Marco Di Mauro
Avanti.it
Il green pass è gestito dal ministero delle finanze
Il green pass, proprio oggi prorogato dall’UE fino a giugno 2023, non è mai stato una misura sanitaria. Nella successione di decreti legge con cui è stata imposta progressivamente l’apartheid dei renitenti alla sperimentazione coatta di massa non si parla mai espressamente di tutela della salute, né si giustifica l’assurdo sanitario di poter contenere un’epidemia influenzale tracciando gli spostamenti dei singoli cittadini. Come da manuale dell’azzeccagarbugli, l’istituzione e regolamentazione della tessera verde non si trova in un testo di legge unico, ma si sviluppa in una successione di decreti poi convertiti in leggi. Approcciandosi a questo dedalo burocratico il rischio è perdersi nei testi tormentati da emendazioni e chiose dovute, oltre che ai consueti innumerevoli rimandi ad altre leggi e successive modificazioni, anche al dibattito parlamentare. Tutto però torna sereno quando si incontra un elemento, quello che nel DL 52 (22 aprile 2021) viene definito «Piattaforma nazionale digital green certificate» e che arriva senza modificazioni, liscio come l’olio, fino alla legge 165 (21 novembre 2021) che si pone tra gli obiettivi il «rafforzamento del sistema di screening». Se qualcuno volesse capire in cosa consista tale rafforzamento, nel testo non troverà molto, sebbene una prima risposta sia contenuta proprio nel Dl 52, dove (art.9.1e) si definisce la Piattaforma nazionale digital green certificate un «sistema informativo nazionale per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificazioni COVID-19 interoperabili a livello nazionale ed europeo realizzato, attraverso l’infrastruttura del Sistema Tessera Sanitaria, dalla società di cui all’articolo 83, comma 15, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e gestito dalla stessa società per conto del Ministero della salute, titolare del trattamento dei dati raccolti e generati dalla medesima piattaforma»
Di questa “società” realizzatrice dell’infrastruttura della piattaforma digitale che gestisce i dati raccolti dai green pass il comma 15 del Dl 112/2008, emanato dal governo Berlusconi, ci dice che allo scopo di «garantire la continuita’ delle funzioni di controllo e monitoraggio dei dati fiscali e finanziari, i diritti dell’azionista della società di gestione del sistema informativo dell’amministrazione finanziaria […] sono esercitati dal Ministero dell’economia e delle finanze» ai sensi di due leggi: nella 413/1991 si stabilisce che l’infrastruttura informatica del Mef può essere appaltata a «società specializzate aventi comprovata esperienza pluriennale nella realizzazione e conduzione tecnica dei sistemi informativi complessi», in conformità con le competenze del ministero definite nel Dpcm 103/2019 – anche se dallo studio di queste leggi si arriva a comprendere che il riassetto del sistema informativo di via XX Settembre è iniziato già sotto il governo Spadolini, a settembre del 1982.
Sogei
La società di “comprovata esperienza” già nel 1991 è la Sogei (Società Generale d’Informatica), azienda statale monopolista sin dal 1976 della costruzione di infrastrutture digitali per conto dello stato italiano, con il MeF come unico azionista – attuale presidente è Biagio Mazzotta, che è anche Ragioniere generale dello stato. Sviluppatore esclusivo sia dei sistemi di governance digitale in ogni angolo della Pubblica Amministrazione, sia di piattaforme di interoperabilità tra Agenzia delle Entrate, INPS, Ministero della salute, Ministero dell’economia, Sogei, con contratti quinquennali sempre rinnovati o prolungati, ha praticamente costruito la massima parte delle infrastrutture digitali pubbliche in ogni settore. Basta consultare uno qualunque dei bilanci societari pubblicati in rete per comprendere l’onnipresenza di questa società nella gestione dei database governativi italiani, persino il totalizzatore di tutte le puntate del gioco d’azzardo legale è gestito da questa società. Negli ultimi vent’anni, mentre il SSN veniva privatizzato e dato in pasto agli speculatori di Pharmafia, Sogei lavorava alacremente per razionalizzare e unificare sul piano digitale tutto l’apparato di gestione che man mano scompariva dai presidi sanitari territoriali. Considerando che Sogei è partecipata interamente dal Mef, si è trattato de facto di un esproprio: la gestione dei dati sanitari di tutti i cittadini italiani vengono archiviati dal tesoro, che decide quali e in che forma inviarli agli altri enti della piattaforma di interoperabilità. Come mai tanta gelosia? Inoltre, se il diktat degli ultimi trent’anni di governi è stato, qualunque fosse il colore politico, smembrare e privatizzare tutto ciò che era pubblico, come mai quest’azienda conserva un monopolio così forte da ricordare i tempi del fascismo?
