Marco Di Mauro
Avanti.it
La guerra d’Ucraina, come dichiarato da un alto funzionario della NATO alla CNN, è giunta in una fase cruciale: “Penso che si stia per arrivare al punto in cui una parte o l’altra prevarrà. O i russi raggiungeranno Slovyansk e Kramatorsk o gli ucraini li fermeranno qui. E se gli ucraini saranno in grado di difendere la linea, tenuto conto della forza” dell’avversario, ciò “avrà importanza”. Dal punto di vista diplomatico, nella prima settimana del mese le dichiarazioni provenienti dal blocco atlantista sembravano suggerire un allentamento dell’ucrainismo a oltranza della prima ora, con il segretario di stato USA che dichiarava il suo paese non disposto a interferire nei negoziati per l’entrata in UE dell’Ucraina, e la Von der Leyen a farle la morale sostenendo che “deve combattere la corruzione e modernizzare l’amministrazione” per rendersi degna dell’entrata nell’Unione. Dal canto suo, il viceministro della difesa Anna Mailar affermava che “L’Ucraina ha ricevuto circa il 10% delle armi che ha chiesto ai suoi partner occidentali.” Da parte russa questo mese abbiamo assistito a una radicalizzazione anti-occidentale, emersa tanto dall’intervento di Putin al vertice economico di San Pietroburgo del 17 giugno, in cui il presidente russo si è espresso chiaramente contro l’imperialismo dell’ “Occidente”, inteso come USA e UE, ponendo la Russia e i suoi partner dall’altra parte della barricata. Molto più aggressive le parole dell’ex delfino Medvedev: “Odio gli occidentali, bastardi”. Il 9 giugno, inoltre, un aereo spia e due caccia russi hanno violato lo spazio aereo svedese.
In effetti, nelle prime due settimane di giugno l’avanzata russa a est del paese appariva ormai inarrestabile: l’8 giugno le truppe della Suchoputnye vojska oltrepassano il fiume Sivers’kyj Donec’, entrando nel villaggio di Tetyanivka, tra Svjatohirs’k e Slov’‘jans’k, e poco dopo iniziano l’assedio di quest’ultima. Nella settimana successiva inizia un massiccio concentramento di truppe e mezzi corazzati (80 secondo quanto riportato dai vertici militari ucraini su Facebook) in due città della Repubblica Popolare di Luhans’k, Kreminna al confine e Starobil’s’k più a nord, per potenziare lo schieramento e garantire il turn-over delle truppe, avviando l’ultima fase della conquista dell’ultima porzione di territorio dell’oblast’ di Luhans’k ancora sotto il controllo di Kiev. Qui si trova Sjevjerodoneč’k, la città più importante della regione, che il 13 giugno viene abbandonata dall’ultimo residuo di esercito regolare ucraino, lasciando nelle mani dei russi la quasi totalità della città, salvo poche cellule di resistenza, tra cui la più importante è, ancora una volta, uno stabilimento industriale, l’Azot, dove si trova asserragliata l’ultima frangia di irriducibili, che tengono in ostaggio 560 civili stando alle informazioni in possesso del sindaco della città Oleksandr Stryuk. Sempre il 13 giugno i russi fanno saltare in aria il ponte Proletarski, ultimo rimasto dei tre che permettevano l’accesso alla città, isolando gli ucraini secondo la consueta tattica dell’assedio ad anello che già prese per sfinimento a Mariupol gli ultimi residui del battaglione Azov. Il 14 arriva l’ultimatum russo agli asserragliati nell’Azot, in cui si intima la resa entro la mattina del giorno successivo e istituisce l’apertura di un corridoio umanitario per i civili. Al di là del ponte si trova la città di Lysyčans’k, in cui le truppe russe e quelle ucraine si fronteggiano ancora in un’estenuante contesa casa per casa, strada per strada, proprio come in tutti gli altri assedi di questa guerra di sangue e logoramento. Più a sud, nella parte dell’oblast’ di Doneč’k ancora sotto il controllo di Kiev, gli scontri si concentrano nella città di Bakhmut, a est della quale la città di Zolotoe è stata circondata dai russi. Michail Mizintsev, generale a capo dell’assedio di Mariupol, ha definito insensata e folle la resistenza ucraina. “Sjevjerodoneč’k non è ancora del tutto bloccata dalle truppe russe, anche se loro ne controllano circa l’80% e hanno distrutto tutti e tre i ponti dai quali si può uscire dalla città” ha riportato l’Associated Press citando il governatore dell’oblast’ di Luhans’k, Serhiy Haidai. “La battaglia feroce per il Luhans’k continua e gli invasori russi stanno cercando di attaccare contemporaneamente da 9 direzioni diverse” ha dichiarato Viktor Nikolaevič Muženko, Comandante in capo delle forze armate dell’Ucraina; palmo a palmo, i russi avanzano, attaccando i gangli fondamentali per procedere alla conquista dell’intero Donbas: presa Sjevjerodoneč’k e così tutto l’oblast’ di Luhans’k, rimarrà soltanto la parte occidentale dell’oblast’ di Doneč’k, dove si basa il grosso del contrattacco ucraino.
