Marco Di Mauro
Avanti.it
Heinz e Zbig: vite parallele
Il contesto geopolitico delle attuali guerre americane, Siria e Ucraina in primis, ha acceso i riflettori su una figura controversa di stratega militare e di politica estera, finora poco noto in Italia pur essendo una celebrità in patria: il diplomatico e analista politico Zbigniew Kazimierz Brzeziński, che, se non fosse venuto a mancare nel 2017, avrebbe fatto coppia con Heinz (poi naturalizzato “Henry”) Kissinger come statista più longevo della storia dell’atlantismo. Entrambi americani d’adozione (nati rispettivamente a Varsavia il primo e a Fürth il secondo), sono considerati i principali protagonisti del successo in politica estera e fautori del primato americano sul mondo, sancito alla fine degli anni Ottanta dal crollo dell’Unione Sovietica, e maestri indiscussi della Realpolitik. Ma i due, pur essendo parte dello stesso establishment, ne rappresentano due diversi orientamenti.
Heinz Kissinger e la dottrina della distensione aggressiva
Formatosi sulla dottrina dell’equilibrio propugnata al Congresso di Vienna da Castlereagh e Metternich, il repubblicano Kissinger a trent’anni è già ai vertici di Harvard e viene lanciato in politica da Nelson Rockefeller, incontrato nel 1955, che lo mette alla direzione degli studi speciali nella fondazione di famiglia. Affermatosi negli anni Cinquanta come consulente di riferimento dei principali organi, agenzie, dipartimenti e think tank (Rand Corporation, Gruppo Bilderberg, Consiglio di Sicurezza Nazionale, Council on Foreign Relations, Dipartimento di Stato) negli anni sessanta è il primo interlocutore di politica estera dei presidenti John Fitzgerald Kennedy e Lyndon Johnson dal 1961 al 1969, ma è dal 1969 al 1977 che diviene il demiurgo dell’imperialismo americano, quando Richard Nixon lo nomina National Security Advisor, mantenendo la carica, unico sopravvissuto al Watergate, anche con Gerald Ford, che lo nomina Segretario di stato.
La strategia di Kissinger dà una svolta in senso diplomatico alla politica estera propalata fino ad allora dal governo Eisenhower, che puntava al contenimento dell’URSS attraverso il rollback, ovvero il cambio di regime negli stati confinanti col nemico, sostenuto militarmente dal diretto intervento americano, al fine di ostacolarne fisicamente l’espansione territoriale ed economica. Le idee del diplomatico ebreo-tedesco, espresse nel best seller del 1958 Nuclear Weapons and Foreign Policy, sono una riproposizione della raffinata diplomazia della Restaurazione nell’era atomica: se scongiurare i moti rivoluzionari era il deterrente per mantenere il delicato equilibrio tra le aristocrazie europee riunitesi a Vienna, nel mondo bipolare della Guerra Fredda era la minaccia dello scoppio di un conflitto atomico a mettere d’accordo le due superpotenze USA e URSS. Così, i suggerimenti di Kissinger spingono il governo Kennedy a triplicare i fondi per lo sviluppo degli arsenali nucleari, alimentando quella corsa agli armamenti che culminerà nella crisi dei missili di Cuba nel 1962, il momento in cui l’umanità si è sentita più vicina alla guerra atomica nella sua storia.
