Giuseppe Russo
Avanti.it
La demolizione controllata del compagno Aboubakar Soumahoro, ultimo miraggio della sinistra allucinata, ha preso forma intorno alla denuncia delle malefatte di due “cooperative” facenti capo, a diverso titolo, alla moglie e alla suocera dell’onorevole, Liliane Murekatete e Maria Therese Mukamitsindo, donne di origine ruandese coinvolte da una ventina d’anni nella gestione di servizi per migranti e richiedenti asilo. Assecondando la sceneggiatura, tutto sarebbe partito dalla denuncia di alcuni minori ospiti delle strutture gestite dalle due società incriminate, la cooperativa Karibu ed il consorzo AID (Agenzia Inclusione e Diritti), i quali si sono rivolti al sindacato UILTuCS di Latina (articolazione della UIL) per segnalare il trattamento ricevuto durante il soggiorno: paghe non corrisposte, mancanza di acqua, luce e cibo, trasferimenti coatti. In verità, la montatura ad orologeria di un “caso” che è tale da una decina d’anni, con l’enfatizzazione di un’inchiesta della procura di Latina che è solo l’ultima di una lunga serie (ed alla quale il nostro è comunque estraneo), risulta funzionale alla chiusura dell’operazione-Soumahoro, il cui inizio si può far simbolicamente risalire alla copertina che gli dedicò l’Espresso nel giugno 2018, elevando il sociologo ivoriano a profeta dell’antisalvinismo (e a molte altre cose).
Le cooperative della discordia, la cui attività si dispiega fra l’Agro Pontino ed i monti Lepini con epicentro a Sezze, in provincia di Latina, hanno già fatto notizia diverse volte negli ultimi anni a causa delle iniziative di protesta organizzate dai richiedenti asilo loro ospiti. Già nel dicembre 2012 tre centri del consorzio erano stati scossi da mobilitazioni di immigrati ghanesi che reclamavano il loro pocket money, ovvero quella somma di denaro che dovrebbe essere loro elargita per le spese quotidiane. In quell’occasione Maria Therese Mukamitsindo, giunta in loco per parlamentare, era poi andata via scortata dalle forze dell’ordine. Sei anni dopo, nel maggio 2018, altri “ospiti” diedero vita a blocchi stradali fra Sezze e Roccagorga, mentre nel febbraio 2019 i richiedenti asilo si mobilitarono per la possibilità di cucinarsi il cibo dopo avere denunciato a più riprese l’inadeguatezza del servizio di catering. La cooperativa Karibu, inoltre, era già stata oggetto di provvedimenti di natura giudiziaria: nel dicembre 2018 fu disposto il pignoramento dei crediti che Maria Therese Mukamitsindo vantava presso gli enti pubblici allo scopo di saldare un debito di 139000 euro contratto con persone a diverso titolo dipendenti del consorzio . Tutte queste informazioni sono contenute nell’approfondita inchiesta sulla vicenda svolta da Emanuele Coletti e pubblicata in due parti sul sito Latinatu fra l’aprile ed il maggio 2019, nella quale si ricostruisce anche l’ascesa imprenditoriale di Maria Therese Mukamitsindo: giunta a Sezze nel 1998 dopo una tribolata fuga dal natio Ruanda, nel 2001 il comune (che è storicamente un feudo “rosso” in una provincia tradizionalmente “nera”) le affida la gestione dello sportello immigrazione, nel 2004 fonda la Karibu, che inizialmente si concentra sull’assistenza a donne e minori, nel 2010, sull’onda della crisi libica e dell’emergenza da essa cagionata, cooperativa e consorzio prendono ad allargarsi ad altri comuni del Basso Lazio, triplicando i loro dipendenti ed allargando la gamma dei servizi offerti. . Proprio nel 2010 la Mukamitsindo prese parte al meeting annuale di Comunione e Liberazione a Rimini, fatto che ne suggellò la caratura di professionista dell’immigrazione; successivamente, maturò nel territorio pontino una spartizione degli appalti fra la cordata “ruandese”, che si appoggiava alle giunte a guida piddina, e quella indigena, facente capo ad alcuni politici del centrodestra. A Latina e dintorni, insomma, le gesta e gli affari di madre e figlia erano noti da tempo, tanto è vero che la sezione locale di CasaPound inscenò una contestazione, nel maggio 2018, contro una sfilata di moda organizzata da lady Soumahoro. L’ottimo lavoro di Coletti contiene pure un’altra chicca: già nel maggio 2019, in tempi non “sospetti”, l’autore associava il futuro onorevole alle due donne ed alle loro attività. Ma Latinatu non è la Repubblica, e nessuno, allora, fece piangere il compagno Soumahoro.
