Un giovine carabiniere è convolato a nozze con il suo compagno in quel di Specchiolla, ridente località balneare pugliese. Il milite, originario della provincia di Brindisi come il suo neocongiunto, presta servizio a Roma in qualità di appuntato scelto presso la presidenza del consiglio dei ministri, un ruolo di responsabilità al quale non è dato sapere se si acceda per puro caso, per cooptazione dall’alto o per altre ragioni, così come non è dato sapere se esista un nesso fra la posizione ricoperta ed il “picchetto d’onore dell’Arma dei carabinieri a sciabolee sguainate” che si è mobilitato per il suo matrimonio, contribuendo a rendere più “marziale” e solenne la cerimonia. Qualcuno ha ironizzato sulla decadenza della cosiddetta “Benemerita”, che si presta ad iniziative di questo tipo per svecchiare la sua immagine tossico-maschilista e rivelarsi al passo coi tempi dettati dall’Agenda del Potere, come del resto ha sempre fatto nella sua storia. Quello del giovine appuntato, fra l’altro, non è neanche il primo rito nuziale omosessuale che coinvolge esponenti dell’Arma: già nel 2018 si era consumata l’unione civile fra Paolo e Nunzio, con il primo che aveva indossato (forse su suggerimento della “wedding planner” Daniela Paoletti) la divisa nel corso della cerimonia per “testimoniare la possibilità di fare convivere il suo amore per Nunzio alla fedeltà giurata negli anni all’Arma”, ma senza il corredo di picchetti e sciabole sguainate. I carabinieri, in effetti, si sono aperti tardi alla modernità inclusiva: mentre, per dire, le prime ispettrici del corpo di polizia femminile entrarono in servizio nel 1961, l’arruolamento delle prime donne nell’Arma (oltre che negli altri corpi militari e nella guardia di finanza) risale al 2000, quasi quarant’anni dopo. Gli omosessuali, il cui arruolamento era esplicitamente vietato negli anni grigi della prima repubblica, quando bastava rispondere “sì” alla famosa domanda “ti piacciono i fiori?” durante la visita di leva per vedersi appioppare l’infame patente di effeminato (o peggio…) e vivere il calvario degli psicologi e degli ospedali militari, hanno a loro volta hanno faticato non poco per trovare accoglienza nei ranghi delle forze dell’ordine. Oggi, in base ad una stima piuttosto disinvolta fatta da Fabio Pellagatti dell’Arcigay di Milano (secondo il quale, essendo omosessuale il 5% della popolazione, tale proporzione si replica anche fra le divise), vi sarebbero quasi ventimila esponenti della comunità LGBTQ+ fra esercito, carabinieri, finanza e polizie. I più attivi sono organizzati nell’associazione Polis Aperta, fondata nel 2005 per combattere“contro ogni tipo di discriminazione, in special modo contro quelle fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere” ed oggi gravitante nella rete della European Gay Police Association, “ombrello” sotto il quale trovano riparo organizzazioni di diciassette paesi, fra cui i sateenkaaripoliisit, “poliziotti arcobaleno” finlandesi o le Roze in Blauw, “rose in blu” olandesi. Polis Aperta, i cui dirigenti provengono in prevalenza dalla polizia locale (anche se il presidente è l’agente di PS “trans* FtM” Alessio Avellino) si presenta come una “associazione di volontariato” accreditata presso il RUNTS (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore) per organizzare convegni e corsi di formazione in collaborazione con l’OSCAD (Osservatorio per la Sicurezza contro gli Atti Discriminatori), ente che fa capo al ministero dell’interno. In uno degli incontri patrocinati da Polis Aperta, quello tenutosi presso la Casa dei Diritti di Milano dell’ottobre 2018, è stata lanciata la campagna per abolire il comma 9 dell’articolo 15 del regolamento militare, quello che associa “parafilie e disturbi dell’identità di genere” alla “inabilità temporanea” al servizio, facendo sì che chi si opera per cambiare sesso venga poi confinato in ufficio senza più ricoprire ruoli operativi. Se infatti le persone “L”, “G” e “B” hanno ormai trovato piena accoglienza nei vari corpi di polizia (anche se continuano a verificarsi episodi discriminatori come quello a danno del poliziotto milanese che ha trovato scritto “i froci non ci piacciono” sul suo armadietto), per quelle “T” c’è ancora tanta strada da fare, ed a spiegarlo ai partecipanti al convegno di cui sopra è stato, fra gli altri, “un transessuale ex agente del Mossad”. Polis Aperta, nonostante tutto l’impegno e la buona volontà, ha subito odiose discriminazioni proprio all’interno della galassia LGBTQ+ italiana, le cui frange radicali hanno contestato la partecipazione delle divise al “Bologna Pride” dell’anno scorso, ricordando come il movimento dell’orgoglio omosessuale fosse nato proprio a seguito dei “Moti di Stonewall” del 1969, ovvero la rivolta dei gay newyorchesi contro gli abusi della polizia. L’incidente diplomatico, in ogni caso, appare risolto: quest’anno Polis Aperta presenzierà a tutti i “pride”, compreso quello bolognese. Lontani sono i tempi in cui il povero Fabrizio Caiazza, “il vigile gay più sexy del mondo”, subiva un provvedimento disciplinare per essere apparso in divisa sulla copertina di una rivista omofila milanese: era il 2008, ma sembra un secolo fa. Ad ogni modo, anche in questa recente “arcobalenizzazione”, le forze dell’ordine non fanno altro che praticare la loro ginnastica d’obbedienza, come all’epoca delle manganellate anticovid. Nei secoli fedeli al Potere, quello vero e non quello farlocco, anche le divise cercano il loro posto al sole all’ombra del Grande Reset che ogni cosa muta e pervade.
GR
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