In questa prima fase Kissinger non si discosta molto dalla politica del rollback, anche perché la sua influenza sull’entourage di JFK è piuttosto limitata, ma quando Lyndon Johnson lo spedisce in Vietnam per fare rapporto alla presidenza sullo stato dell’arte, si rende conto che l’intervento militare diretto, coi costi in termini economici e di vite umane che comporta, crea più problemi di quanti non ne risolva. Mentre confeziona dettagliati rapporti dal fronte, Kissinger dà una sistemazione definitiva ai suoi studi sulla diplomazia della Restaurazione post-napoleonica, scrivendo A World Restored: Castlereagh, Metternich and the Problems of Peace, 1812-1822 e quando nel 1969 il neoeletto Richard Nixon gli conferisce la carica di National Security Advisor, l’opinione pubblica americana è in pieno fermento contro la politica estera aggressiva dei precedenti governi. Il consigliere non ha dubbi: gli interventi militari in Corea, a Cuba e in Vietnam non solo si sono risolti con un nulla di fatto sul fronte estero, ma hanno creato una forte destabilizzazione sociale in patria. Finalmente libero di mettere in atto la sua dottrina dell’equilibrio, avvia la progressiva smilitarizzazione dei fronti aperti, e l’aperta aggressività diplomatica che aveva caratterizzato i due avversari della Guerra Fredda lascia il posto all’era della détente, la politica di distensione con l’Unione Sovietica, che alla logica della armi sostituisce lunghe e delicate trattative diplomatiche.
Passato alla storia per i suoi innumerevoli viaggi, Kissinger si reca in tutti gli scenari più caldi degli anni Settanta, mantenendo l’egemonia americana attraverso estenuanti schermaglie diplomatiche. Per togliere terreno all’URSS, arriva perfino ad aprire un dialogo con la Cina di Mao Tse-tung. La diplomazia capillare e cattedratica del maestro della distensione, tuttavia, non deve far pensare a una ridotta aggressività della politica estera a stelle e strisce: in verità, l’uso della violenza della “dottrina Kissinger” non ha precedenti nella storia americana, rivolta soprattutto all’America latina con l’Operazione Condor e l’appoggio del golpe di Augusto Pinochet. Anche in Africa e Indonesia il braccio violento dell’imperialismo continua a rovesciare governi ed effettuare massacri, ma a differenza delle politiche precedenti gli americani non sono mai coinvolti direttamente nei conflitti che scatenano. Dove prima si schieravano platealmente truppe, missili, aerei e carri armati, adesso va la CIA a manipolare e sobillare i locali perché si scannino tra loro nell’interesse dell’imperialismo. La “distensione” del professore ebreo consiste in effetti nel consolidare dei rapporti di facciata mentre si moltiplicano esponenzialmente gli interventi violenti, in segreto e nei punti di contatto – geografici o politici – tra i due imperi. Dopo sedici anni di ribalta, Heinz Kissinger è costretto a ritirarsi dietro le quinte dal cambio della guardia che porta al governo i Democrats: il nuovo presidente Jimmy Carter gli preferisce un altro professore, il polacco americano Zbigniew Brzeziński, rivale di Heinz sin dai tempi di Harvard.
La geopolitica predittiva di Brzeziński
Nel 1959 un giovane Kissinger viene preferito al professor Brzeziński come assegnatario di una cattedra associata ad Harvard. Zbig – così è chiamato nella patria d’adozione, semplificato alla maniera yankee – ripiegò alla Columbia University, in quanto non si era fatto una buona nomea ad Harvard, avendo criticato apertamente la politica estera di Dwight Eisenhower nei confronti dei paesi dell’est Europa. Attentissimo studioso del totalitarismo bolscevico, autore di Soviet Bloc: Unity and Conflict in cui aveva intravisto quarant’anni prima le avvisaglie della dissoluzione dell’Unione Sovietica: le rivolte di Polonia e Ungheria nel 1956 contro il blocco comunista avevano rafforzato la convinzione del professore che un cambio di atteggiamento degli Stati Uniti verso questi paesi, dall’ostilità a una segreta collaborazione, avrebbe ricavato agli interessi atlantisti degli efficacissimi avversari contro l’URSS.