Non serve quindi il senno di oggi, con il fenomeno Soumahoro in avanzato stato di demolizione, per attestare che costui è uno scaltro arrampicatore politico: bastava quello di ieri, e lo sbigottimento del leader dei Verdi Angelo Bonelli, (il quale “avrebbe commesso una leggerezza”), cioè di chi più si è speso per portare Soumahoro in Parlamento, evidenzia solo, volendo credere alla sua buona fede, l’assoluta inadeguatezza dei leader della “sinistra” italiana. Le sue agiografie (che verranno presto purgate di brutto) recitano che Aboubakar Soumahoro, dopo essere arrivato in Italia dalla natia Costa d’Avorio nel 1999 ed aver conseguito una laurea in sociologia a Napoli, si è dedicato anima e corpo alla causa degli ultimi fra i diseredati, i migranti che vivono nelle baraccopoli situate a ridosso dei campi di pomodoro in Puglia e degli aranceti in Calabria. La sua prima arrampicata la consuma all’interno del sindacato USB, di cui diventa dirigente; l’assassinio di Sacko Soumayla, il maliano freddato a fucilate nei pressi di San Calogero, in provincia di Vibo Valentia, il 2 giugno del 2018, proietta Soumahoro nell’olimpo mediatico: rilascia interviste, denota una certa abilità dialettica, buca il video coi suoi occhi sgranati… funziona. Appena due settimane dopo l’Espresso gli dedica la copertina (“Uomini e no” con i volti di Salvini e Soumahoro affiancati) dando inizio alla saga del “paladino degli ultimi”. La costruzione del personaggio Soumahoro è raffinata: si presenta egli stesso come un (ex) bracciante agricolo ma allo stesso tempo è un intellettuale con tanto di laurea, è il portavoce degli immigrati africani ma si ispira a Giuseppe Di Vittorio, è l’antisalvini ma è anche molto di più: addirittura un papabile leader della sinistra. A dare corpo all’operazione-Soumahoro, oltre al gruppo Gedi e all’Espresso, contribuiscono La7, nei cui studi il nostro è spesso ospite, soprattutto nella trasmissione Propaganda Live condotta da Diego Bianchi in arte “Zoro”, la casa editrice Feltrinelli, che dà alle stampe nel 2019 la prima opera del paladino, Umanità in rivolta, l’Huffington Post che gli affida una rubrica (come fa, d’altra parte, anche l’Espresso).Nel giugno 2020, mentre Giuseppe Conte organizza i suoi grotteschi “Stati Generali dell’Economia”, Soumahoro replica con uno sciopero della fame e della sete che neanche Pannella, inauguarando una nuova stagione della sua militanza, quella in cui egli è il profeta degli “invisibili” che, animato da zelo missionario, sfrutta la sua visibilità solo per il bene della Causa e per null’altro. Presto l’USB finisce per stargli stretta: nel luglio 2020 prende forma una sorta di “separazione consensuale”, con il sindacato di base che in un comunicato augura a Soumahoro “i successi che merita nel mondo in cui ha scelto di meditare camminando”. Sulle prime, il rampante sindacalista non più invisibile mette in piedi un sindacato personale, la “Lega per i braccianti”, che inizia ad operare nelle stesse realtà in cui è attiva l’USB: con questa sigla fa in tempo ad organizzare una raccolta fondi a favore dei bambini di un ghetto pugliese nel quale, in realtà, di bambini non ce ne sono: don Andrea Pupilla, direttore della caritas di San Severo, solleva il caso a distanza di oltre un anno dai fatti, rilevando che la preventivata distribuzione di doni ai minori non si è mai verificata. Quello delle raccolte fondi è un terreno congeniale ad Aboubakar Soumahoro: nel 2020, assieme all’USB, aveva raccolto centinaia di migliaia di euro per distribuire generi di prima necessità agli abitanti dei ghetti durante il lockdown; un anno e mezzo dopo, l’ormai ex sindacato del non più invisibile si chiederà polemicamente che fine abbiano fatto quei soldi. La risposta di Soumahoro sarà una richiesta di risarcimento di 25000 euro.
