Giuseppe Russo
Avanti.it
Fra le formazioni politiche di nuovo conio che parteciperanno alle elezioni del 25 settembre, vi sarà anche “Unione Popolare”, il cartello guidato dall’ ex magistrato, ex europarlamentare e soprattutto ex sindaco di Napoli Luigi de Magistris. In esso sono confluiti due partiti sopravvissuti all’eclissi della fu “sinistra radicale”, Rifondazione Comunista e Potere al Popolo!, le fuoriuscite dal Movimento 5 Stelle che hanno dato vita alla componente del gruppo misto della Camera battezzatasi “ManifestA” e gli uomini più vicini al lider maximo raccolti nel movimento “demA”, che starebbe per “democrazia autonomia”, ma che in realtà riprende altezzosamente le prime due sillabe del cognome del fondatore. Assecondando l’esterofilia che caratterizza l’operato di quest’area politica da un ventennio a questa parte, i contraenti hanno deciso di chiamare la lista “Unione Popolare” ispirandosi alla Nouvelle Union populaire écologique et sociale (NUPES), la coalizione messa in piedi da Jean-Luc Melenchon alle recenti elezioni parlamentari francesi. In mancanza di meglio, scimmiottare un modello (relativamente) vincente appare l’unica possibilità per uscire dall’angolo della mera testimonianza politica. Era capitato, del resto, pure con un altro idolo di cartone presto rottamato, il greco Alexis Tsipras. Ad ogni modo, l’Unione Popolare italica può al massimo ambire a diventare una NUPES formato bonsai. In Francia, infatti, il processo aggregativo ha riguardato (quasi) tutta la gauche, compresi i rottami dell’ormai dissanguato Partito Socialista. In Italia, invece, della partita sono movimenti fantomatici (“ManifestA”), evanescenti (“demA”) o dati da anni per estinti dagli zoologi della politica (Rifondazione Comunista); l’unica forza che è riuscita a costruirsi nel tempo un minimo di radicamento, anche se limitato alle città maggiori, è Potere al Popolo!, che nacque come cartello elettorale in vista delle politiche del 2018 e si trasformò poi in partito vero e proprio, andando ad affollare le schiere della cosiddetta sinistra “radicale” o “antagonista”, nell’ambito della quale capita che le sigle siano più dei voti raccolti. Proprio sui voti, il paragone fra NUPES e Unione Popolare sarà con ogni probabilità impietoso: mentre Melenchon è arrivato due volte quarto ed una volta terzo alle elezioni presidenziali (il terzo posto c’è stato quest’anno: con quasi il 22% dei voti ha sfiorato il ballottaggio), oltre ad essersi accreditato come capo dell’opposizione parlamentare dopo le recenti legislative, nelle quali la sua coalizione ha portato a casa un quarto dei suffragi, per gli emuli nostrani sarà già un miracolo superare il sospirato 3% e portare nei palazzi una sparuta pattuglia di guastafeste.
La genesi di Unione Popolare è stata annunciata ai quattro venti la scorsa primavera, preceduta dall’appello “Ridiamo la parola ai cittadini italiani”,vergato e sottoscritto da diversi docenti universitari e intellettuali più o meno organici alla sinistra “radicale” e pubblicato sul quotidiano il manifesto (particolarmente eloquente è la foto a corredo del testo). L’appello in questione, che citava de Magistris come uno degli “uomini politici di lunga esperienza, ma fuori dai partiti” da coinvolgere nella causa, venne formulato assai prima della caduta del governo Draghi, e puntava a mettere in piedi una lista credibile in vista delle elezioni inizialmente previste nel 2023. Il nome prescelto, facendo riferimento alla storia politica italiana, è tutto fuorché originale, e si presta pure a letture equivoche; da un lato, infatti, l’aggettivo “popolare” in Italia è storicamente associato alla tradizione democristiana, dall’altro la dicitura “Unione Popolare” è già stata utilizzata alle elezioni politiche del 2013, quando con questo nome si presentò una lista guidata da tale Maria Di Prato, già fondatrice dell’omonimo gruppo Facebook e promotrice di un referendum per tagliare gli stipendi dei parlamentari in nome di una “rivoluzione gentile” (la lista, presente solo nella cricoscrizione Lazio 1, ottenne appena 1475 voti). Inoltre, si sarebbe dovuta chiamare proprio “Unione Popolare” l’evoluzione dell’allora Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, prima che questi venisse inghiottito dalle nebbie dell’oblio. Tuttavia, come già detto, è all’esempio francese che guardano De Magistris e soci, con buona pace della tradizione politica nostrana. La formula è stata pure oggetto di contesa con il gruppo che poi avrebbe fondato la coalizione denominatasi Vita: a fine maggio si tenne a Roma un incontro di presentazione di “Unione Popolare – Una coalizione per le Libertà”, con la partecipazione, fra gli altri, di Sara Cunial ed Enrico Montesano; successivamente, vista la mala parata, i convenuti (che seguono, va detto, traiettorie politiche assai distanti da quelle di de Magistris) ripiegarono su un nome meno controverso.
