Francesco Santoianni
Avanti.it
Ma Elly Schlein è davvero di sinistra? riuscirà Elly Schlein a far risorgere la sinistra? o, almeno, a creare una credibile coalizione di sinistra? Domande surreali come queste stanno già affollando tutti i media e i talk show senza che nessuno si prenda la briga di domandarsi cosa sarebbe questa “sinistra”. Termine che non solo non ha mai rappresentato le istanze del proletariato o della classe operaia, ma che – al pari di Bella Ciao mai cantata dai partigiani – è stato imposto da Togliatti nel dopoguerra. Ma andiamo per ordine.
Nonostante quello che comunemente si pensa, il termine “sinistra” non connotava i pur numerosi partiti comunisti, socialisti, socialdemocratici del passato; lo stesso posizionamento di Karl Marx tra gli “hegeliani di sinistra” è da far risalire ad un tale David Strauss che, nel 1837, in seguito alle polemiche suscitate dalla sua opera Vita di Gesù (Tubinga, Osiander, 1835), rifacendosi agli schieramenti politici che si fronteggiavano nel parlamento francese, intruppò Marx nella “sinistra hegeliana”. Posizionamento certamente non gradito a Marx il quale, in suoi scritti del 1843 e del 1845, mise alla berlina i cosiddetti “hegeliani di sinistra”.
Sì, ma perché il termine “sinistra”? Molti credono di saperlo rievocando la Rivoluzione francese ma quasi nessuno sa come finì questa storia. Il tutto cominciò nel maggio 1789 quando furono convocati in assemblea, dal re di Francia negli Stati Generali, i rappresentanti del clero, della nobiltà e del terzo Stato (i soli, questi ultimi, che pagavano le tasse). Chi decise – pare, perché i posti alla sua destra, più vicini alla porta, erano stati già occupati dai rappresentanti della nobiltà e del clero, entrati prima – che il terzo Stato dovesse sedersi a sinistra del presidente dell’assemblea fu uno dei suoi leader: l’aristocratico liberale Honoré Gabriel Riqueti de Mirabeau; un mese dopo, nell’Assemblea nazionale, stesso posizionamento: a destra i fautori del re, a sinistra molti tra coloro che diedero vita alla Rivoluzione francese.
Morto nel 1791, la salma di Riqueti de Mirabeau, glorificato come “Père de la Gauche” (“Padre della Sinistra”), venne inumata con tutti gli onori nel Pantheon di Parigi, ma il 12 settembre 1794, alla chetichella, fu trasportata nel periferico cimitero di Sainte-Geneviève, poi venne gettata in una fogna. La scoperta di alcuni documenti, infatti, aveva rivelato che Riqueti de Mirabeau era stato al soldo del re al quale, sperando in una nomina a ministro, aveva, addirittura, segnalato chi imprigionare. Ci si sarebbe aspettato, che con questo padre, il termine “gauche” finisse in soffitta. Così non fu, in quanto cinque anni costellati da assemblee e sommosse, che vedevano un emblema di radicalismo nella “gauche”, avevano dato vita ad una tradizione.
Non ci sarebbe nulla di sorprendente (in fondo anche il “pugno chiuso” o la “falce e martello” hanno una storia curiosa, se non fosse che qualche anno dopo in Gran Bretagna il termine “left” cominciò a caratterizzare un’ala del partito Whig, composto, fondamentalmente, da famelici imprenditori (ma oggi curiosamente classificato su Wikipedia come partito di “centro-centrosinistra” o “di sinistra”). Sì. ma perché questo gruppo sentì l’esigenza di richiamarsi ad un termine che riecheggiava la Rivoluzione francese? Sostanzialmente per evidenziare la sua corsa verso il progresso, il suo distacco da una borghesia che appariva ancorata all’immobilismo dell’Ancien régime.
La progressiva acquisizione del termine “sinistra”, che rimaneva estraneo al nascente movimento proletario e socialista1 da parte delle borghesie europee e americane fece nascere, ovviamente, l’esigenza di affibbiarvi un’ideologia. In Italia, in mancanza di meglio, lo si accomunò al pensiero politico di Giuseppe Mazzini, che, a differenza del suo giurato nemico Karl Marx, vedeva nel “progresso” – garantito da un regime parlamentare e da un generale innalzamento morale e culturale – l’obiettivo da raggiungere. Nasce così l’altrimenti impresentabile “Sinistra storica”: una ammucchiata di notabili che, nel 1876, raggiunse il governo con Agostino Depretis, artefice di uno sconcertante sistema clientelare, noto come trasformismo. Con questo sistema, in venti anni di governo, la Sinistra storica – oltre a realizzare alcune timide riforme e iniziative in campo salariale – spolpò (soprattutto nel Mezzogiorno) tutto quello che c’era da spolpare, condusse disastrose guerre coloniali, represse nel sangue moti di protesta arrivando, nel 1894, a sciogliere il Partito Socialista. Ancora più sconfortante il bilancio del Partito della estrema sinistra, nel 1877 costituito in gruppo parlamentare da Agostino Bertani. Animato da vaghe istanze sociali (sostanzialmente per arginare la crescita del Partito Socialista) e dichiarandosi contro il trasformismo, fu sostanzialmente comprato dalla massoneria che lo fece spezzettare in gruppi e gruppetti. Si sciolse nel 1904 dando vita al Partito Radicale Italiano.