La Tessera Sanitaria è la base del Green Pass
Le origini della base dati su cui si fonda il funzionamento del green pass risalgono al governo Berlusconi, con la legge costituzionale 3 del 2001 che, emendato il titolo V della costituzione italiana, sancì la devoluzione alle regioni di una serie di funzioni prima appartenenti allo stato, tra cui la programmazione e organizzazione dei propri servizi sanitari. La “devolution” sul piano sanitario fu un ulteriore e netto passo avanti di quanto già fatto dall’aziendalizzazione della riforma De Lorenzo: togliere allo stato la gestione e tutela dei bilanci ospedalieri ed eliminare l’intermediazione statale nei rapporti tra ospedali e aziende private. Senza più controlli su scala nazionale, si è consolidata rapidamente una vera e propria governance privata della sanità pubblica, data in pasto agli interessi privati transnazionali senza più la tutela dello stato che si riservava la sola funzione di sorvegliare e punire i bilanci. Sono gli anni del lobbismo spinto, favorito dalla legittimazione tacita nel decennio berlusconiano di certe dinamiche più aggressive per cui la corruzione del sistema, già endemica, divenne capillare. Frammentata la gestione della sanità pubblica in un sistema di clientele gestite regione per regione inizia, già allora in perfetto stile Bilderberg, la creazione della banca dati digitale: nel 2003 lo stesso governo istituisce il Sistema Tessera Sanitaria, che associa al codice fiscale ogni singola prestazione sanitaria, dalle prescrizioni ai trattamenti più complessi. A gestire i dati è, ovviamente, il Mef, e a realizzare la piattaforma e la banca dati è Sogei. In una prima formulazione, la tessera sanitaria si chiama “Tessera del Cittadino”, e viene imposta ai cittadini la trasmutazione del proprio codice fiscale in un codice a barre, un codice magnetico e un microchip, associando così la propria identità fiscale a quella sanitaria, come condizione per accedere al diritto alla salute. Niente di così comodo, la tessera viene mandata comodamente a casa, a tutti. Entro il 2006 è avviata la sperimentazione su scala nazionale, e nel 2011 il sistema TS viene assimilato alla Carta Nazionale dei Servizi, ovvero un piccolo chip che attesta incontrovertibilmente la propria identità quando si usano le piattaforme web della pubblica amministrazione. Si accumula così una quantità sterminata di dati con una media di acquisizione, stando ai dati della società stessa, di 800 milioni di prestazioni sanitarie annue. Ogni volta che si fa uso di una qualsiasi ricetta medica o ricevuta di struttura sanitaria, questa viene registrata e catalogata nei database del Ministero delle finanze, strettamente legata ai dati fiscali e anagrafici, e all’occorrenza incrociata coi dati previdenziali. È questa la vera base dati del sistema Green Pass, sviluppato guarda caso dalla Sogei. Infatti nel Dl 52 è scritto chiaramente che la piattaforma DGC è stata realizzata «attraverso l’infrastruttura del Sistema Tessera Sanitaria». In effetti, il green pass, a parte la tessera plastificata, funziona esattamente come il sistema Tessera Sanitaria, anzi mentre il tracciamento tramite codice della TS era limitato alle sole strutture sanitarie, il GP lo estende a tutte le attività quotidiane, dalle scuole ai negozi agli uffici postali.