Infatti, se a nord continuano, incessanti e martellanti, i bombardamenti russi da Belgorod su Kharkov e dintorni – dove sono stati catturati dai russi i due ex militari statunitensi Alexander Durke e Andy Huhne – che colpiscono soprattutto le infrastrutture in un’operazione di deterrenza di eventuali contrattacchi, dal Donbas occidentale l’esercito di Kiev non ha fatto trascorrere un solo giorno senza utilizzare le armi inviate dai paesi “solidali” della NATO sui civili della Repubblica Popolare di Doneč’k, causando una ventina di morti e decine di feriti, giungendo persino a lanciare dieci razzi sul solo mercato Meisky di Doneč’k; dal punto di vista strategico, hanno ottenuto soltanto l’allargamento di bacino della risposta russa, che ha fatto suonare le sirene di emergenza negli oblast’ di Poltava, Kiev, Černihiv, Dnipro (dove è stata distrutta una fabbrica di elementi per missili Neptune), arrivando fino a Lviv. Sempre a nord, la crescente manifesta aggressività della Polonia ha spinto la Bielorussia di Lukašėnka a partecipare ad esercitazioni militari con Mosca e a rivolgersi a Kiev per evitare una possibile occupazione polacca dei territori a nord dell’Ucraina.
Nonostante l’opinione di Zelens’kyj (“La difesa del Donbas è vitale per Kiev perché il suo esito darà un’indicazione della continuazione della guerra con la Russia. […] A sud l’obiettivo è liberare Kherson. Servono sistemi anti-missile moderni.”) in verità è di gran lunga più statica la situazione sul fronte occidentale, dove la linea si attesta al confine tra gli oblast di Kherson – in mano russa – e Mykolaev – in mano ucraina, ma sotto costante attacco balistico e aereo da parte degli occupanti. Qui, approfittando della maggiore concentrazione delle truppe di Mosca a oriente, le restanti armate ucraine possono anche avere l’illusione di avanzare: dal 14 al 16 ci sarebbe stata una controffensiva ucraina che da Mykolaev sarebbe penetrata nell’oblast’ russo, nel villaggio di Blahodatne e poi verso Kyselivka, a 13 km dalla città di Kherson. I conquistatori, intanto, hanno fortificato pesantemente l’oblast’, insieme a quello di Zaporižžja. Il 10 giugno altri cittadini di Kherson e Melitopol hanno ricevuto il loro primo passaporto russo, segno che ormai Mosca considera propri questi territori. Tre missili russi proprio in questi giorni hanno colpito anche Odessa.
Sul piano economico, la guerra ha avuto una svolta inaspettata proprio dopo il Forum di San Pietroburgo, dove Putin ha spiegato come mai le sanzioni occidentali abbiano soltanto sfiorato l’economia russa, e ha illustrato un piano di welfare per agevolare le imprese russe e permettergli di far fronte all’inflazione: un piano statale di aiuti economici, sgravi fiscali, riduzione dei controlli, incentivazione di progetti territoriali. Il presidente della Federazione Russa ha detto chiaramente che l’occidente non avrebbe mai ottenuto l’isolamento e la riduzione del paese a un’economia autarchica, annunciando una nuova stagione di cooperazione con i partner orientali e dei BRICS allargati. Tuttavia, già al Forum la voce del Kazakistan si era levata in dissenso, annunciando il non riconoscimento delle repubbliche del Donbas e lasciando trapelare voci riguardo al blocco di 1700 unità trasportatrici di carbone russo sul suo territorio. Queste si sono rivelate infondate, ma poi la Lituania ha improvvisamente annunciato la sospensione del transito di merci soggette a sanzioni dell’UE nella regione di Kaliningrad, enclave russa nel suo territorio affacciata sul Baltico. Un duro colpo per Mosca, che mentre lancia minacciosi avvertimenti al paese annuncia attraverso Dmitrij Sergeevič Peskov, portavoce di Putin, che “La situazione è più che grave e richiede un’analisi molto approfondita prima di formulare qualsiasi misura e qualsiasi decisione. Questa analisi approfondita sarà effettuata nei prossimi giorni” e oggi il Ministero degli Esteri russo ha convocato l’incaricato d’affari della Lituania.