Frequenta gli stessi circoli del potere atlantista di Kissinger, dal Bilderberg al Council of Foreign Relations, e in un primo momento è favorevole alla politica estera di détente e di prosecuzione pacifica della Guerra Fredda, con una particolare attenzione ai paesi dell’Europa orientale e alla sua nativa Polonia, come sostenuto nella sua opera del 1965 Peaceful Engagement, totalmente in linea con la politica estera della distensione. Formidabile maestro nella longe durée soprattutto in senso predittivo, le sue teorie lo portano tuttavia a distaccarsi progressivamente dalla politica di Kissinger e Nixon: non ha senso intavolare un dialogo con una potenza come l’URSS, destinata a dissolversi in quanto non compatibile con la nuova era di progresso tecnologico alle porte. Così dice nel 1970 la sua opera fondamentale Between Two Ages: America’s Role in the Technetronic Era in cui definisce la seconda metà del XX secolo come una fase di transizione tra l’era industriale e l’era “tecnotronica”, neologismo zbigniano che unisce gli aggettivi ‘tecnologica’ ed ‘elettronica’.
L’opera – data alle stampe soltanto due volte, nel 1971 e nel 1982, oggi introvabile in formato cartaceo, è una sconvolgente preconizzazione del mondo così come voluto dai criminali transnazionali della cricca Rothschild-Rockefeller, ovvero del capitalismo della sorveglianza, del transumanesimo, la scientocrazia, il governo unico mondiale, e su di essa è necessaria una trattazione a parte – inizialmente descrive quella che l’autore definisce la “terza rivoluzione americana”, ovvero quella tecnotronica che segue le rivoluzioni agricola e industriale, e che porterà all’instaurazione di governi scientocratici fondati sul controllo totale della popolazione, basato sia sul tracciamento totale di ogni aspetto della vita in enormi database, sia sulla modificazione genetica dell’uomo, sia sul lavaggio del cervello. Dal momento che si tratta di un superamento naturale dello stato-nazione, forma di organizzazione umana resa obsoleta dalla nuova rapidità ed efficacia di governo delle “banche internazionali e multinazionali”, sua premessa necessaria è l’instaurazione di una leadership mondiale unica: essendo gli USA la culla di questa rivoluzione, è chiaro che debba spettare a loro il governo mondiale. La Russia è già in crisi, e per questo è fondamentale la creazione di un asse mondiale che unisca i poli fondamentali del mondo Occidentale, e che ricopra i tre “lati” del mondo.
È proprio, infatti, seguendo i dettami di Between Two Ages che David Rockefeller fonda nel 1973 insieme a Brzeziński la Commissione Trilaterale, organizzazione sovrastatale in cui sono rappresentati, almeno nominalmente, gli interessi di USA, Europa occidentale e Giappone, ma di fatto è l’organismo strategico militare delle grandi famiglie sioniste e globaliste fautrici del Nuovo Ordine Mondiale. Dopo la sua fondazione, Zbig cambia completamente il suo orientamento rispetto alla détente, e inizia a schierarsi tra i critici della “debolezza” della dottrina Kissinger. Eppure, come consigliere della campagna elettorale di Kennedy aveva sostenuto la pacificazione dell’est Europa, e si era addirittura dimesso dalla carica di consigliere del governo Johnson quando questi aveva deciso di rafforzare la partecipazione americana in Vietnam.
Molto interessante in merito un meeting tenutosi a marzo 1976 a cui partecipa il gotha del governo Ford, tra gli altri il Segretario di stato Kissinger e il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Brent Scowcroft, le cui conversazioni sono trapelate trent’anni dopo in un volume pubblicato nel 2012 dal Council of Foreign Relations, e riportate dal Washington Post:
Kissinger: – Sono andati in giro per settimane ad attaccare la politica estera americana e accusarci di debolezza. E quando poi per la prima volta gli rispondo, dicono che è sleale. Ma ho una notizia per loro: ho intenzione di rispondergli ancora a Dallas il 22 marzo.
Scowcroft: – Anche Carter ha risposto. Capisco che ha Brzeziński a lavorare per lui. E questo non lo aiuterà molto…
Kissinger: – Brzeziński è una puttana totale. Ha sostenuto ogni opinione di ogni fazione. Ha scritto un libro sul coinvolgimento pacifico [Peaceful Engagement NdT] e ora che stiamo facendo la maggior parte di ciò che ha detto nel libro, ci accusa di debolezza!