Quando prese forma la crisi di governo, Luigi de Magistris lanciò, attravero un’intervista al Fatto Quotidiano, un invito a Giuseppe Conte affinché Movimento 5 Stelle ed Unione Popolare unissero le forze per dare vita ad un “terzo polo alternativo” in grado di puntare addirittura al 20% dei voti. A fare da “pontiere” sarebbe stato il sociologo Domenico De Masi, ieri vicinissimo ai pentastellati, oggi firmatario del sopra menzionato “Ridiamo la parola ai cittadini italiani”. Ripetuti ammiccamenti vennero rivolti anche a Verdi e Sinistra Italiana, che facevano parte della coliazione che sosteneva de Magistris da sindaco di Napoli, ed al “Che Guevara di Roma Nord” Alessandro Di Battista. Alla resa dei conti, tutti questi appelli sono caduti nel vuoto: l'”avvocato del popolo” è rimasto silente (come Di Battista), mentre il duo Bonelli-Fratoianni ha fatto di tutto per accamparsi all’ombra del PD. L’eventuale intesa con le forze politiche citate avrebbe permesso ad Unione Popolare di aggirare l’ostacolo della raccolta firme. Nonostante le oggettive difficoltà, tuttavia, il processo è andato a buon fine: in appena due settimane, grazie all’impegno dei militanti, Unione Popolare è riuscita a raccogliere 60000 sottoscrizioni in tutta Italia.
Giova a questo punto fare un breve excursus storico sulle ultime (dis)avventure elettorali della sinistra “radicale”, che da qualche anno si è scissa in due tronconi incompatibili: i “possibilisti” eredi del vendolismo (e diventati oramai un “cespuglio” del Partito Democratico) ed i “massimalisti” rimasti all’interno di Rifondazione Comunista dopo le innumerevoli scissioni che ne hanno caratterizzato il percorso: l’attenzione si concentrerà per forza di cose su questi ultimi. Il Partito della Rifondazione Comunista, nato all’indomani della svolta della Bolognina e della trasformazione del Partito Comunista Italiano in Partito Democratico della Sinistra, ottenne il suo miglior risultato alle politiche del 1996, quando fu la quarta forza politica nel voto di lista con l’8,5% dei consensi. Dopo aver subito già in quella legislatura la dilaniante scissione dei “governisti” di Armando Cossutta e Marco Rizzo, per i rifondatori del comunismo allora guidati da Fausto Bertinotti fu caduta libera. Alle disastrose elezioni del 2008, sopraggiunte dopo la caduta del governo Prodi II, il simbolo che aveva preservato la falce e martello dalla furia iconoclasta di Achille Occhetto sparì dalle schede elettorali, lasciando il posto al primo di una lunga serie di maldestri maquillage: la coalizione allora denominatasi “La Sinistra l’Arcobaleno”. Con poco più del 3%, i neocomunisti non ottennero alcun seggio, uscendo dai Palazzi che contano. Non vi sarebbero più rientrati. Alle europee dell’anno successivo, distaccatisi Bertinotti e Nichi Vendola (che avrebbe di lì a poco dato vita a Sinistra Ecologia e Libertà, ovvero il primo embrione della sinistra “possibilista”), vi fu una parziale ricomposizione della diaspora rossa nella Lista Comunista e Anticapitalista, ma i voti restarono gli stessi e non venne eletto alcun europarlamentare. Fu quella l’ultima volta in cui falce e martello originari comparvero sulle schede: dopo di allora, in costante emorragia di iscritti e militanti, Rifondazione Comunista perseguì la strada del camuffamento, nascondendosi dietro simboli privi di riferimenti alla tradizione del comunismo italiano. I risultati furono, se possibile, ancor peggiori: alle elezioni politiche del 2013 l’accrocchio ribattezzato “Rivoluzione Civile”, capitanato dall’ex magistrato Antonio Ingroia (oggi in Italia Sovrana e Popolare) e comprendente anche personaggi estranei alla storia della sinistra come Antonio Di Pietro (oltre, almeno all’inizio, allo stesso de Magistris con l’effimero “Movimento Arancione”), ottenne poco più del 2% dei voti alla Camera. Un guizzo inaspettato si ebbe alle elezioni per il Parlamento europeo del 2014, quando “possibilisti” e “massimalisti” trovarono un ultimo momento di unità intorno all’ennesimo “papa straniero” della loro storia, l’allora primo ministro greco Alexis Tsipras. La coalizione “L’Altra Europa con Tsipras” (primo caso nella storia italiana