Gli esseri umani, non paghi di insozzare il mondo da vivi, continuano a farlo anche da morti. Ogni caro estinto, infatti, per essere sobriamente accompagnato al camposanto produce la stessa quantità di anidride carbonica di un’auto che percorre 4000 chilometri. L’uso delle bare “tradizionali” in legno più o meno pregiato conduce ad un abbattimento massivo di alberi, mentre il continuo allargamento del perimetro dei cimiteri causa uno sconsiderato consumo di suolo. La cremazione dei defunti, pratica in ascesa in tutto l’Occidente per motivi culturali ma anche di ordine pratico, risolve il problema solo in parte: per ridurre in cenere una salma si impiegano fino a 135 litri di carburante, disperdendo nell’atmosfera qualcosa come 245 chili di CO2. Nei soli Stati Uniti i quasi due milioni di cremati del 2020 si sono lasciati alle spalle centinaia di migliaia di tonnellate di “gas serra”. A sciorinare questi dati è stato Micah Truman, fondatore e proprietario della Return Home, azienda pionieristica nel settore della “terramazione” (pratica altrimenti nota come “compostaggio umano”), il quale, pur operando nello stato di Washington, sulla costa occidentale degli Stati Uniti, ha trovato in quattro circostanze ospitalità sulle pagine de la Repubblica negli ultimi due anni. La terramazione consiste nella trasformazione della salma in terriccio: i corpi vengono ricoperti di paglia, segatura ed erba medica, e collocati in contenitori di acciaio all’interno dei quali viene pompata aria calda, decomponendosi quasi completamente nell’arco di trenta giorni. Solo le ossa sfuggono all’azione dei microbi e vanno frantumate e rimescolate al compost in un secondo momento. Così facendo, ogni trapassato si trasforma in duecento chili di fertile terriccio, che potrà essere consegnato alla famiglia, disperso in un “bosco cimiteriale” oppure commercializzato come prodotto per orti e giardini. Il processo di legalizzazione della terramazione negli Usa è partito nel 2018 ed ha coinvolto sinora gli stati dalla fama più “liberal”: oltre a quello di Washington, l’Oregon, il Colorado, il Vermont e l’immancabile California. La causa è stata perorata dai parlamentari democratici e timidamente avversata dalla Chiesa cattolica, che è stata sostanzialmente accusata di voler mantenere la sua rendita di posizione nel mercato dei servizi cimiteriali, ambito di cui è prevista un’espansione nei prossimi anni, soprattutto per quanto riguarda le sepolture “alternative”. E così, coma da manuale di storia del capitalismo, si sono lanciati sul business nascente imprenditori visionari come Micah Truman, inizialmente foraggiati da investitori guardinghi in attesa che il boccone diventi grosso ed entri nel campo di interesse delle multinazionali. Un altro della stessa pasta è John Humphries, che è stato invece pioniere della “acquamazione” con la sua Aquamation Industries, ditta che si prefigge apertamente di “trasformare l’industria funeraria”. Nell’acquamazione le salme vengono disciolte in una soluzione di acqua e idrossido di potassio, liquefacendosi e “tornando alla natura”; pure con questa pratica le ossa subiscono un trattamento a parte, venendo polverizzate dopo lo scioglimento di organi e tessuti per finire in un’urna “classica” come quelle usate per le ceneri dei cremati. Per far concorrenza alla terramazione, l’acquamazione ha poche frecce “ecologiche” al suo arco (visto che i cocktail di cristiani e potassio vanno comunque “smaltiti”), ma ha goduto di un testimonial di eccezione quale Desmond Tutu, l’arcivescovo anglicano sudafricano simbolo della lotta all’apartheid che ha scelto di farsi “acquamare” dopo la sua morte, avvenuta alla fine del 2021. In Italia, dove le alternative “sostenibili” a sepoltura e cremazione non sono (ancora) consentite, ci si è dati da fare con la Capsula Mundi, opera dei designer Anna Citelli e Raoul Bretzel. Essa consiste in un’urna a forma di uovo che viene riempita con le ceneri dell’estinto e interrata, fungendo da base per la piantumazione di un albero. Diventare un albero è assai più suggestivo di essere trasformati in generica terra o in qualche ettolitro di liquami al potassio, e lo slogan “Una morte piena di vita” è azzeccatissimo, ma anche la capsulamundizzazione pone interrogativi di natura pratica e metafisica. Intanto, un uomo-albero occupa assai più spazio di un uomo-cenere (e anche di uno sciagurato che s’è fatto inumare con la bara “tradizionale”): con l’esaurimento degli spazi nei cimiteri comunali, è probabile che il servizio di custodia dei defunti, in qualunque forma essi si presentino, vada incontro ad un selvaggio processo di privatizzazione, al termine del quale i morti di serie A troneggeranno in un mausoleo che non bada a spese o quantomeno in un boschetto, mentre i morti delle serie minori finiranno, giusto per qualche anno prima di fare spazio, in un microscopico e inaccessibile loculo a gestione “pubblica”. Inoltre, l’albero potrebbe non attecchire e morire precocemente, lasciando spazio ad amare considerazioni cariche di simbolismi sulla natura del defunto. C’è pure chi ha fatto notare che tutti questi marchingegni che puntano a rendere la morte umana ecologicamente “sostenibile” conducono in realtà ad un aumento dell’inquinamento del suolo, visto che oggi un esemplare medio di Homo sapiens si presenta al momento del trapasso pieno di veleni e metalli pesanti dopo una vita passata ad abbuffarsi di merendine e a respirare il progresso. Quel che è certo è che chi sa fare i conti ha calcolato che si morirà sempre di più, producendo sempre più anidride carbonica col rischio di non raggiungere gli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto per il 2050. Questo eccesso di mortalità che si manifesterà nei prossimi anni viene legato (ancora) al coviddi in attesa di virare compiutamente verso i “cambiamenti climatici”. Nel Mondo Nuovo non basterà morire, ma bisognerà farlo a norma di legge, dandosi da fare in vita per rendere “sostenibile” il proprio “smaltimento”. “Scusate il disturbo” sarà l’implicito epitaffio di tutti i sepolcri.
GR
Vittorio dice
🤟🏿