Proprio l’anno successivo Jimmy Carter sarà il nuovo presidente, farà di Zbig il suo Consigliere per la Sicurezza Nazionale e insieme smantelleranno tutti i passi verso la détente fatti dai governi precedenti: inizia un sostegno ai dissidenti sovietici, nelle parole e nei fatti, che suscita perplessità nei diplomatici russi ed europei e spacca in due i Dem dell’epoca. Ma Zbig prosegue nella sua opera di destabilizzazione dell’URSS nell’est Europa, facendo potenziare il segnale di Radio Free Europe e cooptando la fondazione e diffusione del movimento dissidente polacco Solidarność con la collaborazione del nuovo papa, il suo conterraneo Karol Józef Wojtyła.
L’utilizzo di gruppi di potere di matrice religiosa contro il comunismo sovietico non vale solo nel Vecchio Continente, infatti Brzeziński foraggia in Medio Oriente l’Operazione Ciclone, mirata ad addestrare e radicalizzare i mujāhidīn, letteralmente “guerrieri della jihad”, provocando nel dicembre del 1979 l’invasione sovietica dell’Afghanistan, quello che definirà orgogliosamente con lo stesso Carter “il Vietnam dei russi”.
Un altro voltafaccia rispetto alla détente è la gestione dei rapporti con la Cina: se Kissinger aveva fatto visita a Mao, continuando però a sovvenzionare e armare Taiwan, Zbig avvia proficui rapporti con la Repubblica Popolare Cinese e soprattutto col nuovo presidente Deng Xiaoping in funzione anti-russa, spostando l’ambasciata americana da Taipei a Pechino e interrompendo i flussi di armamenti verso i separatisti.
Meno fortuna avrà sullo scenario mediorientale, nonostante il successo di Camp David, per il fallimento nel contrasto alla rivoluzione musulmana di Khomeini in Iran. Alla fine del governo Carter nel 1981, Zbig si ritira dalla carriera politica ufficiale nonostante il nuovo presidente Ronald Reagan gli offra lo stesso ruolo avuto nel governo precedente: ormai sa di aver seminato bene la strategia della Trilateral, e otto anni dopo ne vede i frutti con il fallimento della perestrojka e il crollo dell’URSS.
Lo spettro di Zbig sulla guerra d’Ucraina
Ma non esulta, e anzi elabora una complessa teoria predittiva che farà confluire in un’altra importantissima opera The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives. Questa è la più citata rispetto alla guerra d’Ucraina e agli attuali scenari geopolitici, poiché Zbig riesce a prevedere (quasi) al millimetro la situazione odierna: innanzitutto, l’espansione della NATO nell’est Europa, incorporando la maggior parte dei paesi del Patto di Varsavia; la creazione dell’islam radicale, avviata da lui e perfezionata da CIA e Mossad, ha creato quell’ “arco di instabilità” in tutti i paesi in -stan dell’Asia centrale, che ha tenuto per anni la Russia in una situazione di isolamento nel proprio stesso continente.
L’opera suggerisce anche la sottrazione dell’Ucraina al controllo della Russia e il suo ingresso nell’orbita occidentale: «La questione cruciale, che potrebbe arrivare a un punto drammatico nel corso del 1994, è la futura stabilità e indipendenza dell’Ucraina. Non si sottolineerà mai abbastanza che senza l’Ucraina la Russia cessa di essere un impero, ma con l’Ucraina sottomessa e poi subordinata, la Russia diventa automaticamente un impero. I responsabili politici americani devono affrontare il fatto che l’Ucraina è sull’orlo del disastro: l’economia è in caduta libera, mentre la Crimea è sull’orlo di un’esplosione etnica provocata dalla Russia. Entrambe le crisi potrebbero essere sfruttate per promuovere la disgregazione o la reintegrazione dell’Ucraina in un quadro più ampio dominato da Mosca. È urgente ed essenziale che gli Stati Uniti convincano il governo ucraino – attraverso la promessa di una sostanziale assistenza economica – ad adottare riforme economiche a lungo rimandate e fortemente necessarie. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti dovrebbero fornire garanzie politiche per l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina.» Il fine è isolare la Russia dalla sua vocazione occidentale e relegarla allo status di potenza asiatica, spingendola così tra le braccia della Cina che, essendo più potente, avrebbe relegato Mosca ad una funzione di stato-cuscinetto tra USA ed estremo oriente; quello che Brzeziński auspica, pur ritenendola una remota possibilità, è una nuova guerra fredda tra America, coi suoi satelliti occidentali, e Cina, coi suoi satelliti Russia e Iran.