di una lista elettorale che si richiama ad un leader forestiero) riuscì per un soffio a superare la soglia di sbarramento, mandando tre rappresentanti a Bruxelles e Strasburgo. Il “prodigio” fu dovuto solo in parte alla convergenza delle diverse schegge post-comuniste: la spinta decisiva giunse dal massiccio appoggio di una parte dell’intellighenzia storicamente vicina al PD. Gli eletti furono infatti i tutt’altro che “radicali” giornalisti de la Repubblica Curzio Maltese (dopo la rinuncia dello scrittore e teatrante Moni Ovadia) e Barbara Spinelli, nota alle cronache anche per essere stata la compagna di Tommaso Padoa Schioppa; l’unica comunista a varcare le porte dell’europarlamento fu la barese Eleonora Forenza. Il giochino non sarebbe tuttavia riuscito alla tornata successiva: nel 2019, orfane di Tsipras, la cui stella s’era oltremodo appannata, le stesse forze politiche raggruppate nel meno camaleontico rassemblement chiamato semplicemente “La Sinistra” videro i propri voti dimezzati senza eleggere nessuno. Nel mezzo, le ultime politiche, quelle del 2018, quando ci si provò con la sigla Potere al Popolo!, che successivamente si evolvette in movimento politico autonomo da Rifondazione Comunista: nonostante la nuova confezione potesse apparire più “cool” delle precedenti, le urne si svuotarono più che mai: a conteggio ultimato, si superò di pochissimo l’uno per cento.
Le cause dell’eclissi della sinistra “radicale” in Italia sono molteplici, in parte analoghe a quelle che hanno determinato il declino dello stesso Partito Democratico (passato, per rendere l’idea, dai dodici milioni di voti del 2008 ai sei milioni del 2018), e su di esse esistono corpose bibliografie. Senza rivangare storielle e storiacce passate, per trovare una risposta basta dare uno sguardo al programma di Unione Popolare, all’interno del quale pure vi sono spunti interessanti. La prime sezioni sono dedicate al mondo del lavoro: si propongono, fra le altre cose, l’introduzione di un salario minimo legale di almeno 10 euro lordi l’ora, un piano di assunzioni da 1 milione di persone nel pubblico impiego, nonché l’abolizione della legge Fornero; sempre nell’ambito sociale, alla voce Lottare per la sicurezza economica contro la povertà, si parla di eliminare l’IVA sui prodotti di prima necessità, fissare un tetto alle bollette, ampliare la platea del reddito di cittadinanza, portare le pensioni minime a 1000 euro mensili, estendere le indennità di maternità e malattia ai lavoratori autonomi, costuire mezzo milione di nuovi alloggi pubblici. Fin qui, verrebbe da dire, siamo nel solco della tradizione “rossa”, ed i cani di Pavlov del neoliberismo bollerebbero queste proposte come chimere irrealizzabili. Alla resa dei conti, tuttavia, qualche ragione questi ultimi ce l’hanno, visto che non si capisce come un siffatto programma possa essere portato avanti restando imprigionati nella gabbia dell’Unione Europea coi suoi vincoli e legacci. È sulla politica estera, infatti, che casca l’asino: se ai primi punti del programma di Unione Popolare si propone lo stop all’invio di armi in Ucraina e l’impegno per una soluzione diplomatica della crisi, su Bruxelles e dintorni si continua con il ritornello di “un’altra Europa è possibile”, in una mostruosa coazione a ripetere. In base al libro dei sogni altreuropeista, bisognerebbe costruire l’Europa dei popoli, della fratellanza universale, della giustizia ambientale, sociale ed economica, non più solo della moneta unica, della libera circolazione di capitali e merci e dei vincoli finanziari (notare il “non più solo”), operare a livello europeo per una riforma in senso democratico delle istituzioni di Bruxelles con abbandono completo delle politiche di austerità e lotta alle lobby che influenzano la politica della UE, oltre ad abolire il meccanismo europeo di stabilità e superare le politiche di bilancio introdotte dal trattato di Maastricht. Insomma, l’Unione Europea ma senza l’Unione Europea. Per costoro, nonostante trent’anni di disastri e nefandezze assortite, il moloch che dimora a Bruxelles resta un feticcio davanti al quale prostrarsi: chi dovesse pensarla diversamente, si troverebbe