Sul piano degli idrocarburi, in questo mese la Russia ha innalzato il livello dello scontro, iniziando a chiudere progressivamente i rubinetti del gas a vari paesi europei: prima l’Olanda e la Danimarca a maggio, poi il 14 giugno è toccato alla Germania, privata del 40% della sua fornitura via Nord Stream 1 a causa di “riparazioni ritardate”, e il 15 è toccato all’Italia, con ENI che si è vista ridurre il flusso del 50%. La Francia invece è stata del tutto privata delle forniture. Sarà per questo che proprio il 16 giugno i “Re Magi” Draghi, Scholz e Macron hanno fatto una gita (blindata) in treno dalla città polacca di Medyka fino a Kiev? Alle misure economiche di Mosca, la NATO ha risposto sul piano militare: proprio oggi “Intorno alle 08:00, le unità nemiche hanno lanciato un attacco agli impianti di trivellazione della Chornomornaftogaz. Dodici persone si trovavano su questi impianti di trivellazione. Al momento sono state raccolte cinque persone, di cui tre ferite. Le ricerche degli altri continuano”, ha scritto su Telegram Sergey Aksyonov, il capo delle autorità di occupazione russe nella Crimea. L’attacco da parte delle forze armate ucraine – certamente instradate dalle apparecchiature satellitari dell’esercito USA – ha messo in difficoltà l’estrazione di gas da parte dei russi, che annunciano una rappresaglia contro i vertici di Kiev attraverso Mikhail Sheremet, membro della Duma di Stato della Russia. Nella notte tra il 15 e il 16 giugno, poi, un tubo si è guastato scatenando un incendio nel sito di Gazprom Dobycha Urengoy a Yamal, uno dei giacimenti di gas più grandi al mondo.
Rispetto alla questione del blocco dei cereali, l’8 giugno i russi hanno dichiarato che le navi che trasportano grano avrebbero lasciato il porto di Berdjans’k dopo l’avvenuto sminamento; secondo altre fonti, la Repubblica Popolare di Luhans’k avrebbe iniziato a esportare su ferro il grano ucraino verso la Russia. Tuttavia a San Pietroburgo Putin ci ha tenuto a ribadire che il grano bloccato in Ucraina è inferiore al 5% della produzione mondiale, smarcandosi da un’eventuale colpevolizzazione della Russia rispetto alla crisi alimentare mondiale preconizzata – o organizzata? – sia a Davos che al Bilderberg di Washington. Ancora non si hanno ad oggi informazioni certe in merito all’effettivo sblocco del grano ucraino.
I contendenti, dunque, scoprono sempre più le carte, e l’Ucraina scopre sempre più il suo status di colonia, mero strumento di due potenze più grandi. È probabile, infatti, che il blocco atlantista lasci alla Russia la sovranità sui territori conquistati, relegando l’Ucraina a terreno di scontro minore, mentre il conflitto si allarga su teatri più ampi: già la Russia ha riconosciuto l’ “operazione speciale” della Turchia in Siria, e iniziato a consolidare le sue posizioni sull’artico, mentre gli USA iniziano a provocare la Cina per infiammare l’indo-pacifico e ritardare il più possibile la cooperazione economica con la Russia e il completamento della Belt and Road Initiative – proprio il 16 giugno un velivolo RC-135V della US Air Force ha violato lo spazio aereo cinese al largo di Shangai, suscitando la irosa risposta del portavoce del ministero degli esteri di Pechino: “Tali atti mettono in serio pericolo la sicurezza della difesa cinese. La Cina esorta gli Stati Uniti a fermare immediatamente tali pericolosi atti di provocazione”. Quello che conta, adesso, è la guerra economica: l’unica che permette agli States di attaccare direttamente la Russia al di fuori del teatro ucraino.
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