Francesco Santoianni
Avanti.it
Fa davvero impressione vedere sulla homepage di Repubblica sotto l’annuncio di un suo ennesimo articolo apologetico sui vaccini datato 8 aprile 2023 la dicitura «con il contributo non condizionato di Pfizer».
Perché questa precisazione? Finora il contributo della Pfizer a Repubblica era “condizionato”? Si direbbe di sì, considerando l’esaltazione da parte del giornale degli Elkann del vaccino Pfizer e la demonizzazione (oltre che del vaccino Astrazeneca) di chiunque mettesse in dubbio la sua efficacia.
Ma diamo un’occhiata all’articolo di Repubblica “Sindrome da shock tossico, avanti con la sperimentazione sul vaccino” scritto con il contributo non condizionato di Pfizer. È l’ormai inflazionato tormentone sui batteri (primo tra tutti lo Staphylococcus aureus) capaci, sempre di più, di infezioni antibiotico-resistenti. La soluzione secondo il giornale diretto da Maurizio Molinari? Un vaccino, ça va sans dire. E chi dovrebbe essere sottoposto a questo nuovo miracoloso farmaco? Verosimilmente tutti, anche se l’articolo non lo dice chiaramente, mentre lo fa, invece, per un altro vaccino (richiamato in un link e scritto dalla stessa giornalista) che dovrebbe essere somministrato ogni anno a 140 milioni di donne in gravidanza per combattere l’insorgere di infezione da streptococco B.
Ma, davvero, sarebbe questo il metodo migliore per affrontare la questione?
Il problema della farmacoresistenza non è di oggi, esistendo da quando la medicina ufficiale (a differenza, ad esempio, dell’omeopatia) si è limitata ad affrontare le infezioni esclusivamente aggredendo l’agente infettante, ma solo recentemente ha acquisito una sinistra popolarità grazie alle dichiarazioni del 2016 (che, ancora oggi troneggiano nel sito dell’AIFA) di Jim O’Neill, economista, ex presidente di Goldman Sachs, (già ministro inglese del commercio, incaricato dal governo britannico di analizzare il problema dell’antibiotico-resistenza e di proporre soluzioni attuabili su scala globale) secondo il quale «Il pericolo per la salute umana rappresentato dall’antibiotico-resistenza è molto più preoccupante del crac finanziario del 2008 […] Le infezioni batteriche causeranno circa 10 milioni di morti all’anno, superando ampiamente i decessi per tumore (8,2 milioni), diabete (1,5 milioni) o incidenti stradali (1,2 milioni) con una previsione di costi che supera i 100 trilioni di dollari.» Va da sé che AIFA, come O’Neill, nello stesso articolo propone come soluzione nuovi antibiotici (che, al più, posticiperanno il problema di qualche anno) e vaccini. Stessa “soluzione” proposta in un libro che oggi va per la maggiore, La grande inchiesta di Report sugli antibiotici: Perché non funzionano più, il cui pezzo forte resta la dichiarazione di Claudio D’Amario, direttore generale della prevenzione al ministero della salute fino a metà 2020, secondo il quale ben cinque milioni di “morti per Covid” nel mondo sarebbero deceduti non per il virus Sars-Cov-2 ma per infezioni farmaco-resistenti.
Comunque, non tutto il modo scientifico “ufficiale” sposa la tesi di nuovi farmaci e di vaccini contro le infezioni farmaco-resistenti, come testimoniato da un recente editoriale su The Lancet che evidenzia come sia illusorio e pericoloso pretendere di affrontare questo problema con una sempre più pervasiva medicalizzazione della società suggerendo, invece, soluzioni sociali, economiche ed ecologiche addirittura ovvie. Da parte nostra ci limitiamo ad osservare che se il nostro paese detiene il record europeo di morti per infezioni ospedaliere questo lo si deve, sostanzialmente alla scomparsa di una medicina territoriale basata su, oggi introvabili, medici di base che, fino a qualche anno fa, andavano a visitare a domicilio i loro pazienti scongiurando così un ricovero in ospedali già “normalmente” crogioli di infezioni. Medici come Riccardo Munda che, a Selvino, un paesino del Bergamasco, nel marzo 2020 – mentre tanti altri suoi colleghi forti di una sciagurata circolare ministeriale, restavano a casa ad effettuare inutili “consulti telefonici” o a spedire i loro pazienti in ospedali diventati lazzaretti – comprati di tasca propria i dispositivi di bio-protezione continuava a visitare, nelle loro abitazioni, non solo i suoi pazienti ma anche quelli di altri colleghi. Il risultato è stato: zero ricoveri ospedalieri e zero “morti di Covid”. Stesso impegno dimostrato da altri pochissimi medici, come Gerardo Torre, che nel Salernitano ha curato 3.000 pazienti Covid a domicilio. Il quale, invece di un encomio, ha subito dal locale Ordine dei Medici un provvedimento disciplinare per avere espresso perplessità sulla gestione governativa dell’“emergenza Covid”.
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