Con questi risultati, non c’è da meravigliarsi se il termine “sinistra”, nell’ambito del movimento operaio, fino al secondo dopoguerra, rimase in Italia pressoché sconosciuto, non comparendo – tanto per dirne una – in nessuno dei pur numerosi manifesti elettorali del Fronte Democratico Popolare del 1948. Ad imporre questo termine, nel 1948, fu uno sconcertante episodio: la proposta del PCI alla carica di presidente della repubblica dello screditatissimo (era già noto per il suo appoggio al fascismo e la sua vicinanza alla mafia) Vittorio Emanuele Orlando,2 già leader della Sinistra storica. Perché l’appoggio di Togliatti ad un tale personaggio? Verosimilmente perché, attraverso la rivalutazione di questo illustre esponente della Sinistra storica, il termine “sinistra”, più del termine “antifascismo”, poteva dare lustro a quel percorso di collaborazione di classe che il PCI stava intraprendendo. Fu così che il termine “sinistra” cominciò ad affiorare negli interventi parlamentari e nella pubblicistica del PCI.
E a volerlo fu Togliatti il quale, sacrificando scranni in parlamento destinati, altrimenti, ad esponenti dichiaratamente comunisti, creò il Gruppo parlamentare della Sinistra indipendente perpetuatosi – pur cambiando nome – dal 1948 al 1992 e che fece da battistrada al cambiamento di nome dello stesso PCI, trasformatosi, nel 1992 (poco dopo la caduta del muro di Berlino), in Partito Democratico della Sinistra e nel 1998, in Democratici di Sinistra.
Nel 2007 la nascita del Partito Democratico permette ad una ormai consolidata sinistra di assumere una vita propria formalmente sganciata dai partiti politici che può, quindi, apertamente criticare; e non già in nome di analisi di classe o di proposte politiche alternative, ma solo di precetti morali. Nascono così imponenti quanto vacue mobilitazioni contro Berlusconi che, essendo dirette da spocchiosi intellettuali, finiscono per cementare il primato della cultura sulla politica. La sinistra, quindi, additando non come avversari politici ma come rozzi buzzurri coloro che dissentivano da essa, finì per aggregarsi intorno al quotidiano la Repubblica – da decenni “Vestale della Cultura” nel nostro Paese – e alle sue reazionarie campagne.
Nasce così un “popolo della sinistra” affollato anche da una “sinistra antagonista” che, prendendo come vere le fake raccontate su paesi come la Russia, la Cina, la Corea del Nord, Cuba etc. e privo di ogni strumento di analisi, non osa dichiararsi comunista o socialista ma pretende di espellere dal novero della “sinistra” personaggi ritenuti non degni di ammantarsi con questo termine, ad esempio Massimo D’Alema. E che – pienamente accettando l’atomizzazione in categorie di appartenenza imposte dalla cultura dominante – fa suo un politically correct che stravolge persino la grammatica (si veda il bizzarro uso degli asterischi per evitare che un termine debba essere maschile o femminile).
Un’ultima considerazione. Questo articoletto non ha certo la pretesa di confrontarsi con i 165 libri oggi in commercio che hanno il termine “sinistra” in copertina né, tantomeno, con i tanti che campano su questo brand. Perché di brand si tratta: non un progetto politico finalizzato a trasformare la società ma il prodotto di un marketing che plasma i gusti del cliente per adeguarli alle esigenze del mercato.
1Come già detto, fino a qualche decennio fa, il termine “sinistra” non connotava il nome di partiti comunisti, socialisti, anarchici o socialdemocratici, accomunati oggi, da disinvolti storici, in questa generica etichetta. L’appellativo “di sinistra”, comunque, già agli albori del ventesimo secolo veniva comunemente utilizzato nel dibattito interno di molti partiti referenti del movimento operaio, solitamente con una connotazione dispregiativa, per indicare “avventurismo” o la “deviazione” da una presunta ortodossia. Un esempio tra i tanti: la frase di Bruno Buozzi «Se il congresso non condurrà un’energica offensiva contro simili errori, contro simili sciocchezze “di sinistra” tutto il movimento sarà condannato alla rovina.»
2Al di là del prestigio accademico che godeva Vittorio Emanuele Orlando, la sua sponsorizzazione da parte di Togliatti risultò incomprensibile allo stesso PCI, soprattutto considerando che Orlando era stato: fautore del Patto segreto con le potenze dell’Intesa (che, nel 1915, portò l’Italia al massacro della Prima Guerra Mondiale), sostenitore di Mussolini, emissario della mafia, (per la quale si produsse in una, ormai celebre, apologia) e privo di alcun seguito nel Paese: fallimentare il risultato del suo partito (Unione Democratica Nazionale – Partito Democratico del Lavoro ultima propaggine della “Sinistra Storica”) alle elezioni del 1946.
