Un razzo manderà nello spazio la preghiera di papa Francesco inscatolata in un “nanobook digitale” custodito all’interno di un nanosatellite. In orbita non andrà una preghiera qualunque, ma quella formulata nel marzo 2020 per invocare la fine della pandemia in occasione dell’iniziativa battezzata Statio Orbis. Il 29 maggio prossimo è prevista la benedizione, officiata chiaramente dallo stesso pontefice, di nanobook e nanosatellite, mentre il 10 giugno ci sarà il lancio, che avverrà dalla Vandenberg Space Force Base, nella California meridionale, luogo deputato, oltre che a lanciare satelliti, pure a testare missili balistici. Gli amici americani offrono dunque supporto logistico a quella che viene presentata come un’operazione italo-vaticana, con la collaborazione del Politecnico di Torino, i cui studenti hanno costruito il nanosatellite, dell’Agenzia spaziale italiana e del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede. Il pontificato di Jorge Bergoglio è stato caratterizzato da un certo interesse per le questioni “spaziali”, in una fase storica in cui le cronache tornano a riempirsi di progetti di esplorazione del cosmo e di “civiltà extraterrestri”. In un’intervista concessa al settimanale francese Paris Match nell’ottobre 2015, Papa Francesco “aprì” all’esistenza di “altri esseri pensanti” nell’universo, affermando che “il Creatore è infinitamente più grande delle nostre conoscenze”, e che “finché non venne scoperta l’America noi pensavamo che non esistesse”. Due anni dopo, in un’altra controversa intervista, Guy Consolmagno, direttore della Specola Vaticana, l’osservatorio astronomico dello Stato della Chiesa, nonché gesuita come Bergoglio, si spinse molto più in là, sostenendo la possibilità di entrare in tempi brevi in contatto con “intelligenze aliene” ed aprendo addirittura alla possibilità di “battezzare un alieno” con queste parole: “Se un alieno ha la stessa capacità di essere un’identità consapevole di sé, e consapevole di Dio, e libero di scegliere tra amore e odio, cosa lo rende diverso da noi?”. Dopo una formazione da astronomo e planetologo, Consolmagno è entrato nella Compagnia di Gesù nel 1989, a 37 anni, venendo quindi inserito nei ranghi della Specola Vaticana, di cui divenne direttore nel 2015. Fautore del connubio fra scienza e fede (nella sopramenzionata intervista afferma “Penso che la scienza sia un modo meraviglioso per provare un senso di intimità con la creazione e tramite questa diventare intimi del Creatore”), Consolmagno è oggi a tutti gli effetti lo “scienziato ufficiale” della Santa Sede, l’informale portavoce di Bergoglio per quel che riguarda le questioni teologico-scientifiche. Le sue sorti sono già proiettate oltre questo mondo: in suo onore è stato battezzato (è il caso di dirlo) “4597 Consolmagno” un asteroide situato nella cosiddetta “fascia principale degli asteroidi” del sistema solare, fra Marte e Giove. L’organismo diretto da fratel Consolmagno, quella Specola Vaticana che è da sempre appannaggio dei gesuiti, aveva già dato prova di seguire traiettorie autonome rispetto alla Chiesa di cui è espressione: in un’intervista rilasciata all’Osservatore romano, organo ufficiale della Santa Sede, nel maggio 2008, all’epoca di Ratzinger, l’argentino José Gabriel Funes, direttore della Specola prima di Consolmagno, si era detto possibilista rispetto all’esistenza di “altri esseri, anche intelligenti, creati da Dio”, affrontando quindi questioni dottrinarie sul peccato e sulla redenzione degli extraterrestri. La Specola Vaticana venne istituita alla fine del Cinquecento da papa Gregorio XIII per portare avanti gli studi astronomici preliminari all’introduzione del cosiddetto “calendario gregoriano” nel 1582. Due secoli dopo, con Clemente XIV, la Specola passò sotto il controllo dei gesuiti, assumendo i contorni di un osservatorio astronomico al passo coi tempi. La struttura venne ospitata in palazzi del centro di Roma, cambiando sede dopo l’unità d’Italia, fino agli anni ’30 del secolo scorso, quando si rese necessario il trasferimento nel palazzo pontificio di Castel Gandolfo, sui Colli Albani, a causa dell’eccessivo inquinamento luminoso. Il problema si sarebbe posto una quarantina di anni dopo pure per la nuova sede, che era diventata un centro di ricerca scientifica d’avanguardia, ospitando già a partire dal 1965 degli avveniristici computer. L’allora direttore della Specola George Coyne (che ha a sua volta un asteroide a suo nome: 14429 Coyne, “vicino” a quello di Consolmagno) si adoperò per trasferire l’osservatorio negli Stati Uniti, associandone l’attività a quella dell’osservatorio Steward dell’università dell’Arizona, centro del quale era stato direttore ad interim. La struttura originaria ha avuto modo di ingrandirsi nel corso degli anni, realizzando fra le altre cose l’osservatorio del monte Graham, un sito sacro per alcune tribù di nativi, dove è stato montato il gigantesco telescopio chiamato Lucifer (che sta per: Large Binocular Telescope Near-infrared Spectroscopic Utility with Camera and Integral Field Unit for Extragalactic Research). Il Vaticano, quindi (o per meglio dire la sua fazione gesuitica), scruta il cielo con occhi scientifici da almeno due secoli e mezzo, e in questo lasso di tempo non mancano neppure le storie di incontri ravvicinatissimi fra pontefici ed entità extraterrestri. Nell’estate del 1961,mentre passeggiavano nei giardini pontifici situati proprio a Castel Gandolfo, nei pressi del lago Albano, papa Giovanni XXIII ed il suo segretario particolare Loris Capovilla si imbatterono in una flottiglia di UFO dalla quale si staccò una navicella, che atterrò dopo aver puntato le sue luci sui due uomini pii. Da essa uscì una figura umanoide avvolta dalla luce, e papa Giovanni, dopo essersi inizialmente inginocchiato assieme al suo segretario, gli si fece incontro conversando con quest’essere per una ventina di minuti. “I figli di Dio sono dappertutto. Anche se a volte abbiamo difficoltà a riconoscere i nostri stessi fratelli” disse il pontefice all’attonito segretario dopo che la creatura di luce era ripartita. Di questa vicenda, esistono dei precedenti: negli stessi giardini fu protagonista dell’avvistamento di ” un disco argenteo e luminoso che roteava su se stesso lanciando all’intorno fasci di luce multicolore” Pio XII nel 1950. All’epoca ne riferì in Italia La Domenica del Corriere, mentre le rivelazioni di Capovilla del 1985 furono avvolte da una cappa di omertà e reticenze nel nostro paese, trovando al contempo vasta eco nel mondo anglofono. I tempi, evidentemente, non erano maturi. Con il papa spaziale, invece, tutto è possibile.
GR
Antonello Melis dice
Il papa marketing.
Firmato
Il Toni