di un tempo che fu, che aleggia nell’anima come sentimento, come emotività a cui non corrisponde una reale acquisizione di potere, una reale conquista di consapevolezza e di forza.
Resterebbe una mera emozione e, come si è detto, l’emozione non è nulla se non una proiezione fantastica di una realtà che non si è capaci di possedere e conoscere. Quando invece si immerge nella profonda realtà sensibile, in quel momento l’anima sperimenta totalmente e pienamente se stessa. Si accorge di essere dentro di sé. Attraverso i sensi, la coscienza si immerge e si libera, e non ha più bisogno di vivere le esperienze come fossero immagini del passato.
In questo modo, il materialismo può essere superato, redento, dalla forza della coscienza che ha imparato a percepire lo Spirito non più come emotività, ricordo sentimentale, ma come forza di integrazione della coscienza. Una forza che ha in sé un carattere di impersonalità.
Che potrà, magari, non essere particolarmente coinvolgente per l’animo mistico.
In copertina: John Singer Sargent, Atlantic Sunset, 1877
Francesco dice
Bellissimi i tuoi articoli