immediatamente addosso la patente di “fascista” appioppatagli da altri cani pavloviani. Manco sulla NATO hanno coraggio: non se ne propone infatti l’uscita, ma solo il “superamento”. Nell’arcobaleno di de Magistris (ma non potevano trovare un simbolo meno sputtanato?), in definitiva, è ancora una volta il fucsia a prevalere, e si può averne contezza esaminando l’ultima (ma non, ça va sans dire, meno importante) sezione del programma, quella che punta a far crescere diritti e libertà, nella quale vengono perorate iniziative come l’adozione di una legge contro l’omolesbobitransfobia e pure di una ulteriore nuova legge per i diritti delle persone trans, che non patologizzi e che assuma l’identità di genere come autodeterminazione, oltre alla estensione della legge contro il razzismo e gli altri crimini d’odio anche alle violenze e alle discriminazioni motivate da orientamento sessuale. Sempre restando nella stessa dimensione, le coppie omogenitoriali otterrebbero sia il diritto al riconoscimento dei figli, sia quello all’adozione. Anche i migranti, categoria a sua volta oggetto nel recente passato di feticismo misticheggiante, trovano spazio nel programma, ma solo al settimo punto della dodicesima sezione, e solo per sei striminzite righe (non sarà un po’ razzista?). Per essi, ad ogni modo, si auspica l’ottenimento della cittadinanza dopo cinque anni di residenza e la promulgazione del cosiddetto “ius soli”. Infine, un ultimo slancio “radicale” (nel senso di “pannelliano”, stavolta): Unione Popolare sarebbe anche per l’approvazione della legge sul fine vita e l’eutanasia legale. A chi avesse da eccepire su proposte del genere, non basterebbe l’epiteto di “fascista”: i due cori canini e pavloviani si unirebbero in un’unica sinfonia di latrati, associandovi pure “nazista”, “razzista”, “omofobo”, eccetera eccetera eccetera. Nessuno di essi s’avvedrebbe che sta solo facendo le feste al Padrone. Una curiosità: nel documento programmatico compare due volte l’acronimo “LGBT+” e altrettante il lemma “trans” (seppure una all’interno del neologismo “omolesbobitransfobia”); “operai”, invece, non compare mai.
Un discorso a parte meritano le questioni sanitarie, se non altro perché i rappresentanti dei partiti che hanno dato vita a Unione Popolare sono stati degli autentici pasdaran del “covidismo”, giungendo persino ad accusare il governo Conte di collusioni col “negazionismo”: per molti di loro, i lockdown sono stati troppo “morbidi”. Il buon de Magistris, che sicuramente non difetta di fiuto politico, ha se non altro capito che i voti dei mascherinomani oltranzisti e dei tossici in crisi d’astinenza da terrore andranno tutti al PD, e dunque ha cambiato vestito: smessi i panni del sindaco covidista e triplodosato, ha lesto indossato quelli del “critico”. Il programma al riguardo è piuttosto esplicito, e segna una netta inversione di tendenza: si parla infatti di affrontare la pandemia del Covid-19 senza criminalizzazione del dissenso e restrizioni ingiustificate. Chissà cosa ne pensa il compagno Giorgio Cremaschi, ieri combattivo sindacalista della FIOM e oggi “padre nobile” di Potere al Popolo! . In un’intervista concessa a La Verità nel settembre dell’anno scorso, Cremaschi, pur definendo il Green Pass “un’arma di distrazione dalla realtà”, rilasciò autentiche perle di devozione covidista, professandosi “ultravaccinista”, sostenendo la necessità di adottare il modello cinese di gestione pandemica fatto di “tamponi a tappeto, tracciamento, isolamento immediato delle zone colpite, lockdown mirati” e invocando un “obbligo vaccinale alla luce del sole”. De Magistris, forse ignaro di queste quisquilie, ha avuto occasione di pubblicare un post su Facebook in cui esprimeva con lucidità il suo mutato punto di vista, arrivando persino a chiedere l’istituzione di una commissione d’inchiesta sull’operato di Speranza e soci. Lo hanno massacrato, fra chi disconosceva le firme appena apposte per la presentazione della lista e chi giurava che non gli avrebbe dato più il voto nessuno della sua famiglia. Evidentemente, i compagni stanno col compagno Cremaschi, ma de Magistris, che compagno non è, tira dritto per la sua strada.
