I colombiani lo sanno bene: sarà molto difficile per il loro presidente Gustavo Petro raggiungere gli obiettivi politici e sociali prefissati. Troppi gli interessi statunitensi nel paese, tanto nel settore agricolo quanto delle pietre preziose, così come negli idrocarburi, essendo il terzo paese sudamericano, dopo Venezuela e Brasile, più ricco di giacimenti non convenzionali. Sin da quando è stato eletto, Petro ha lavorato per scardinare il sistema di caste per cui la gestione delle risorse del paese e delle posizioni più remunerative è appannaggio di un ristretto ceto di ricchissimi legati ai padroni americani, con grandi riforme che vanno a cambiare strutturalmente il mercato del lavoro, il sistema pensionistico, la scuola e la sanità. Osteggiato dall’opposizione, già all’inizio dell’anno Petro ha chiesto l’appoggio del popolo, così il 14 febbraio decine di migliaia di manifestanti sono marciati per le strade di Bogotà e in altre località del paese.
Dove tuttavia il presidente colombiano rischia seriamente di scottarsi è con la riforma del narcotraffico, che prevede la svolta epocale di cessare per la prima volta in sessant’anni la guerra armata contro le milizie delle FARC – un tempo guerriglieri comunisti, oggi mercenari al servizio dei trafficanti di droga appoggiati dagli USA attraverso l’ONU, che non ha esitato a coprire e cooperare con gli assassini dell’osservatore italiano Mario Paciolla, a cui proprio ieri tra l’altro l’Università Orientale di Napoli ha intitolato un’aula – per arrivare a uno storico accordo, denominato da lui stesso “paz total”, secondo il quale viene concesso uno sconto di pena e una percentuale significativa del patrimonio ai narcos, mentre ai contadini viene dato un periodo di tempo per riconvertire, a spese dello stato, i campi coltivati a cocaina in altre colture. Una vera e propria mazzata per il traffico di droga non solo per gli Stati Uniti, che della Colombia avevano fatto il principale fornitore della sempre crescente domanda interna di cocaina, ma del mondo intero.
Così, sono partite immediatamente le contromisure, attaccando i familiari più prossimi di Gustavo Petro per distruggerne la credibilità come paladino della lotta al narcotraffico: come da manuale dello spionaggio, è bastato sobillare il rancore di una ex moglie con chissà quali generose offerte, e Nicolas Petro, deputato e figlio maggiore del presidente, finisce nel ciclone mediatico e nel mirino della magistratura per aver intascato, stando a un’intervista rilasciata dalla donna a Semana, 600 milioni di pesos (circa 124mila dollari) da un certo “Marlboro”, al secolo Samuel Santander Lopesierra, per la campagna elettorale del padre – soldi che però non sarebbero, sempre secondo la donna, mai stati spesi per la campagna, in quanto Nicolas li avrebbe tenuti per sé: classico gioco della ritrattazione immediata, così da dare modo ai media di infangare senza essere perseguibili – oltre a 200 milioni ricevuti da Alfonso Hilsaca detto “El Turco”. Entrambi malavitosi del giro di narcos e paramilitari, avrebbero oliato il buon Nicolas e altri “suoi amici” per far sì che rientrassero nel piano di benefici concessi dal governo nell’ambito della “paz total”; nella cricca che intascava mazzette era presente anche il fratello del presidente, Juan Fernando Petro. Con i due familiari del presidente i media, per cogliere più piccioni con una fava, hanno acceso i riflettori anche su tutti i membri del governo beccati a colloquio con Nicolas, presumendo che parlassero proprio delle mazzette da intascare dai signori della droga, gettando nel calderone di fango anche il ministro dell’interno Alfonso Prada e quello della salute Carolina Corcho.
Dal canto suo, Gustavo Petro non ha espresso alcuna parola in difesa dei suoi, e anzi ha dichiarato: “A causa delle informazioni che circolano nell’opinione pubblica su mio fratello Juan Fernando Petro Urrego e su mio figlio maggiore Nicolás Petro Burgos, chiedo al procuratore generale della nazione di svolgere tutte le indagini necessarie e di determinare eventuali responsabilità […] l’unico funzionario che ha l’approvazione del governo per avere contatti con organizzazioni illegali con l’unico obiettivo di cercare la pace è l’Alto Commissario per la Pace, Danilo Rueda […] chiunque voglia interferire in questo obiettivo (di pace totale) o trarne vantaggio personale non ha posto nel governo, anche se è un membro della mia famiglia”. Nessuno sconto, insomma, per i familiari, tanto che il figlio si è difeso dalle parole del padre sostenendo che “è un errore da parte della Presidenza collegarmi a una questione così grave legata alla corruzione da parte di organizzazioni criminali che cercano di ostacolare la pace totale”, assicurando di non aver mai nemmeno parlato con Marlboro e il Turco e sollecitando “un’indagine per chiarire e tutelare il mio onore e il mio buon nome”.
MDM
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