Marco Di Mauro
Avanti.it
Da ieri, Mosca è ufficialmente in guerra con la NATO. Fino ad oggi, la Russia aveva mandato al macello ucraino, in quella che aveva battezzato non già guerra, ma “operazione speciale”, un discreto numero di soldati di leva – circa 60mila ragazzini male addestrati degli oblast’ periferici – per fare da prima linea e offrire i giovani corpi all’artiglieria nemica, in modo da coprire l’azione dei battaglioni – primi tra tutti Wagner, Sparta e Kadyrov – legioni esperte e avvezze alle situazioni critiche, decisive soprattutto negli assedi di Mariupol e Sjevjerodoneč’k. Questo gli ha consentito di non andare a intaccare l’immenso bacino delle forze armate russe, che dal 1° gennaio 2023, in seguito a un decreto presidenziale emanato ad agosto, sono state aumentate di 137mila unità, arrivando a contare 1,15 milioni di soldati in tempo di pace, mentre il Cremlino non ha mai voluto rilasciare il numero delle truppe in tempo di guerra (si pensi che prima della riforma militare del 2008-2011, l’esercito russo ammontava a 5 milioni di unità). La strategia russa in Ucraina ha mostrato tuttavia due grosse lacune, che si sono allargate a mano a mano fino a divenire vere e proprie falle: in primo luogo, nella prima fase dell’ “operazione speciale”, affrontare l’esercito ucraino in campo aperto, che comportò una rapidissima avanzata, ma con un costo elevatissimo di vite umane, cosa che fu poi risolta passando a lunghissimi assedi e una vera e propria guerra di trincea, riducendo al minimo le perdite ma aumentando esponenzialmente la durata dei combattimenti, dando così alla NATO tutto il tempo per armare le Forze Armate dell’Ucraina e rinforzarle con l’apporto di mercenari; l’altro errore della Russia è stato il rifugiarsi subito a est, lasciando tutta la libertà al nemico in campo mediatico e diplomatico, così da relegarsi al ruolo di spalla, dovendo sempre rispondere alle provocazioni, accuse e discriminazioni, senza mai avere l’iniziativa. La strategia attendista, il troppo dilungarsi della risoluzione dei conflitti in Donbas e la mancata presa finale di Mykolaev e Odessa, ha fatto sì che l’alleanza atlantica prendesse anche l’iniziativa in campo militare, con la doppia controffensiva a Kharkov e Kherson, e i bombardamenti vicino alla centrale nucleare di Žaporižžja, e così l’orso russo, da invasore che avanzava in territorio nemico, si è trovato nella condizione opposta di dover difendere quanto conquistato da un nemico che, sebbene meno attrezzato, riesce a massimizzare l’efficacia dei propri attacchi grazie al supporto dell’intelligence statunitense. Così, smobilitate le truppe dalla linea Izyum-Balakleya e lasciata la parte nord-orientale dell’oblast’ di Kharkov alla controffensiva ucraina, i soldati russi si sono concentrati a difesa delle repubbliche separatiste di Luhans’k e Doneč’k – a quanto riportato sui media russi dal ministro della difesa Sergej Šojgu il ritiro delle truppe in Donbas è stato fatto per permettergli di “svolgere il compito di difesa aerea” riferendosi soprattutto ai continui attacchi da parte ucraina. Sebbene sul piano bellico la controffensiva abbia portato un vantaggio poco o nullo all’esercito ucraino, dal punto di vista mediatico e diplomatico è partita un’offensiva: dopo aver ripreso Izjum, il presidente ucraino Zelens’kyj ha mostrato al mondo una nuova fossa comune, per accusare i russi nuovamente di crimini contro l’umanità e preparare un nuovo pacchetto, ancora più aspro, di sanzioni e – goccia che ha fatto traboccare il vaso? – la fornitura a Kiev di nuove e più sofisticate piattaforme missilistiche. È a questo punto che Vladimir Putin, ieri mattina, ha fatto un annuncio che è stato diffuso da tutti i media occidentali come una vera e