Marco Di Mauro
Avanti.it
Il flagello green continua ad abbattersi sull’economia europea, e sembra che i popoli non possano farci niente. Nessuno parla più degli agricoltori olandesi e della loro protesta iniziata a Stroe il 22 giugno scorso contro la devastante legge sull’azoto che minaccia – sulla base del presupposto completamente infondato che l’azoto prodotto dall’urina del bestiame e utilizzato come fertilizzante sia concausa del fantomatico riscaldamento globale – di distruggere per sempre uno dei fiori all’occhiello dell’economia del paese, ovvero l’industria zootecnica, quella che ha fatto dei Paesi Bassi il secondo esportatore mondiale di prodotti agricoli, e che oggi una politica autolesionista ai limiti dell’assurdo sta facendo di tutto per boicottare. Anche se in verità sarebbe assurdo il contrario, per chi conosce i piani della cricca globalista, dalla carestia alimentare pianificata nemmeno troppo nell’ombra dai tecnici al soldo dei Rockefeller, passando per la distruzione dell’economia globale cui stanno lavorando i maggiordomi del World Economic Forum e del Gruppo Bilderberg.
In questo contesto, che include l’innalzamento esponenziale dei prezzi e il taglio netto dell’approvvigionamento di cereali e idrocarburi innescato dalla guerra d’Ucraina, così come la destabilizzazione dell’indopacifico al fine di tagliare i legami con la Cina, vanno inquadrate le politiche agricole mondiali sull’azoto. Le politiche cui stiamo assistendo oggi sono frutto di una lunga pianificazione: nel 2014 lo United Nations Environment Programme, una autodefinita “autorità globale” sulle politiche ambientali ha lanciato il progetto “Economia degli ecosistemi e della biodiversità per l’agricoltura e il cibo” secondo il quale le politiche agricole dei governi dei paesi del mondo devono “allontanarsi dall’obiettivo prevalente della produttività per ettaro” per focalizzare la propria attenzione sul rispetto dell’ambiente. Insomma, mangiare meno per salvare il pianeta, e se l’azoto permette di massimizzare la produzione agricola, tuttavia secondo l’ONU “interferisce con l’equilibrio di azoto della terra”: è l’inizio della guerra ai fertilizzanti. Il primo paese su cui viene sperimentata una politica radicale contro i fertilizzanti chimici è lo Sri Lanka: proprio a Colombo il 23 e 24 ottobre del 2019, l’UNEP tiene una riunione internazionale in cui lancia la “Campagna delle Nazioni Unite sulla gestione sostenibile dell’Azoto” dove si afferma senza mezzi termini che a causa de “l’interferenza [dell’uomo NdR] sull’equilibrio di azoto della Terra” la produzione alimentare deve essere ridotta drasticamente. Guarda caso nemmeno un mese dopo alle presidenziali viene eletto Gotabaya Rajapaksa, che inizia immediatamente una campagna contro i fertilizzanti, in quanto a suo dire sarebbero stati la causa di gravissime malattie renali – ma noi crediamo le cause fossero in realtà le stesse del morbillo della Lorenzin… – che si è conclusa con una legge dell’aprile 2021 che vietava tutte le importazioni di fertilizzanti nel paese, causando ingenti perdite nei raccolti dell’85% degli agricoltori del paese. Due mesi dopo, la produzione di riso era crollata di più del 20%, i prezzi di tutti i generi alimentari erano schizzati del 50% e lo Sri Lanka ha dovuto importare cereali dall’estero aumentando la spesa pubblica di 450 milioni di dollari; la produzione di tè, fiore all’occhiello dell’esportazione del paese che fruttava il 71% del denaro utilizzato poi per importare cibo, carburante e pagare il debito estero, è crollata del 18%: un vero collasso economico, con i mercati svuotati così come i distributori di carburante, che ha generato rivolte in tutta la nazione fino all’assalto al palazzo presidenziale e la destituzione di Rajapaksa a luglio, cioè dopo soli tre mesi di attuazione di questa politica scellerata.
