L’alternanza dei governi, totem delle democrazie occidentali, è pura impostura: non sono previste deviazioni dalla rotta tracciata dal Pilota Automatico. Lo sta toccando con mano in questi giorni Giorgia Meloni, ma tanto lo sapeva già: se non avesse fatto i compiti a casa, non sarebbe dove si trova adesso. Il suo governo, dopo aver dato innumerevoli prove di “affidabilità” sul fronte ucraino, è chiamato a fare lo stesso su quello dell’immigrazione. Per fare un po’ di ammuina a beneficio del popolaccio che l’aveva appena votata, la melonessa aveva mostrato i muscoli producendo a fine dicembre il cosiddetto “decreto Ong”, in virtù del quale si prevedevano multe e sequestri per le navi “umanitarie”, riportando in auge norme già previste dai “decreti Minniti” del 2017. Da allora, stando ai numeri forniti dallo stesso Viminale, gli sbarchi di migranti irregolari sono aumentati esponenzialmente: confrontando il primo trimestre dell’anno scorso con il periodo corrispondente del 2023 (ancora non ultimato, peraltro), si passa da quasi 6000 a quasi 18000 persone sbarcate sulle coste italiane. In proiezione, si potrebbe raggiungere quota 200000 a fine anno, polverizzando ogni primato. Su tutto questo, la tragedia (annunciata) di Cutro è giunta a dare gli ultimi colpi alla credibilità del governo sulla questione. La “scoperta” di un nuovo tragitto migratorio, l’impossibilità di presidiare gli 8000 km di costa, il conflitto fra organi dello Stato, la strafottente “disobbedienza” delle navi Ong…tutto ha fatto brodo nel determinare questa crisi. Il processo mediatico contro il “governo assassino” è stato poi alimentato da autentici capolavori di autolesionismo, spettacolari autogol degni del miglior Salvini: le parole di Piantedosi sui migranti che mettono a rischio i figli, la Meloni che va in Calabria e non si abbassa ad onorare le bare dei naufraghi (per fortuna “la dignità italiana è stata salvata da Mattarella” e cose del genere), la festa (“a sorpresa”) per i cinquant’anni dello stesso Salvini con il capolavoro dei capolavori, la prodezza assoluta, il documento che rappresenterà uno spartiacque nella storia del teatrino politico. Il capitone e la melonessa che cantano La canzone di Marinella in un tragicomico, fantozziano e tafazziano karaoke segna l’inizio di una nuova era della comunicazione politica. Il celeberrimo Papeete ne era stato solo l’antipasto. I membri del governo si sono docilmente fatti mettere alla gogna, recitando fino in fondo la parte dei cinici coattoni che sarebbe stata loro riservata in un film di Nanni Moretti. È lo spettacolo che si evolve, caratterizzando le maschere in senso macchiettistico: dall’altra parte del naufragio, pure Elly Schlein sta producendo una “svolta” comunicativa che sa tanto di autoparodia. Proprio nel momento in cui i “diversi” schieramenti politici perseguono la stessa linea obbligata sulle cose che contano davvero, cioè guerra, transizione ecologica e demolizione dell’economia italiana (così come ieri si erano trovati allineati nelle politiche sanitarie), si enfatizzano i caratteri “opposti” delle nuove marionette. Sull’immigrazione, la Meloni pensava di ripetere il modello-Salvini: chiacchiere e distintivi per stare a galla nei sondaggi, accordi farlocchi coi libici, nuovi trattati europei che non avrebbe rispettato nessuno. Nella realtà gli sbarchi sarebbero continuati e la “macchina dell’accoglienza” avrebbe continuato a produrre fatturato. Fino a ieri ci si poteva permettere qualche simbolica, veniale “deviazione”, se non altro sul piano narrativo; oggi, quelli che controllano il Pilota Automatico hanno fatto sapere che non sarà più tollerata la minima smagliatura. E così, se vorrà restare sullo scranno che con tanta ostinazione s’è conquistata, Giorgia Meloni dovrà pagare dazio e rimangiarsi tutto anche sull’immigrazione, come del resto ha già fatto nel recente passato su altre faccende controverse. Il potere, com’è risaputo, logora chi ce l’ha e chi non ce l’ha; l’impotenza del potere, se possibile, logora ancora di più.
GR
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