Il bello della democrazia è che è il regno della pura forma: fra prassi, procedure, commi e codicilli resta poco spazio per quella “volontà popolare” in nome della quale è stato messo in piedi tutto l’ambaradan. I recenti fatti francesi lo dimostrano ancora una volta: Macron ha prima aggirato il voto parlamentare ricorrendo al controverso articolo 49.3 della costituzione (che venne introdotto nel 1958 per tutelare, nell’assetto semipresidenziale che s’è data la Francia da allora, i governi di minoranza qual è quello della macronista Élisabeth Borne), “vincendo” poi nella stessa Assemblea nazionale nel momento in cui le mozioni di sfiducia presentate dalle opposizioni sono state respinte, una delle quali per una manciata di voti. A fare da ago della bilancia sono stati i deputati dei Républicains, la formazione di centro-destra erede della tradizione gollista che, pur non facendo parte organicamente della maggioranza di governo, ha più volte tolto le castagne dal fuoco ai macronisti, che dispongono di 250 seggi su 577. Nei giorni che hanno preceduto la decisiva votazione parlamentare, diversi esponenti dei Républicains sono stati presi di mira dagli oppositori della riforma, e non solo nell’ambito virtuale. Il loro presidente Éric Ciotti, fautore della linea filogovernativa, ha visto un paio di vetrine del suo ufficio di Nizza distrutte a sassate nella notte fra sabato e domenica scorsa. Alla resa dei conti, sarebbe questo l’episodio più “violento” prodotto dai “discepoli del Terrore” come li ha definiti lo stesso Ciotti, richiamando quel cruento periodo della storia francese in cui c’era Robespierre al potere e le ghigliottine funzionavano a pieno regime. Questi “estremisti violenti” che “minacciano la democrazia”, infatti, hanno tutt’al più prodotto azioni come disegnare un impiccato sulla porta dell’ “atelier legislativo” del deputato macronista Guillaume Gouffier Valente a Vincennes, nella Valle della Marna (il povero Gouffier Valente, che è un ex socialista, ha dichiarato che ce l’hanno con lui dal 2020), “danneggiare” la vetrata dell’ufficio della senatrice “centrista” Amel Gacquerre a Béthune, nel Pas-de-Calais, con la scritta “Fuck 49.3” e qualche decina di post-it, “intimidire” la deputata ed ex ministra del lavoro Brigitte Klinkert attraverso un’altra scritta che, democraticamente parlando, fa quasi tenerezza: “votate contro di noi, ce ne ricorderemo” (la procura di Colmar, in Alsazia, ha subito avviato un’indagine per “intimidazione di un funzionario eletto”). Più che altro, i “discepoli del Terrore” si sono sfogati su internet: all’eurodeputata repubblicana Agnès Evren è pervenuta una ghigliottina in pixel con circostanziate minacce di morte (e ghigliottina si assicura nello stesso messaggio pure al suo capo Ciotti), mentre alla deputata dello stesso partito Frédérique Meunier la casella della posta elettronica è stata intasata da migliaia di missive contro la riforma. Quest’ultima, poverella, s’è dichiarata vittima di “molestie informatiche” e di “tentativi di manipolazione”, affermando inoltre: “Abbiamo l’impressione che domani ci decapiteranno”. A mano, invece, sarebbe stata scritta la “lettera assolutamente spregevole” ricevuta dalla presidente dell’Assemblea nazionale Yaël Braun-Pivet, altra ex socialista convertita al macronismo. Più originali le iniziative prese ai danni di due senatori del dipartimento dell’Alta Loira, Alain Cigolotti e Laurent Duplomb, ai quali è stata interrotta la fornitura di energia elettrica per qualche ora. La stessa sorte è capitata, qualche centinaio di chilometri a Nord-Est, in Lorena, ad un’altra senatrice che già dal nome evoca foschi scenari: Véronique Guillotin (pare non sia discendente di Joseph-Ignace Guillotin, l’uomo che diede il nome al celebre strumento di morte). Mentre montano le minacce a salve, la classe politica e l’apparato massmediatico fanno quadrato per “difendere la democrazia”. I deputati e senatori “sotto attacco” vengono trasformati in martiri democratici. Un paio di loro hanno già ottenuto una scorta e Aurore Bergé. capogruppo del partito macronista Renaissance all’Assemblea nazionale, ha chiesto al ministro dell’Interno Darmanin di “mobilitare i servizi statali” per proteggere i parlamentari.”intimiditi”. Tutto questo, a lungo andare, funziona: consapevoli che le loro teste resteranno salde al loro posto, gli impiegatucci del Potere costretti, per contratto, a mettere la faccia sulla riforma delle pensioni, corrono pure il rischio di essere ricordati come “gli eroi che non piegarono la testa davanti al Nuovo Terrore”. Guardando alla storia francese degli ultimi tre turbolenti secoli, e giusto per citare i due casi più significativi, dopo il Terrore di Robespierre ci furono prima il bonapartismo e poi il ritorno dell’Ancien Régime, dopo il tanto celebrato “maggio francese” del ’68 ci fu la restaurazione gollista (quella di Perché avete votato ancora/ La sicurezza, la disciplina della Canzone del maggio di De André). A differenza del passato, nella Francia vecchia e ingobbita di oggi non ci saranno ghigliottine, l’entusiasmo andrà trasformandosi in sorda rassegnazione, l’appoggio di massa alla protesta scemerà davanti ai talk show e alle pompe di benzina chiuse, i manganelli colpiranno duro gli ultimi giapponesi di una rivolta spuntata, nuove leggi “speciali” approvate dagli eroi di cui sopra garantiranno lunghi soggiorni nelle patrie galere ai sobillatori. Negli altri secoli si assaltavano commissariati e si espugnavano prigioni, in questo secolo una vetrina sfondata è già un atto terroristico. La violenza politica è un tabù assoluto in Occidente. A meno che ad esercitarla non sia il Potere.
GR
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