propria dichiarazione di guerra alla NATO, e in effetti il presidente russo non ci è andato leggero: ha accusato i paesi occidentali di avere come obiettivo la distruzione del suo paese, ricordato che possiede in alcuni settori armamenti più potenti di quelli della stessa alleanza atlantica, e annunciato la mobilitazione parziale. Dunque, nonostante il portavoce del Cremlimo Peskov si sia affrettato a dire che non sarà cambiato lo status di operazione militare speciale né introdotta la legge marziale in patria, la Russia entra ufficiosamente in guerra, e non con l’Ucraina, bensì con tutti i paesi del blocco atlantico, e lo fa pochi giorni dopo l’incontro a Samarcanda dei paesi aderenti alla Shangai Cooperation Organization. Già oggi, un giorno dopo l’annuncio, lunghissime code si sono formate nei centri di reclutamento, soprattutto in Cecenia, dopo che Šojgu ha fornito dettagli ulteriori su cosa significa mobilitazione “parziale”: da essa sono esentati i militari di leva (già di per sé attinti a piene mani per la guerra, anche se negli oblast’ più defilati, dove peraltro le autorità non hanno escluso si possa dichiarare anche la legge marziale), ma si richiede una maggiore esperienza, pertanto sono mobilitati i riservisti, in numero di 300mila. Secondo la legge russa sul servizio militare (53-FZ) «un riservista è un cittadino della riserva dell’esercito che ha firmato un contratto di permanenza nella riserva, viene pagato e segue corsi di formazione regolari» dunque persone che, terminato il servizio militare, hanno deciso di stipulare un contratto con l’esercito, percepiscono uno stipendio e ricevono un addestramento regolare. Il loro impiego sul fronte avverrà, secondo Russia Today, tra non meno di sei settimane e, secondo quanto dichiarato alla TASS dal presidente del Comitato per la Difesa Andrej Kartapolov, “saranno formate diverse nuove formazioni e unità, che avranno come scopo principale quello di coprire il confine di Stato, nonché di creare una profondità operativa in quelle direzioni dove continua l’adempimento dei compiti dell’operazione militare speciale” insomma, i riservisti serviranno a rinforzare la ormai stremata fanteria russa – impegnata ormai da mesi in una guerra di trincea, nel contenere l’assalto disperato di migliaia di giovani della leva ucraina, una fanteria stremata dalle decine di migliaia di perdite in una guerra che sarà ricordata per l’elevatissimo tributo umano pagato da entrambi gli schieramenti – e poter permettere alle forze russe di riprendere l’avanzata verso Odessa, cosa che altrimenti potrebbe fare soltanto con una strategia di tipo statunitense, ovvero con bombardamenti a tappeto, radendo al suolo intere città e sterminando indiscriminatamente i civili. Stessa strategia, dunque, e nessun cedimento o debolezza da parte di Mosca, che prospetta una guerra ancora lunga e organizza un turnover in vista della prossima fase. E da questa mossa vien fuori un aspetto importante della strategia: il consolidamento degli oblast’ già conquistati – Luhans’k, Doneč’k orientale, Žaporižžja, Kherson – e la strutturazione di una difesa efficace dei loro confini è per la Russia prioritario rispetto al continuare l’avanzata verso la Transnistria. In questo senso, anche l’abbandono dell’area conquistata a Kherson è un modo per concentrare le forze verso il mantenimento della parte di Novorossija stabilmente conquistata, per avere solide basi su cui imbastire una nuova fase della guerra. Ma allora, ci si chiede, se questa mobilitazione è funzionale alla sola guerra d’Ucraina, perché Putin ha fatto tanto baccano, chiamando in causa tutti i governi occidentali, e dando la possibilità ai media atlantisti di gridare alla terza guerra mondiale? sarà forse un tentativo