Una miniera di dati
Il passaggio del Dl 52 che affidava nelle mani del Mef i dati sanitari e il tracciamento di ogni singolo spostamento intaccando seriamente la privacy di milioni di italiani, è stato l’unico punto nemmeno sfiorato dal dibattito parlamentare: insomma, il fatto che tutti gli spostamenti quotidiani del bravo cittadino tri-punturato e querrato debbano essere tracciati è fondamentale per salvare vite umane tanto da non meritare chiarimenti o modifiche. Anzi, neanche due settimane dopo il decreto di aprile e prima del “rafforzamento”, era già pronta l’app VerificaC19, che veniva potenziata con un DPCM del 12 ottobre 2021 grazie al quale i datori di lavoro pubblici e privati, attraverso il pacchetto di sviluppo open source “Digital green certificate SDK” del Ministero della Salute, avevano avuto finalmente gli «strumenti informatici» per «una verifica quotidiana e automatizzata del possesso delle certificazioni». Come se non bastasse, nelle disposizioni attuative dell’art. 9 comma 10 del Dl 52 è scritto: «Al fine di garantire l’integrità e l’autenticità dei dati delle certificazioni verdi COVID-19 è istituita dal Ministero della salute l’Infrastruttura a chiave pubblica Sigillo dei documenti (Document Seal – DS), la cui realizzazione, manutenzione e conduzione operativa è a cura dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.» corsivo nostro a ulteriore e definitiva riprova che questo provvedimento non ha nulla, ma proprio nulla a che fare con la salute pubblica. Anche se la campagna d’inoculazioni forzate non è andata bene come si aspettava il governo, dal punto di vista della sorveglianza, tuttavia, è stata un successo, considerato che la popolazione italiana che ha ricevuto e utilizzato la tessera verde, tra inoculati e tamponati, è prossima all’ottanta per cento, è facile immaginare la mole di dati che le infrastrutture della Sogei hanno dovuto gestire.
L’Unione Europea aveva pianificato il Green Pass già nel 2018
La normativa italiana in fatto di passaporto sanitario e cittadinanza digitale non è altro che l’ottemperanza a direttive dell’Unione Europea. Era il febbraio del 2020 e la neo-eletta presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel suo discorso d’insediamento parlò del piano di digitalizzazione europea. In pratica, tutti i servizi essenziali relativi all’esercizio dei propri diritti di cittadinanza vanno concentrati in poche piattaforme e di lì lo sviluppo di un Citizen Wallet, sorta di “carta dei diritti” da utilizzare nell’UE che attesti lo stato sanitario, fiscale e legale del singolo cittadino. Ma queste dichiarazioni sono venute dopo una serie di passi importanti compiuti dall’Unione verso la creazione di una banca dati sanitaria europea. La salute è la prima cosa, è la chiave d’accesso verso procedure invasive della vita e della libertà individuali altrimenti difficilmente violabili. Molto eloquente in questo senso la Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 7 dicembre 2018, dove si dice nel paragrafo 15 delle Considerazioni: «La comunicazione della Commissione sull’attuazione della strategia per il mercato unico digitale e la comunicazione sul piano d’azione «Sanità elettronica» 2012-2020 ricordano l’importanza dell’agenda in materia di sanità digitale e la necessità di dare priorità allo sviluppo di soluzioni di sanità elettronica e basate sui Big Data. Queste iniziative sono ribadite dalla comunicazione della Commissione relativa alla trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza nel mercato unico digitale, per garantire modelli di assistenza sanitaria moderni e sostenibili nonché cittadini e operatori sanitari responsabilizzati.» Dunque il piano d’azione “Sanità elettronica” vanno di pari passo nella creazione di un sistema sanitario basato sui Big Data, ovvero su sistemi di tracciamento, archiviazione e combinazione di dati, sulla base dei quali saranno creati i nuovi regolamenti per una sanità più “sostenibile” e funzionale alla creazione del “mercato unico digitale”. Per chi non avesse capito che cosa intendono i signori d’Europa