TriSb92 ci salverà. Anzi, è come se ci avesse già salvato. TriSb92 è una molecola che finirà quanto prima dentro uno spray che finirà dentro i nostri nasi con la facoltà di “fermare il contagio” da Covid “con tutte le varianti”. La notizia è riportata da la Repubblica, uno degli ultimi avamposti rimasti a tenere viva la fiammella della lotta all’immonda malattia: pare che un team di ricercatori finlandesi abbia messo a punto la molecola dopo mesi di febbrili studi, testandone l’efficacia sugli animali da laboratorio. Ebbene, TriSb92 funziona di brutto, sia col Covid “classico” che con le varianti Cerberus e Gryphon, proteggendo pure il sistema immunitario degli anziani e degli immunocompromessi in un momento in cui, come afferma con candore uno dei ricercatori finlandesi, “gli attuali vaccini non sono efficaci nel prevenire la trasmissione”. Insomma, abbiamo scherzato: nel futuro prossimo, dopo che i creatori della nuova rivoluzionaria molecola l’avranno testata pure sugli esseri umani, lo spray miracoloso sarà in commercio, fornendo una protezione che i sieri magici, ora lo si può dire, non hanno mai dato. I finnici sono arrivati primi in questa corsa contro il tempo per la messa a punto dello spray-elisir, ma appena pochi giorni prima della pubblicazione del loro studio erano stati altri ad annunciare la rivoluzione nasale: la “giovane” startup biotecnologica Tiziana life sciences aveva infatti comunicato di essere venuta capo di una ricerca sull’efficacia del farmaco Foralumab (definito “il primo spray antimonoclonale nasale”) contro il Covid. A sentire tale Thais Garcias Moreira, coordinatrice della ricerca, si è trattato di un processo lungo e meditato: i risultati che attestano l’efficacia del farmaco risalgono infatti al lontano 2020, quando in Brasile 39 pazienti con sintomi “da lievi a moderati” provarono il Forulamab traendone benefici rispetto all’intensità delle infiammazioni polmonari. Il bello è che questo Foralumab esiste (almeno) dal 2019, ed è stato concepito (e già testato, con esiti deludenti, sull’uomo) per fronteggiare malattie autoimmuni come la steatoepatite non alcolica, la malattia del fegato grasso non alcolico e il morbo di Crohn. Ad un certo punto, qualcuno ha tirato fuori l’eureka per salvare una baracca sul punto di crollare sotto il peso della sua ambizione: e se lo “testassimo” per il Covid? Ed è così venuto fuori, a distanza di tre anni, quello “studio brasiliano” del quale, fra una cosa e l’altra, s’era persa traccia. La storia del Foralumab fa capire ai profani quali imprevedibili traiettorie seguano i farmaci prima di essere messi in commercio: anche se inefficaci o dannosi rispetto agli scopi per i quali erano stati concepiti, salterà fuori prima o poi qualche malattia per la quale essi possano “funzionare”. Per quel che riguarda il Foralumab, pare che esso funzioni anche contro la sclerosi multipla: con un solo spruzzo, insomma, si prevengono ben due malattie. Ogni medicina è in grado di riservare piacevoli sorprese: fra medici e farmacisti americani sta prendendo piede negli ultimi tempi la pratica di somministrare il naltrexone ai pazienti affetti da “Long Covid” (nonostante gli stessi medici ammettano che sotto questa categoria-ombrello rientrano oltre 200 sintomi). Il naltrexone è un farmaco in uso da un decennio per il trattamento della dipendenza da oppiodi ed è in grado di indurre dipendenza a sua volta. Altro che effetto placebo: siamo al cospetto della Scienza all’ennesima potenza.
GR
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