La Grande Scacchiera, come qualche lettore avrà già capito, ha evidenti limiti. Primo tra tutti, l’evidente pregiudizio su una Russia appena sfaldatasi, e non ancora ricomposta e rivitalizzata dal sistema Putin. In secundis, la perdita da parte degli USA di alleati strategici come Bangladesh e Pakistan, oggi molto più vicini all’orbita cinese. In tertiis, l’intervento economico e militare della Cina negli scenari africani e yemeniti.
Coloro che ancora oggi attribuiscono alla “dottrina Brzeziński” un’importanza capitale nella guerra d’Ucraina si sono purtroppo fermati allo Zbig degli anni Novanta, senza considerare le sostanziali modifiche apportate alla sua dottrina dall’ingresso in politica di una nuova compagine che con lui non è mai andata d’accordo: quella dei Neocon. La rapacità della geopolitica del Nuovo Secolo Americano di Strauss, Bush, Rumsfield, Cheney, Powell, le devastazioni della Guerra del Golfo, l’invasione dell’Iraq e poi dell’Afghanistan, sono state aspramente osteggiate da Brzeziński, che vi vedeva delle “guerre di colonizzazione in un mondo post-coloniale”, cui è seguita una perdita della reputazione mondiale degli USA e un revanscismo in Medio Oriente che difficilmente sarà ricomposto in un sistema di dominio unipolare.
Il primo decennio del XXI secolo vede emergere in lui una visione più pessimistica, in cui vede tramontare sempre più la sua idea di mondo dominato dall’America: in un discorso tenuto durante le Whitehead Lectures alla Chatham House di Londra il 17 novembre del 2008 Zbig, allora consigliere di Obama, parla della crisi profonda del potere americano, causata da “una guerra non necessaria e comportamenti non etici che hanno progressivamente screditato la leadership”, e da due fattori estremamente problematici: da un lato la difficile gestione dei problemi legati alla fame, all’ambiente, alla salute in un mondo sempre più popolato; dall’altro quello che lui chiama il “risveglio politico globale” che rende le masse sempre più consapevoli politicamente e sempre meno controllabili: “Anche le grandi potenze mondiali, vecchie e nuove, si trovano di fronte a una nuova realtà: mentre la letalità delle loro forze armate è più grande che mai, la loro capacità di imporre il controllo sulle masse del mondo politicamente risvegliate è ai minimi storici. Per dirla senza mezzi termini: in passato era più facile controllare un milione di persone che ucciderne fisicamente un milione; oggi è infinitamente più facile uccidere un milione di persone che controllarne un milione.”
In una conferenza al Peterson Institute for International Economics del 7 luglio 2011 intitolata “Il futuro dell’Ucraina: le sfide e l’impatto della governance in Ucraina” il professore polacco americano si spinge addirittura oltre: dal momento che il premier Janukovyč si sta muovendo verso la NATO e l’UE addirittura più del predecessore Juščenko, è auspicabile che entro il 2022 (!) possa entrare nell’Unione Europea. Su queste premesse, arriva addirittura a riformulare il suo assioma che oggi va per la maggiore: “Ero solito dire che se l’Ucraina è sottomessa dalla Russia – cosa che oggi credo sia meno probabile – la Russia ridiventa un impero. Ma oggi il mio pensiero va oltre: se l’Ucraina non è sottomessa, la Russia ha molte più probabilità di diventare europea” una visione diametralmente opposta alla sua dottrina così come traspare dalla Grande Scacchiera. E soprattutto, diversissima da quella dei Neocon, che spodesteranno Janukovyč con l’intervento diretto in loco di John McCain e Victoria Nuland, presenti addirittura in piazza con i golpisti, e instaureranno nel paese un regime nazista.
