Fare l’influencer è un lavoro durissimo, nell’ambito del quale si subiscono insostenibili pressioni e inimmaginabili vessazioni psicologiche. Inoltre, capita sovente che non si venga pagati, vanificando così ore e ore di fatica. È dunque necessario alzare la testa contro l’ingiustizia e ribellarsi affinché il sol dell’avvenire possa sorgere anche su Tik Tok. Come la storia insegna, è solo grazie a pochi coraggiosi pionieri che può aver inizio la lotta degli sfruttati. Nel nostro caso, l’intrepido che ha squarciato il velo di Maya sull’amara realtà dell’influencing è noto come “Sespo”: sommando i numeri delle varie piattaforme, arriva quasi a sette milioni di seguaci. Sespo ha denunciato di aver svolto, nel corso del turbolento 2022, diversi lavori per i quali non è stato mai pagato, precisando che non è stato il “brand” a non liquidarlo, ma l’agenzia alla quale si era affidato per l’intermediazione fra sé e lo stesso “brand”. L’uomo da sette milioni di follower ha pure detto che gli influencer non denunciano perché hanno paura di perdere quello che hanno costruito e quindi si tengono tutto dentro soffrendo tantissimo. L’esempio di Sespo è stato presto seguito da altri influencer “minori” (gente da mezzo milione di follower), che hanno a loro volta preso coraggio denunciando pratiche di sfruttamento indegne di un paese civile. Una “creator” s’è spinta persino a rivelare che non sono solo le agenzie a praticare il malcostume, ma persino i brand, quegli astri intorno ai quali gravitano tutti i pianeti : “C’è un brand di make-up skincare che non mi paga” ha dichiarato costei, seminando sgomento fra i brandisti devoti. Un’altra ha annunciato lo sciopero dei video, ma non se l’è sentita di attuarlo perché l’agenzia ha minacciato di dire tutto al brand. Non sarebbe comunque stata la prima volta: già nel dicembre 2020 il pioniere dei pionieri Mr. Marra aveva lanciato il #nostreamday su Twich, guidando cinquanta colleghi nella lotta per invocare chiarezza su modi e termini del “ban” e del “permanent ban” attuati dalla piattaforma. Il loro manifesto era così incisivo che fra i firmatari ci fu anche Fedez, l’Influencer Supremo. Sespo e i suoi fratelli magari non lo sanno, ma dall’ottobre dell’anno scorso esiste un’associazione che tutela i loro diritti: si tratta di Assoinfluencer, il primo sindacato italiano degli influencer. Fra gli obiettivi, la difesa dei compensi dei “professionisti”, il riconoscimento da parte delle istituzioni e l’introduzione di una sorta di “salario minimo” attraverso la formula “un’equa remunerazione dal mercato”. Sul loro sito, i sindacalisti del futuro provano a definire giuridicamente cosa sono gli influencer: “utenti attivi su un qualsiasi social media, ove questi godono di una particolare popolarità o autorità nei confronti di un numero elevato di followers, al punto da poterne influenzare il pensiero su determinate tematiche o scelte commerciali tramite la creazione di contenuti di semplice intrattenimento”. Ovviamente, l’Assoinfluencer “influensa” a sua volta, e per scalarne gli organigrammi vige un regime socialmeritocratico: a forza di macinare follower, si potrà guadagnare “il diritto di rappresentare l’intera categoria”. “Condividi et impera” lo slogan (geniale) di Assoinfluencer. Questi fanno sul serio, altro che la CGIL. Influencer di tutto il mondo, unitevi!
GR
Ricciardo dice
E’ tutto molto bellissimo.
Intanto leggo da più parti che il nucleo della terra potrebbe aver invertito la propria rotazione; ecco, invertito: anche questo va di moda.
luca dice
Influencer: terra da zappare non ce n’è più?
Guido Bulgarelli dice
non ce n’è mai stata così tanta in verità, ma vedrai gli influencer saranno i primi a buttarsi su carne sintetica, insetti e altre prelibatezze