Giuseppe Russo
Avanti.it
Lo scorso 15 giugno, all’indomani del fallimentare referendum e del primo turno delle elezioni amministrative, mentre il governo Draghi godeva, almeno in apparenza, di ottima salute, la Commissione Affari Istituzionali della Camera approvava un emendamento al Decreto Legge 41/2022 in virtù del quale venivano disposte delle deroghe per le successive elezioni (allora ancora di là da venire) rispetto alle firme da raccogliere.
Un’interpretazione scrupolosa della legge elettorale avrebbe infatti consentito il privilegio di presentarsi senza raccolta firme ai soli gruppi parlamentari esistenti, in entrambe le camere, sin dall’inizio della legislatura: Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. In verità, è prassi consolidata che, nell’imminenza di ogni appuntamento con le urne, le regole vengano ritoccate, smussate, reinterpretate a beneficio di questa o quella forza politica. Alle recenti amministrative, per rendere l’idea, la quantità di firme da raccogliere era stata ridotta ad un terzo di ciò che prevedeva la normativa, e questo non per incentivare in astratto la partecipazione, ma per consentire la presentazione del maggior numero possibile di improbabili liste “civiche” che avrebbero rimpolpato le coalizioni messe su dai partiti maggiori. Questa consuetudine si è riproposta anche con l’emendamento del 15 giugno, quando sono state ritagliate su misura delle norme per estendere il privilegio di presentare liste alle elezioni politiche senza la necessità di raccogliere le firme a Italia Viva, Liberi e Uguali (che non esiste come lista dalle elezioni del 2018, spappolatasi subito in tre tronconi, di cui due sono sul punto di rientrare nel PD), Coraggio Italia (lo pseudopartito inizialmente fondato da Brugnaro, Toti e Quagliariello e poi scissosi in varie schegge risucchiate nel gruppo misto dopo lo scorso 23 giugno), Noi con l’Italia (altro pseudopartito che fa capo a Maurizio Lupi) e, soprattutto, +Europa-Centro Democratico, il cui esponente Riccardo Magi è stato il primo firmatario dell’emendamento e che non è nuova ad escamotage di questo tipo. Questo lasciapassare ottenuto furbescamente servirà anzitutto a Calenda ed al suo movimento Azione, che ha da tempo stretto un patto politico con gli ultraeuropeisti di Emma Bonino, per presentare il simbolo sulle schede senza sfiancanti adempimenti, anche se per il via libera definitivo (ma pure in questo caso dipende dall’interpretazione) c’è bisogno dell’assenso di Bruno Tabacci, vecchio volpone tecnodemocristiano che di questi giochi di palazzo è maestro (è lui il depositario del fantomatico, ma sempre spendibile a livello burocratico, “Centro Democratico”).
La legge non è dunque uguale per tutti, ma fa distinzioni anche all’interno del palazzo stesso: il gruppo di Insieme per il Futuro di Luigi Di Maio sarà a sua volta tenuto a raccogliere le firme, a meno che non si aggreghi (com’è estremamente probabile) a qualche carrozzone di matrice “draghista” che prenderà corpo intorno ad un simbolo “spendibile” per le elezioni senza passare dal calvario delle firme da mettere insieme a ridosso di Ferragosto. Per tutti gli altri, le norme sono rigide ed i tempi stretti: fra il 12 ed il 14 agosto è necessario presentare i simboli e formalizzare gli apparentamenti per eventuali coalizioni, fra il 21 ed il 22 agosto bisogna depositare le liste con le firme e tutta la documentazione prevista dalla legge. Burocraticamente parlando, le firme vanno raccolte materialmente (non è prevista la possibilità di farlo on line) ed autenticate da un pubblico ufficiale ricoprente una carica elettiva, da un segretario comunale, da un notaio. I firmatari possono sostenere una sola lista (sono previste sanzioni per chi dovesse firmare a sostegno di più liste), ma in entrambe le camere; per rendere valide le sottoscrizioni è necessario inoltre apporre la firma nel proprio luogo di residenza ed allegare un certificato (dovrebbe in realtà bastare la tessera elettorale) che attesti la propria iscrizione nelle liste elettorali di quel determinato comune facente parte di quella determinata circoscrizione elettorale. Le firme, inoltre, non possono essere raccolte “sulla fiducia”: le liste da sostenere dovranno essere complete di tutte le candidature, sia quelle della parte plurinominale (la lista vera e propria, dunque), sia quelle della parte uninominale, nella quale a correre saranno singoli candidati in contrapposizione a quelli delle altre forze politiche. In totale, le firme da raccogliere, dimezzate in virtù della legge che consente tale scappatoia in caso di scioglimento anticipato del Parlamento, saranno 36750 alla Camera e 19500 al Senato, ma dovranno essere distribuite omogeneamente in tutti i collegi elettorali in cui è diviso il territorio nazionale.