con sanità basata sui Big Data, viene in soccorso il punto 7, in cui si raccomanda agli stati membri «di vagliare la possibilità di sviluppare la capacità delle istituzioni sanitarie e di assistenza sanitaria di disporre di informazioni elettroniche sullo stato vaccinale dei cittadini, basate ad esempio su sistemi informativi che forniscano funzionalità di promemoria, raccolgano dati aggiornati sulla copertura vaccinale per tutte le fasce di età e consentano collegamenti e scambi di dati tra i sistemi di assistenza sanitaria» esattamente quello che fa la piattaforma Digital Green Certificate con i dati dei green pass. E infatti eccolo là, al punto 16, il primo vero antenato della tessera verde, che si consigliava di istiture col pretesto della pericolosissima circolazione dei cittadini tra paesi dell’Unione: «Il Consiglio accoglie con favore l’intenzione della Commissione di esaminare le questioni relative all’insufficiente copertura vaccinale causata dalla circolazione transfrontaliera delle persone all’interno dell’UE e analizzare le opzioni per affrontarle, anche valutando la fattibilità dello sviluppo di una tessera/un passaporto delle vaccinazioni comune per i cittadini dell’UE (che tenga conto dei calendari vaccinali nazionali potenzialmente diversi), compatibile con i sistemi informativi elettronici sulla vaccinazione e il cui uso sia riconosciuto a livello transfrontaliero, senza duplicare i lavori a livello nazionale» a leggere questi piani, si capisce come il Sars-Cov-2 sia stato una manna dal cielo per questi signori, forse troppo per essere una semplice fatalità; e ancora al punto 21 «Il Consiglio accoglie con favore l’intenzione della Commissione di elaborare orientamenti per superare le barriere giuridiche e tecniche che impediscono l’interoperabilità dei sistemi informativi nazionali sulla vaccinazione, tenendo debitamente conto delle norme sulla protezione dei dati personali, come indicato nella comunicazione della Commissione relativa alla trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza sanitaria nel mercato unico digitale, alla responsabilizzazione dei cittadini e alla creazione di una società più sana» oltre al concetto di interoperabilità, usatissimo dai fautori della cittadinanza digitale ad indicare l’abbattimento delle barriere burocratiche alla realizzazione di una banca dati unica con tutti i dati – sanitari, economici, anagrafici, fiscali – di un singolo individuo, ci sono due concetti davvero inquietanti in questo paragrafo, che ricorrono in verità in tutto il documento. La “responsabilizzazione” sta a indicare un potere che ha il chiaro intento di infantilizzare i suoi cittadini, di trattarli come bambini che non sanno gestire la propria vita da soli: questo ricorda molto la retorica umiliante che accompagnava i lockdown e l’insopportabile manfrina del cambiamento climatico, mirata a instillare un senso di colpa nei cittadini, fatti passare dai media e dai politici come unici colpevoli dell’inquinamento. L’altro è quello della “creazione di una società più sana”, che mostra chiaramente come la cricca globalista già avesse in nuce quell’idea di un mondo infetto e malsano da ripulire, della germofobia elevata a senso di responsabilità, e ricorda il Beppe Grillo che, presentatosi in pubblico in mascherina nel 2019, disse a gran voce: “Loro vogliono igienizzare il mondo”.
Anagrafe nazionale e fisco predittivo: i pilastri della cittadinanza digitale
Quello sanitario è tuttavia solo un aspetto delle infrastrutture necessarie alla creazione della “cittadinanza digitale” che lo stato italiano sta implementando progressivamente da vent’anni. Il 7 marzo 2005 viene emanato il Dl n.82, che istituisce il Codice dell’Amministrazione Digitale, dove nell’articolo 62 si istituisce presso il Ministero dell’interno l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR): una banca dati realizzata da Sogei che dal 2015 sostituisce le anagrafi comunali e, insieme allo SPID, progetto dello stesso Codice portato a compimento nel 2014, e al sistema TS/CNS, costituisce la base dell’identità digitale.
