Come ogni anno, in un loop senza fine, intorno alle spoglie del 25 aprile scoppietta il teatrino politico. Da una parte, stucchevoli oltre ogni ragionevole limite, quelli di “ora e sempre Resistenza”, di “siamo tutt* antifascist*” (oggi sempre ancora di più visto che c’è la Meloni al governo), dei cortei, delle tavolate e delle bandiere vestite a festa; dall’altra, La Russa che celebra la ricorrenza onorando il martire anticomunista Jan Palach a Praga (“per mettere tutti d’accordo”), il sindaco di Seriate che bandisce l’ANPI dal palco e vieta alla banda di suonare Bella ciao, il “25 aprile nero” di Forza Nuova e altre pinzillacchere di cui traboccano i giornali. Lo psicodramma che si consuma ogni volta sulla Liberazione, sui partigiani e sul fascismo non ha nulla a che fare col dibattito politico e men che meno con quello storico, ma assomiglia piuttosto al tifo calcistico, e questo giorno primaverile che per la grande maggioranza degli italiani è un festivo destinato alle gite fuori porta diventa per alcuni come il giorno del derby. Non è stato sempre così, anzi: si può dire invece che il 25 aprile abbia sonnecchiato per oltre quarant’anni prima di mettersi a scoppiettare. Istituita nel 1946, la festa della Liberazione fu oggetto negli anni dell’immediato dopoguerra di sobrie iniziative istituzionali e poco più; vista e considerata la volontà di lasciarsi alle spalle le macerie della guerra e la vicinanza del primo maggio, data nella quale tradizionalmente si mobilitavano comunisti e socialisti. Negli anni del boom economico e della motorizzazione di massa prese piede l’abitudine di dedicare la giornata alle scampagnate e anche nei comuni più segnati dall’esperienza partigiana le celebrazioni si limitavano alla deposizione di una corona di fiori su un monumento commemorativo. La festa della Liberazione risorse negli anni ’90, con la travagliata transizione dalla prima alla seconda repubblica e l’avvento del berlusconismo. Fu proprio la discesa in campo del Cavaliere, che alle elezioni del 1994 si alleò con Alleanza Nazionale “sdoganando” i postfascisti allora guidati da Gianfranco Fini, ad innescare questa strumentale “riscoperta” che aveva lo scopo di trovare una ragione di vita (e di mobilitazione elettorale) per il mondo postcomunista allo sbando dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Il maquillage antifascista serviva a mascherare l’assoluto vuoto politico: proprio mentre il PDS di Occhetto si accreditava come affidabile maggiordomo della finanza internazionale, dal polveroso cassetto dei ricordi veniva tirato fuori l’armamentario di striscioni e canzoni. La stessa Bella ciao visse una seconda giovinezza attraverso la cover che ne fecero i Modena City Ramblers, gruppo folk-rock che fu in quegli anni una costola “culturale” del PDS. Prima di questo 1994 spartiacque, la Liberazione era un fatto storico, controverso e bastardo come tutte le cose degli uomini, e la sua celebrazione era perlopiù confinata alla dimensione istituzionale; dopo, è diventata a tutti gli effetti un Mito: il plauso delle “masse antifasciste” rivolto alla preside che ha descritto il fascismo come “nato ai bordi di un marciapiede” è l’ultimo segnale di questo processo di destoricizzazione che svuota la ricorrenza di qualsiasi significato politico. Intanto, l’invasore della canzone se n’è andato settantotto anni fa, ma al suo posto ne è arrivato un altro, e per descrivere il suo dominio non esistono canzoni. Il sindaco di Seriate Cristian Vezzoli che tanto s’è adoperato per non far suonare la banda del paese non s’è mai permesso di metter bocca sul fatto che i suoi concittadini vivono a meno di settanta chilometri dalle bombe atomiche di Ghedi. La Russa il “fascista” è stato per quasi tre anni servizievole ministro della difesa, occupando proprio uno di quegli scranni che stanno più a cuore agli amici americani. Per quegli altri non bastano i veli pietosi a coprire le vergogne: dopo aver avallato il più bieco totalitarismo sanitario i “sinistri” hanno mostrato la loro indole, altro che partigiani in lotta per la libertà. Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor. E pure la mattina dopo. E pure quella prima. Buon 25 aprile a tutti.
GR
Alfonso Aliberti dice
Ottimo articolo. Vorrei solo far rilevare che la mia esperienza contrasta con l’affermazione che: “si può dire invece che il 25 aprile abbia sonnecchiato per oltre quarant’anni prima di mettersi a scoppiettare.”
Ricordo bene, avendola vissuta come dirigente Fgsi, la vicenda del 25 aprile del 1976, a Salerno, quando furono bruciate le bandiere democristiane al grido di “fuori i democristiani” e “La Resistenza è comunista”. Oggi come ieri, la sceneggiatura è sempre la stessa. Cambiano gli attori.