Il Mar Baltico minaccia di tingersi di sangue e di diventare il primo scenario di guerra in Europa al di fuori del confine russo-ucraino. In quello che è già, geograficamente parlando, il mare più “chiuso” d’Europa dopo il Mar Nero, sale di giorno in giorno la tensione fra la Russia e le cosiddette “repubbliche baltiche”, ovvero Estonia, Lettonia e Lituania, dopo che altri paesi rivieraschi come la Polonia, oramai avanguardia della più cieca russofobia, e le già neutrali Svezia e Finlandia hanno dato il loro contributo all’escalation. Le tre repubbliche baltiche entrarono a far parte dell’Unione Sovietica alla fine della II Guerra Mondiale e furono poi teatro di un intenso processo di “russificazione” in virtù del quale vennero favoriti i trasferimenti di cittadini russofoni (e di altre repubbliche dell’ex URSS) sulle rive del Baltico. All’indomani del collasso del comunismo sovietico, Estonia, Lettonia e Lituania si agganciarono immediatamente al treno dell’Occidente, coronando questo processo con l’adesione alla NATO ed all’Unione Europea, maturata nel 2004. Fra i tre, il più ostile alla Russia è senz’altro la Lituania, che è anche quello che ospita la meno consistente delle comunità russofone (circa il 5% della popolazione): le relazioni diplomatiche fra Vilnius e Mosca furono interrotte già nell’aprile scorso, a due mesi dallo scoppio del conflitto, con il governo lituano che da allora ha giocato di sponda con quello polacco per favorire l’isolamento dell’exclave di Kaliningrad, quel pezzo di “Russia fuori dalla Russia” che si estende fra i due paesi sulle rive del Baltico. Estonia e Lettonia, invece, sono state inizialmente frenate dall’adottare provvedimenti analoghi dalla presenza al loro interno di nutrite comunità russofone: in entrambi i paesi, i russi “etnici” sono un quarto del totale e rappresentano la maggioranza della popolazione in diversi centri urbani. Nel mese di gennaio la situazione è pero precipitata, conducendo alla rottura delle relazioni diplomatiche fra Russia ed Estonia, con reciproca espulsione degli ambasciatori (l’ultimatum di parte russa scadrà il prossimo 7 febbraio). Sullo sfondo, le grandi manovre della NATO affinché la piccola Estonia possa estendere la sua “zona marittima esclusiva” appropriandosi di un tratto di Mar Baltico che verrebbe presidiato dalla sua guardia costiera, in modo da bloccare di fatto l’attività del porto di San Pietroburgo, che è il principale scalo marittimo russo. Il governo estone si era già distinto nei mesi precedenti per lo zelo bellicista, prima oscurando le trasmissioni dei canali televisivi in lingua russa, poi coniando una moneta da due euro inneggiante all'”onore dell’Ucraina” (primo caso nella numismatica dell’UE di una moneta dedicata ad un paese che è fuori dall’unione), quindi impegnandosi a sostenere il regime di Zelensky con l’invio di armamenti senza badare troppo al bilancio, infine interrompendo la concessione di visti ai cittadini russi e revocando pure i permessi di soggiorno già assegnati. La Lettonia, dal canto suo, ha seguito la strada tracciata dai vicini, ma più timidamente, e solo dopo aver ultimato un processo di “bonifica” a danno della minoranza russa, con una campagna per l’abbattimento dei monumenti dedicati all’Armata Rossa lanciata nell’estate scorsa i cui frutti si sono raccolti alle successive elezioni di ottobre, quando il partito “Armonia”, tradizionale espressione della comunità russofona, non è riuscito, per la prima volta nella storia lettone, ad ottenere una rappresentanza parlamentare (ma ce l’ha fatta il più combattivo “Per la stabilità”, nato da una scissione di “Armonia”). Alla fine, parallelamente all’Estonia, anche la Lettonia ha interrotto le relazioni diplomatiche con la Russia, e la sua delegazione dovrà lasciare Mosca il 7 febbraio come quella estone. Sul piano strategico, l’attivismo della NATO sul fronte baltico è giustificato dal fatto che il confine nord-orientale della Russia viene considerato il più vulnerabile, con l’exclave di Kaliningrad già “circondata” da Polonia e Lituania, (nel mese di giugno 2022 vennero bloccati i treni provenienti da San Pietroburgo in nome delle sanzioni) e la possibilità di “chiudere”, come riportato sopra, il porto della seconda città della Russia. I nodi della storia vengono al pettine: per i fanatici nazionalisti polacchi, lituani ed estoni questa è l’occasione per “regolare i conti” con la Russia una volta per tutte.
GR
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