In un quadro siffatto, e senza badare ad altre norme ancor più cervellotiche, la partecipazione alle elezioni politiche di quelle formazioni che fossero tenute a raccogliere le firme e tutto il resto sarebbe ostacolata, quando non impedita, da una serie di scogli. Prima di tutto, si farebbe una gran fatica a trovare “ufficiali pubblici” disposti a prestarsi per l’autenticazione delle sottoscrizioni, supponendo che una “giovane” forza politica non disponga di una sua rete di sindaci e consiglieri comunali; l’unica soluzione a quel punto sarebbe quella di ricorrere ai servizi, a pagamento, non di uno, ma di un centinaio di notai. Le liste, inoltre, dovranno essere complete in ogni loro parte prima di poter essere controfirmate, e questo finirebbe inevitabilmente col portare via giorni preziosi che verrebbero sottratti alla raccolta firme. Tutto questo processo dovrebbe inoltre svilupparsi in piena estate, a cavallo di Ferragosto, con gli uffici pubblici che funzionano a rilento e milioni di cittadini che verrebbero a trovarsi lontano dai luoghi di residenza e dunque impossibilitati a sottoscrivere alcunché.
All’atto pratico, lo scoglio della raccolta firme ostacola il cammino di tutte quelle forze che hanno preso piede negli ultimi tre anni in opposizione alle restrizioni delle libertà costituzionali, ai diktat europei, alla NATO ed alla guerra in Ucraina. Allo stato attuale delle cose, in questo ambito sarebbero cinque le compagini che aspirano a partecipare alle prossime elezioni politiche e che, un po’ velleitariamente, hanno già lanciato la loro campagna di raccolta. Si tratta di ItalExit, il movimento fondato dal senatore ex Lega e 5 Stelle Gianluigi Paragone, che si è detto sempre contrario a qualunque ipotesi “frontista” convinto di poter camminare sulle sue gambe (è una lista che in effetti viene “premiata” anche da alcuni sondaggisti, data la popolarità mediatica del leader), Uniti per la Costituzione, l’aggregazione che mette insieme Ancora Italia, il Partito Comunista di Marco Rizzo e Riconquistare l’Italia, oltre a singole personalità come l’europarlamentare ex leghista Francesca Donato, (ma non, a quanto pare, gli ex 5 Stelle di Alternativa), Vita, il movimento messo in piedi dalla parlamentare Sara Cunial, la più intransigente e combattiva nell’opposizione alle norme pseudosanitarie, assieme all’altro ex 5 Stelle Davide Barillari, a organizzazioni già esistenti come il Movimento 3V (Vaccini Vogliamo Verità) e l’Alleanza Italiana Stop 5 G e all’attore Enrico Montesano, Alternativa per l’Italia, la creatura che fonde il Popolo della Famiglia di Mario Adinolfi e i fuorisciti di Casa Pound raccolti intorno al movimento Exit di Simone Di Stefano (movimento che si ispira sin dal nome all’Afd tedesca), e infine Forza del popolo, il partito fondato dall’avvocato Lillo Musso con il supporto dell’ associazione Mille Medici per la Costituzione (radicato in Sicilia, Forza del popolo sta in realtà puntando le sue energie sulle regionali). Con ogni probabilità, l’incombenza della raccolta firme non graverà né sulla lista della “sinistra di governo” alla quale sta lavorando, su mandato di Enrico Letta, Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana (si parla dell’ennesima “cosa rosso-verde” che dovrebbe ereditare il diritto a presentarsi senza firme dal disciolto Liberi e Uguali), né su quella della “sinistra di opposizione” della quale si sta occupando l’ex sindaco di Napoli De Magistris assieme a Potere al Popolo e a Rifondazione Comunista: i contatti con il Movimento 5 Stelle sono a buon punto per dare vita ad una lista unitaria che, in virtù di quanto già detto, non sarà tenuta ad alcuno sforzo per presentarsi al giudizio degli elettori.
Tutto questo garbuglio di leggi, emendamenti e scappatoie produce l’unico effetto di blindare il Palazzo, rendendolo inaccessibile a tutte quelle forze e quei candidati che dovessero porsi fuori dal perimetro obbligatorio del liberismo, dell’Euro, della guerra, della digitalizzazione della società e della soppressione delle libertà fondamentali sull’altare delle “emergenze”, fenomeno ulteriormente accentuato dalla riduzione del numero dei parlamentari in seguito al referendum del settembre 2020. Si va dunque verso un Parlamento di burattini e signorsì, manichini ubbidienti piazzati sugli scranni dalle segreterie liquide di partiti evanescenti che partecipano ad una competizione truccata in partenza. In queste condizioni, l’esercizio della democrazia di cui tutti si riempiono la bocca appare oggettivamente impossibile. Sarebbe il caso di prenderne compiutamente atto.
Silvio dice
Bisogna sollevare la questione di incostituzionalità.
Francesco dice
Il problema resta la mummia al colle. Andrebbe denunciata per eversione democratica.
Niccolò dice
Il problema è a monte. Anzi, a colle.
Il losco figuro rappresentante la nazione dovrà, in un mondo ideale, rispondere delle sue firme un bel giorno.