Altro aspetto fondamentale è quello fiscale. A gennaio del 2022, la Commissione bicamerale sull’anagrafe tributaria ha lanciato un allarme: dinanzi all’impotenza cui sono stati ridotti i garanti della privacy e del contribuente, il governo Draghi sta quasi portando a compimento la riforma del fisco, che vanterà un sistema – targato (indovinate?) Sogei – completamente digitalizzato, un progetto già realizzato che sarà implementato e potenziato coi fondi del Pnrr, in cui è un sistema di algoritmi a determinare la posizione del contribuente, individuando eventuali anomalie o mancanze. Fin qui, sembra, nulla di eccezionale, a parte il fatto che diventerà difficilissimo scampare alle cartelle esattoriali – d’altronde, anche le piattaforme di Equitalia sono un prodotto Sogei – ma la vera, e assai inquietante, novità è il fisco predittivo. L’Agenzia delle entrate infatti possiede una sterminata banca dati digitalizzata, realizzata da Sogei di pari passo con l’ANPR, che raccoglie tutte le sentenze emesse dalle commissioni tributarie italiane: l’algoritmo, analizzando tutti i dati relativi a un codice fiscale – proprio tutti, compresi i profili social – confrontando spese e stile di vita con i guadagni dichiarati, elaborerà un profilo fiscale dell’utente, e se avrà riscontrato un’anomalia – vera o presunta – nel pagamento delle imposte o dichiarazione fiscale la confronterà con il suo archivio digitale ed emetterà una sentenza in modo completamente automatizzato. Questo non solo mette il contribuente in una posizione di netta inferiorità rispetto all’intelligenza artificiale inquirente, poiché questi database non sono consultabili dai cittadini pur essendo stati realizzati coi soldi delle loro tasse, ma sarebbe il primissimo caso nella storia italiana in cui si pone una macchina a giudicare la posizione di un cittadino. Così ha denunciato la Commissione, che ha raccomandato ai legislatori di «escludere esplicitamente che gli atti di accertamento dell’Agenzia delle entrate possano essere frutto esclusivo di una procedura automatizzata o, comunque, basata su un sistema di intelligenza artificiale […] escludere un impiego dell’intelligenza artificiale (IA) come autonomo strumento decisorio fondato sul machine learning, che possa quindi rendere superfluo l’intervento dell’interprete-essere umano […] garantire che le informazioni [del database NdR] non restino ad uso esclusivo dell’amministrazione finanziaria, consentendone a chiunque il libero e pieno accesso, così da assicurare la parità di condizioni fra le parti in causa del processo tributario, offrendo loro la possibilità di verificare gli orientamenti seguiti dalle varie commissioni tributarie.»
Opposizione parziale al controllo totale
Dunque, il green pass, se visto in prospettiva storica, è soltanto la fase di un piano trentennale iniziato con questo secolo e che vedrà il suo compimento nel 2030. Una fase cruciale, perché la tessera verde è stata utilissima innanzitutto come test di resilienza del popolo rispetto all’apartheid sanitaria, ma è stato soprattutto il primo tracciante del sistema di sorveglianza totale, tratto distintivo della cittadinanza nell’era del governo tecnocratico del capitale, altrimenti detto capitalismo della sorveglianza. Eppure, nei mesi caldi del 2021, quando tutto l’apparato era già stato realizzato, nascono i movimenti No Green Pass in moltissime città italiane, che focalizzano l’attenzione sulla pericolosità dei farmaci genici sperimentali imposti per legge e sui risvolti sociali dell’accesso condizionato da lasciapassare vaccinale, favorendo così la polarizzazione voluta dai media generalisti sul tema sanitario, ridotto essenzialmente in “sì vax” contro “no vax”. A pochi di loro si è acceso un campanellino d’allarme nel vedere come un imponente database che trattasse i dati di milioni di cittadini fosse là, già bello e pronto, in pochi mesi. Possibile che bastino tre decreti e la conclamata genialità del “governo dei migliori” a creare un software basato al Ministero dell’economia e delle finanze capace di interagire con le piattaforme e i database di Ministero della Salute e Agenzia delle entrate? Ma i dubbi sono stati fugati, e tutti hanno capito, quando è stato presentato il progetto IDPay.