All’interno delle liste di Unione Popolare alla Camera, de Magistris è l’unico ad avere il privilegio di essere presente come capolista in cinque circoscrizioni: le due campane, quelle di Roma e Milano e quella della Calabria, dove si era candidato alla carica di presidente della giunta regionale nel 2021 ottenendo un lusinghiero 16% dei voti. In due collegi plurinominali sono invece candidati il segretario di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo e la capofila di ManifestA , l’ex 5 Stelle Simona Suriano. A tutti gli altri capilista, invece, inclusi i portavoce di Potere al Popolo! Marta Collot e Giuliano Granato e l’ex ministro Paolo Ferrero, la candidatura è toccata in un solo collegio. La campagna elettorale di de Magistris e soci si preannuncia scoppiettante, sia nei telesalotti che nelle piazze. Fra le ultime iniziative, accompagnato dallo slogan “grideremo sotto i vostri palazzi”, un sit-in sotto la sede dell’ENI a Roma per protestare contro i rincari dell’energia con inaspettato omaggio a Enrico Mattei. Nei prossimi giorni, invece, si terranno gli “eventi corsari – incursioni nella realtà”, con comizi nei pressi di discariche, inceneritori, fabbriche in crisi: qualcosa fra Pasolini e il situazionismo. I detrattori amano dipingere il due volte sindaco di Napoli come un Masaniello irrisolto, ma egli ama rappresentarsi ultimamente come un Robin Hood postmoderno. Il programma è già stato ribattezzato proprio “Agenda Robin Hood”. Il quorum del 3% appare un miraggio, ma de Magistris ci crede. Non sarebbe il primo miracolo politico che gli riesce.
Umberto dice
Esiste un termine culinario per definire la raccapricciante kermesse politica italiana “ macedonia” credo che per votare uno debba essere munito lonely planet in versione interplanetaria della via lattea dei riesumati non che scappati di casa( vedi Gigino pane vino) delle due repubbliche baltiche. Ti faccio i mie complimenti perché ci vuole un certo senso della vertigine per addentrarsi in questi meandri tombali, e uscirne sano di mente. Non che per la incredibile capacità cognitiva cronologicamente parlando, per poter districarsi in queste catacombe di simboli post-parto delle menti sopraffine che popolano il panorama oramai sconfinato del ex-parlamento italiano. Certo la speranza è sempre l’ultima a morire,. . . chissà che a camere chiuse in una di quelle rare giornate di pieno lavoro, un meteorite di media dimensione possa lasciare spazio dopo il suo proverbiale atterraggio alla creazione di un enorme parcheggio nella zona di Montecitorio. Questo avrebbe il doppio vantaggio di risolvere definitivamente il problema del traffico, offrendo ai romani l’incredibile occasione di parcheggio in centro città. E la fantastica opportunità per il resto degli italiani; una volta per tutte di risparmiare i soldi dei suoi contribuenti, tagliando drasticamente il costo degli stipendi oltremodo esorbitanti di una classe di parassiti inutili. Complimenti per l’articolo, fotografia impeccabile di una fine certa. La nostra
Federico dice
Quante parole per cercare inutilmente di screditare chi ha una chiara visione politica e si impegna per attuarla nonostante i bastiancontrari, gli spocchiosi, gli integralisti e i negazionisti di ogni genere! Fatica degna di miglior causa…
Rusbia dice
Complimenti!
Sara dice
Chi più ne ha più ne metta….complimenti a tutti