Altro giro, stesso regalo in Olanda, dove le politiche del Programma Aanpak Stikstof (‘Programma di azione sull’azoto’) – imposto, come vi avevamo raccontato, da una sentenza del 2019 del Consiglio di Stato, che oltre ai problemi con il settore agricolo aveva portato a uno stop temporaneo all’edilizia e a un limite di 100 km/h sulle strade, mentre una seconda sentenza emessa il 2 novembre ha dichiarato che i progetti edilizi olandesi necessitano di un’autorizzazione sull’azoto, mettendo in crisi i piani del governo per la costruzione di 900mila case, parchi eolici e infrastrutture vitali – minacciano di rendere irregolari e quindi di essere passibili di pesantissime sanzioni, portandole alla chiusura, 11.200 fattorie, e gli allevatori hanno ben compreso, assai più di tutti i loro omologhi del Vecchio Continente, l’intento distruttivo rispetto alla propria economia e al proprio benessere individuale di queste politiche che non esitano ad attribuire al World Economic Forum: nonostante la dura repressione delle proteste di quest’estate, quando la polizia non esitò a utilizzare contro di loro persino i proiettili, non hanno mai mollato, dando vita a un movimento che ha incontrato un fortissimo appoggio popolare e dato vita a un partito politico con decine di migliaia di iscritti, il Movimento Cittadini e Fattori (BoerBurgerBeweging) costringendo il ministro dell’Agricoltura, della Natura e della Qualità degli Alimenti Henk Staghouwer a dare le dimissioni a inizio settembre. Dopo un mese di stallo, gli è succeduto il 3 ottobre Piet Adema, il quale ha mostrato posizioni più concilianti e iniziato a parlare di “accordo con gli agricoltori” (landbouwakkoord) in cui si proponeva un piano che sarebbe entrato in vigore a marzo 2023, ma con tante parole e pochi fatti, in quanto nessuna proposta concreta è arrivata ai sindacati degli allevatori, i quali denunciano di non essere nemmeno erano stati invitati alle trattative; la questione si è nuovamente radicalizzata quando il 25 novembre Christianne van der Wal, ministro per la Natura e le Politiche sull’azoto – più chiaro di così… – ha lanciato un ultimatum rivolto alle tremila aziende bollate dai tecnocrati come “maggiori emettitrici di azoto” sulla base della sentenza di novembre del Consiglio di Stato: o si adeguano alla legge, abbattendo cioè circa la metà dei loro capi di bestiame e dotandosi di costose apparecchiature, oppure accettano di chiudere ricevendo un indennizzo governativo pari al 120% del valore dell’azienda. Un’offerta che non possono rifiutare, altrimenti il governo procederà con l’esproprio. Ma anche gli allevatori avevano dato un ultimatum: il 16 novembre, durante una protesta presso il palazzo del governo provinciale di Zwolle, avevano promesso un intensificarsi della protesta se la provincia non avesse ritirato le multe loro comminate sulla base dei limiti di azoto consentiti. Così, giovedì scorso si sono recati al palazzo della provincia coi loro trattori per bloccare il passaggio, ma sono stati accolti dalle ruspe della polizia, che hanno sgomberato i trattori, ribaltandone uno addirittura con il conducente ancora alla guida, poi arrestato, insieme a un altro che si era messo davanti a un bulldozer per impedirne l’avanzata e un altro che aveva inveito contro gli agenti. Tutti e tre sono stati rilasciati quasi subito, ma il comportamento così brutale e gratuito degli sgherri in divisa non lascia presagire sviluppi favorevoli agli allevatori che resistono alla cieca furia dei tecnocrati, che vogliono distruggerli a tutti i costi. Ma è anche indice del fatto che questi uomini fanno paura ai burattinai del capitale, e sono davvero uno degli ultimi baluardi contro il leviatano green che punta a fare terra bruciata delle economie sovrane.
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