di prendere il bandolo della matassa comunicativa ordita dalla propaganda atlantista, e sparare i suoi colpi nella guerra della comunicazione? sarà una trovata per testare i potenziali alleati del blocco orientale di cui proprio la guerra d’Ucraina sta catalizzando la nascita? sarà un modo per destabilizzare l’occidente e creare un deterrente all’invio di armi più pesanti dei già sperimentati HIMARS? sarà, infine, un modo per giocare d’anticipo sulla nuova montatura con finte fosse comuni per screditare e sanzionare Mosca? Certamente, la retorica del ‘nemico esterno che vuole distruggerci’ ha come scopo primario l’ottenimento del consenso popolare verso qualsiasi guerra, aspetto che sembra essere sotto controllo da parte di Putin, nonostante già ieri migliaia di persone, seguendo la chiamata dei movimenti giovanili, soprattutto Viasna, abbiano manifestato in trentotto città del paese, dalla Siberia agli Urali, a Tver e Voronezh, a San Pietroburgo e a Mosca, scendendo nelle piazze centrali delle città con cartelloni fatti a mano che recavano la scritta «Net Vojne» (“No alla guerra”) e similari. La repressione governativa ha portato a degli arresti, 1330 persone secondo DW.com in lingua russa, 493 a San Pietroburgo, 469 a Mosca e 40 a Ekaterinburg, mentre secondo i media filogovernativi sarebbero poche decine. Girano per i canali, sia mainstream che liberi, video di presunti esodi dalla Russia, tra montature palesi – come il video delle lunghissime code di auto russe al confine con la Finlandia, smentito dall’esperto di fake news Francesco Santoianni, che ha fatto notare come i transfughi fossero in maglietta e sandali dove in questo momento ci sono temperature tra i 6 e gli 11 gradi – e notizie vere, come l’aeroporto di Mosca gremito di giovani, insieme ad altri aeroporti del paese, tanto che stamattina URA.ru riportava che dopo l’annuncio di Putin le tariffe dei biglietti aerei dalla Russia sono aumentate di quindici volte, e circola anche la voce, non confermata, che a tutti i maschi che partono venga chiesto obbligatoriamente l’acquisto del biglietto di ritorno, dopo un interrogatorio di circa quindici minuti in cui il funzionario di polizia si informerebbe sullo status militare del partente. La mobilitazione parziale dei riservisti è sul piano militare una mossa scontata e doverosa, che non dovrebbe sconvolgere alcuno, ma Putin e i suoi se la sono giocata al massimo dell’eco mediatica che potevano provocare. E non solo: siamo alle soglie del referendum, organizzato in fretta e furia, per l’annessione alla Federazione Russa della Repubblica Popolare di Luhans’k, della Repubblica Popolare di Doneč’k, degli oblast’ di Žaporižžja e di Kherson, che si terranno da domani, 23 settembre, fino a martedì 27, e dopo i quali, se l’esito sarà positivo, qualsiasi attacco alle regioni occupate sarà ritenuto da Mosca un’aggressione diretta al proprio territorio sovrano. Mosca ha alzato il tiro: stavolta sarà la NATO a dover rispondere.
angegardien dice
la russia e dalla parte della storia e dio e con la russia,sono gli americani che stanno deliberatamente fomentando la guerra,perche la russia non vuole piegarsi al nuovo ordine demoniaco massonico mondiale.dio lascia fare mai strafare.il demonio aiuta i suoi ma non li salva,la russia vicera la 3 guerra mondiale insieme alla cina,noi italiani come al solito perderemo.siamo 60 milioni di vigliacchi che egoisticamente pensano al proprio orticello,pallone e ferie,mentre ci fanno morire volutamente sia con finta pandemia e adesso di fame.chi pecora si fa il lupo se lo mangia,ringraziamo i nostri politici,ma abbiamo cio che ci meritiamo.
Federico dice
È semplicemente un messaggio all’indirizzo della Nato: “non sperate di poter vincere questa guerra”.