Andrea dice
Ricordo che mio padre – comunista – diceva di una persona che era “di sinistra” quando simpatizzava con il Pci o la CGIL: quando si trattava di un socialista diceva che era un “socialista”. Quindi, di sinistra erano i comunisti e i loro simpatizzanti. Mi riferisco alla fine degli anni ’60 e poi oltre. Il concetto di “sinistra” in Italia si deve al predominio della Democrazia cristiana: tutto ciò e tutti coloro che contestavano questo partito da posizioni opposte al fronte conservatore e fascista erano “di sinistra”, che si assottigliò con la fine del lungo decennio 1946/1956 per la “defezione” dei socialisti. Il concetto è “borghese” e designa la mitica “borghesia di sinistra”, affiliata alla massoneria e con il mito del “progresso”, di cui il Partito socialista fino agli anni ’70 era il rappresentante naturale assieme al Partito repubblicano. Voglio ricordare che le tesi da approvare per l’adesione all’Internazionale comunista furono in realtà ventidue e non ventuno: il divieto di essere associati alla massoneria. Però, salvo Bordiga, nessuno insistette. Quindi, in fondo, occorrerebbe indagare sull’idea di “progresso”, legato al concetto di “sinistra”, ma primigenio. Trovai due vecchi comunisti mediamente colti, che dopo la fine del Pci si autodefinirono l’uno “laico di sinistra” e l’altro “illuminista”. Anche nella storiografia sovietica fu consolidata la definizione “sinistra” per designare tutta la cosiddetta “opposizione operaia” al sorgente potere di Stalin, quindi, sia la Kollontaj che Trotzky.
Francesco Santoianni dice
Come già scritto, il termine “sinistra” tra gli ideologi del movimento operaio o comunista ha avuto una connotazione negativa (da qui l’inflazionato termine “avventurismo di sinistra”). Con poche eccezioni, ad esempio Bordiga che (si veda il link “massoneria”) forse per rievocare l’impeto della rivoluzione francese, per distinguere i socialisti “combattivi” li identificava come di “sinistra”.
F.S.
Andrea dice
In Francia, oggi, due intellettuali diversi per formazione ma appartenenti entrambi alla destra culturale non conformista, ovvero Alain De Benoist e Alain Soral, si richiamano entrambi ad un “oltre” la destra e la sinistra, affermando di essere “per una sinistra del lavoro e una destra dei valori”. In Italia, interpreti da alcuni decenni di questo pensiero vi sono Marco Tarchi e Franco Cardini, entrambi provenienti da una giovanile militanza nella destra (vedete che fa comodo la divisione secondo un asse!).
Andrea dice
Si, certo, perché quando si elaborano teorie per il superamento del capitalismo non ci si concentra sulla divisione spaziale di un’assemblea di delegati, come le origini cristiane non si concentrarono sull’etica… Così, però, “destra” e “sinistra” ebbero un senso dentro agli stessi partiti socialisti e comunisti: fra Tasca e Bordiga, fra Korsch e Lenin, fra Luxenburg e Kautsky, ecc. Tuttavia, “sinistra” in senso lato è tutto ciò che si oppone all’Ancien Regime, al trono e all’altare: quindi, è la massoneria che è storicamente “di sinistra” e che partecipa attivamente alla Comune di Parigi, sulle barricate. Diciamo che ora abbiamo accettato radicalmente questo orientamento immanentista, materialista in senso volgare, individualista, che permette di sbarazzarsi di ogni vincolo derivante da un’antica civilizzazione cristiana per fare posto ai desiderata dell’individuo forgiato dal consumismo sfrenato: questo è ora “sinistra”, e Carlo Freccero, rara avis, di giovanile ascendenza bordighiana, l’ha denunciato. Lo stalinismo e la sua lunga egemonia, trascinata dal togliattismo-berlinguerismo, fece del topos “sincero democratico” la fonte del significato “essere di sinistra”, cioè adeguato a colloquiare con il linguaggio e la narrazione dei comunisti. Questo è successo perché nessuno pensiero socialista è provvisto di una metafisica, di una trascendenza: anzi, è stato sempre in lotta con qualunque metafisica. Il risultato non poteva che essere un ritorno alla lotta per un “di più” di immanenza, cioè ad un “di più” di radicalismo individualista.
Andrea dice
Sull’avventurismo “di sinistra” vorrei stendere un pietoso velo: i bolscevichi furono l’incarnazione dell’avventurismo “di sinistra”. Quando si ha il potere ci si elegge “ortodossi”, e quelli che si oppongono sono “avventurieri di sinistra” o “avventurieri di destra”. Il “centro”, che sia leninista, gramsciano o nenniano o craxiano possiede la verità del momento.