“Eh Manu, Manu, 49.3 ou pas, ta réforme on n’en veut pas (Eh Manu, Manu, 49.3 o no, la tua riforma non la vogliamo)” cantano migliaia di lavoratori che dalla sede dell’Assemblea nazionale si dirigono verso piazza de la Concorde, e “L’assemblée peut bien voter, la rue va le retirer (L’Assemblea la voti pure, sarà la strada a farla ritirare) determinati più che mai a non accettare il tranello con cui Elisabeth Borne, primo ministro del governo Macron, ha adoperato, per far passare la contestatissima riforma delle pensioni, il meccanismo costituzionale previsto dall’articolo 49 comma 3 della costituzione francese, che prevede l’approvazione di una legge senza passare per il voto parlamentare. Secondo il famoso comma 3, dunque, un governo che si trovi nella fastidiosa circostanza di non avere la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale, può, dopo la deliberazione del Consiglio dei ministri, forzare l’approvazione di una legge e «impegnare la responsabilità del governo davanti all’Assemblea nazionale». Tale escamotage, utilizzato già 100 volte dai governi avvicendatisi dal 1958 a oggi (di cui 11 proprio dalla Borne), è stato limitato dalla revisione costituzionale del 2008 a un solo testo di legge per sessione parlamentare – ad eccezione della finanziaria e del finanziamento della sicurezza sociale per le quali può essere usato ad libitum – mette il governo di fronte alla possibilità di essere sfiduciato, in quanto i deputati hanno la possibilità di presentare una “mozione di censura” entro ventiquattr’ore dall’applicazione del 49.3, e se la mozione ha successo la legge viene respinta e il governo cade.
Così, dopo l’approvazione in Senato, si attendeva oggi alle 15 il passaggio all’Assemblea nazionale, ma il pupazzo dei Rothschild, Emmanuel Macron, che non ha alcuna autorità su se stesso come non ne ha sul suo paese – i sondaggi danno il consenso alla riforma delle pensioni a meno del 30%) – aveva capito che l’infuriare delle piazze negli ultimi mesi ha provocato il cedimento di molti rappresentanti rispetto alla distruzione globalista del sistema pensionistico francese, aumentando significativamente quell’instabilità parlamentare – che pure ha caratterizzato il governo Macron due sin dalla nascita – da cui emergeva sempre più probabile la defezione degli alleati di LR (Les Républicaines), spaventati forse dalla paralisi totale dell’economia francese che si fa sempre più concreta e dai cumuli d’immondizia che sovrastano le strade in una trentina di città del paese. Così, quando Elisabeth Borne, dopo un’ultima riunione infruttuosa a un’ora dall’inizio della seduta parlamentare coi membri della coalizione di governo, è andata a chiedergli il da farsi, entrambi hanno optato per il ricorso al tranello del comma 3, annunciato dalla Borne alle tre meno dieci, una mossa che espone il governo, oltre che alla sfiducia, anche alla rabbia delle piazze. Dall’esterno di Palazzo Borbone i capi dei sindacati francesi, Cyril Chabanier, Laurent Escure, Laurent Berger e Philippe Martinez, aspettandosi questa mossa, hanno deciso di dirottare i manifestanti a piazza della Concordia, da dove hanno iniziato una contestazione che non lascia più dubbi: il loro obiettivo è la paralisi totale dell’economia, cui già si sono avvicinati a gennaio, unico e drastico modo per far ritornare il governo sui suoi passi. Dal canto loro i partiti d’opposizione, da La France Insoumise a Rassemblement National, hanno fatto bagarre in aula, con i deputati di LFI che si sono alzati in piedi sfoggiando cartelloni di protesta e cantando la marsigliese, impedendo al primo ministro di terminare il discorso, dopo il quale hanno annunciato che adopereranno certamente la facoltà di presentare una mozione di censura nei confronti del governo, rimandando le ultime battute di questa tragedia sociale alle tre del pomeriggio di domani.
MDM
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