In quel fatidico 2018 in cui si guadagna la copertina de l’Espresso, Soumahoro trova anche l’amore, incontrando la femme che più di tutto gli risulterà fatale, quella Liliane Murekatete (alias “lady Gucci”) la cui vita luccicosa sarà poi adoperata come grimaldello per scardinare la credibilità di Soumahoro, che pure era stata costruita tassello dopo tassello. Non solo Liliane Murekatete possiede diverse pagine social in cui ostenta i suoi capi di alta moda, non solo è stata protagonista di iniziative imprenditoriali di dubbio gusto, come la creazione del marchio “K Mare 2018”, lanciato da una sfilata di modelle migranti, ma è stata addirittura assistente di Alberto Michelini, rappresentante personale del presidente del Consiglio per l’Africa: come lei stessa rivendica, ha lavorato nel governo Berlusconi, riuscendo pure ad ottenere un incontro privato col capo. Tutto questo, rivelato come uno scoop nelle ultime ore, faceva bella mostra di sé nel profilo Linkedin di Liliane Murekatete; stranamente, quelli dell’Espresso, quelli di La7 e quelli dell’Alleanza Verdi – Sinistra Italiana, che si sono tanto sbattuti per regalare a Soumahoro un seggio “sicuro” nel quale il nostro ha comunque perso (per poi essere “ripescato” nelle quota proporzionale) non sapevano nulla del compromettente passato della consorte del loro beniamino.
Aboubakar Soumahoro, come da tutti sottolineato fino allo sfinimento, non risulta indagato, né a Latina né altrove, e continua ad essere oggetto di devozione, come nella migliore tradizione dei profeti. Tuttavia, anche lui ha dato un contributo alla demolizione del suo personaggio, inanellando una serie di clamorosi autogol comunicativi all’indomani delle “rivelazioni” pubblicate da la Repubblica: prima si è trincerato nel no comment, poi ha minacciato di denunciare tutti, infine ha pubblicato un video (in seguito da lui disconosciuto a Piazzapulita, sempre su La7) in cui, simulando un pianto coccodrillesco, accusa interlocutori immaginari (o forse, neanche tanto) di “volerlo morto”, ribadendo che non si arrenderà mai…gli invisibili…la nostra lotta…eccetera eccetera eccetera. Sfidando la devozione dei suoi discepoli, inoltre, la moglie ha dichiarato che con Aboubakar non parlano mai degli affari di famiglia e che lei, dopo aver lavorato un solo anno, peraltro a titolo gratuito, alla Karibu, sarebbe oggi una povera disoccupata griffata. Gli autogol sorprendono poiché, in precedenza, il buon Aboubakar le aveva azzeccate tutte sul piano della comunicazione. Per restare al passato prossimo, Soumahoro si è presentato alla prima riunione della Camera con gli stivali sporchi di fango, ha polemizzato con la Meloni che gli aveva dato del “tu” al posto del “lei”, si è precipitato sui moli catanesi per visitare le navi dei migranti ed invocare l’intervento di Mattarella per dare loro la libertà. Un campione della comunicazione fino a poche settimane fa, una schiappa oggi. Lecito quindi supporre che egli ricevesse “assistenza” da agenzie contigue a quegli ambienti che ne promuovevano la figura, agenzie come la Social Changes, di cui si era già parlato a proposito dell’ascesa di Elly Schlein. Costoro, infatti sono alla ricerca di ” leader straordinari, che abbiano già dimostrato di sapersi impegnare per risolvere i problemi delle persone…attivisti della società civile la cui leadership, troppo spesso, non viene riconosciuta e supportata ”: sembra il ritratto di Aboubakar Soumahoro, ed appare probabile che pure lui abbia avuto un “aiutino americano” nella sua arrampicata, aiutino venuto meno, plausibilmente per ordini dall’alto, una volta che si è deciso di puntare tutte le carte su un’altra “leader straordinaria”, quella Schlein che, come riportato da il Giornale, si sfogava preoccupata con la collega Anna Ascani dicendo, a proposito di Soumahoro, allora all’apice della (benigna) esposizione mediatica (erano i giorni degli stivali…): “Tra sei mesi ce lo ritroviamo segretario”. Non andrà così, e Aboubakar Soumahoro dovrà accontentarsi dello scranno parlamentare, abbassare la cresta e rientrare nei ranghi: il suo tempo è passato e, come gli han fatto nitidamente sapere, possono togliergli in qualunque momento tutto ciò che gli hanno dato.
Feli dice
Malcom X lo avrebbe definito “un negro da giardino”…. Poche parole a buon intenditore.