IDPay
Un mese prima della messa in latenza – non mai abrogazione, come già specificato su queste colonne – della tessera verde ad aprile, il ministro della Innovazione tecnologica e transizione digitale Vittorio Colao ha spalancato la finestra di Overton sulla prossima fase, annunciando l’introduzione “già da quest’anno” della piattaforma dal nome provvisorio IDPay per l’erogazione di “tutti i benefici sociali”. Ad aprile non sono state soltanto allentate le restrizioni, ma è partita la “piattaforma dell’interoperabilità”, ovvero la messa in comunicazione permanente per l’incrocio di dati dei database di tutte le istituzioni che abbiamo menzionato finora: Agenzia delle entrate, Anagrafe, Ministero dell’interno e Inps in una prima fase. Quando si agganceranno anche il Mef e il Ministero della salute, avremo quella piattaforma totalizzante che per ora si chiama IDPay, nella quale sarà inglobato anche il Fascicolo sanitario elettronico di ciascun cittadino “al fine di avere anche sul piano sanitario la possibilità di teleconsulto, telemonitoraggio e gestione da remoto”. Questo significa che nel caso di una prossima plandemia non ci sarà bisogno di scomodare il governo con un Dpcm dopo l’altro: sarà un algoritmo, incrociando per esempio i dati sanitari e i dati Inps, a segnalare che l’individuo associato a un determinato codice fiscale non è idoneo al lavoro perché non vaccinato. Il dato a quel punto sarà già arrivato all’Agenzia delle entrate che potrà in tempo reale bloccare qualunque sussidio o misura assistenziale fino a completato ciclo vaccinale. Senza contatto umano e senza possibilità di appello. Il controllo fiscale potrà essere applicato immediatamente su ogni singola transazione, tracciando le spese di ogni singolo cittadino per ogni singola transazione compiuta. Dal codice fiscale e i dati anagrafici si potrà risalire facilmente al numero di conto corrente, rendendo immensamente più facile a un governo totalitario l’eventuale blocco o congelamento del denaro di eventuali dissidenti. Il Mef ha inserito in manovra proprio ad aprile la proroga per la gestione dei dati di tracciamento archiviati nella piattaforma DGC anche oltre la data di congelamento della tessera verde. Il meccanismo sottostante alla piattaforma di gestione dei green pass ha consentito di creare una base immensa di dati associati a singoli utenti a cui il fisco e le amministrazioni possono aggiungere qualunque informazione, inoltre l’interazione operativa tra le piattaforme è stata regolamentata ed implementata grazie alle previsioni normative relative alla sanzione di 100 euro per gli ultra-cinquantenni renitenti all’inoculazione forzata. E i cittadini di fronte a questo sistema si troveranno privi di qualsivoglia tutela o difesa, in quanto l’individuazione delle finalità per il trattamento dei dati personali da parte della pubblica amministrazione non è soggetta al controllo preventivo del garante della privacy (Dl 13/2021), ovvero la pubblica amministrazione può utilizzare qualsiasi dato di un cittadino senza che il garante possa intervenire. È certo tuttavia che la piattaforma venga piazzata sul groppone degli italiani a piccole dosi, e in una prima fase sarà addirittura facoltativa. Già sono partiti tuttavia i primi esperimenti di cittadinanza a punti a Bologna e in provincia di Parma, e nelle nostre città fanno sempre più capolino ai semafori le telecamere con funzione di riconoscimento facciale e della targa. Lo stato italiano insomma, da garante dei diritti fondamentali, ne diventa un erogatore, esattamente come una compagnia telefonica o energetica, che può staccare la fornitura del servizio non appena le condizioni contrattuali non vengano rispettate. La morte della cittadinanza così come è stata conquistata in secoli di storia è sempre più imminente.
L’autore ringrazia Ivana Suerra per la collaborazione
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