In uno dei suoi ultimi interventi, in una conferenza dell’Atlantic Council del 2014, Zbig affermava che la crisi ucraina è “la più importante sfida ai sistemi internazionali dalla fine della Guerra Fredda” e prevedeva, con la sua consueta capacità predittiva, che “Gli ucraini combatteranno solo se sanno che riceveranno aiuto dall’occidente. In particolare nel tipo di armamenti necessari per attuare una difesa di successo. Non saranno in grado di battere i russi in campo aperto, con l’impiego di migliaia di carri armati. Possono batterli in una sola maniera: una resistenza urbana prolungata. A quel punto la guerra diventa dispendiosa, e i suoi costi economici salgono drammaticamente per i russi e la guerra diventa politicamente inutile. Ma per essere in grado di difendere la città devi avere armamenti anticarro portatili, razzi portatili, un’organizzazione per rendergli la cosa difficile. Ma la guerriglia urbana è quella più costosa e difficile per qualunque potenza coinvolta in un conflitto, finché non si predispongano a usare armi di distruzione totale, le quali ovviamente non sarebbero usate in questo caso.” L’anziano consigliere di Obama affermò nella stessa sede che l’Ucraina può entrare nell’Unione Europea, non mai nella Nato. Anche questo è stato sconfessato dalle provocazioni dei primi mesi di quest’anno, che hanno avviato una guerra destinata forse a sconfessare per sempre la leadership americana nel mondo.
Molto più vicino agli interessi sionisti l’altro “santo veglio” della politica americana, Heinz Kissinger, sopravvissuto a Brzeziński sia fisicamente che politicamente: autore di World Order nel 2014 e nel 2021 di The Age of AI: And Our Human Future insieme a Eric Schmidt, il cofondatore di Google, il novantanovenne ha preso parte quest’anno sia al World Economic Forum che al Bilderberg. Dunque, se l’attuale politica estera del governo Biden deve molto, come tutti i governi precedenti, alla linea impostata dal professor Brzeziński, vanno fatti tuttavia i dovuti distinguo, basandosi su un assioma fondamentale: l’obiettivo di Zbig era il primato americano, il compimento della globalizzazione, un raggiungimento del Nuovo Ordine Mondiale attraverso una politica estera che depotenziasse e isolasse l’avversario, portando la Cina dalla propria parte; in un’intervista rilasciata a Die Welt nel novembre 2020, Kissinger proclamava la pericolosa emergenza dovuta alla sempre maggiore potenza cinese in campo commerciale e tecnologico, che se non venisse bilanciato da una pari accessibilità alle piattaforme “il conflitto militare sarà straordinariamente difficile da contenere”. Al diplomatico Kissinger hanno fatto eco le parole di un irato George Soros, che ha attaccato direttamente e personalmente il presidente cinese Xi Jinping, proclamandolo un dittatore e una “minaccia per la società aperta”.
Questa è la strategia dei globalisti Neocon, ben diversa, seppur simile nelle basi, dalla dottrina Brzeziński: essa prevede una guerra totale con entrambe le potenze, Russia prima e Cina poi, per attaccare le fonti dell’approvvigionamento di merci globale e scatenare una crisi economica, energetica e alimentare senza precedenti, creando una destabilizzazione a livello mondiale su cui andare a imbastire la loro strategia autoritaria, arrivando a uno scenario fittizio di deglobalizzazione e multipolarismo per poi unificare sul piano digitale, e sotto il loro totale controllo, ciò che materialmente hanno distrutto. Sciacalli così feroci da far sembrare il lupo Zbig un agnellino.
Liliana dice
Davvero esaustivo
roberto dice
Ottima analisi!