Il Qatar siamo Noi #6
Dopo il primo giro di partite dei paradossali mondiali qatarioti, quel che emerge è la disfatta delle squadre africane. Le cinque squadre che rappresentano il continente nero nella competizione hanno raccolto la miseria di due punti, con due pareggi portati a casa dalle rognose nordafricane Marocco e Tunisia contro Croazia e Danimarca e tre sconfitte rimediate dalle subsahariane Camerun, Ghana e Senegal contro Svizzera, Portogallo e Olanda. Per rendere l’idea, le cinque squadre asiatiche hanno ottenuto nel primo turno sette punti, con le due storiche vittorie di Arabia Saudita e Giappone ed il pareggio strappato dalla Corea del Sud contro l’Uruguay. Volgendo lo sguardo all’indietro, il declino del calcio africano appare ancor più evidente: dopo la prima giornata dei mondiali sudafricani del 2010, i primi a svolgersi nel continente, le nazionali africane ottennero cinque punti (a passare il turno fu il solo Ghana, che poi sfiorò la semifinale), nel 2014 i punti furono quattro (passarono, per essere subito eliminate, in due: Algeria e Nigeria), nel 2018 i punti scesero a tre, con quattro sconfitte ed un’unica vittoria, quella del Senegal, che fu l’unica squadra ad andare vicino al passaggio del turno in quella che fu già un’edizione disastrosa per il calcio africano: tutte le squadre uscirono di scena dopo la prima fase, come non accadeva addirittura dal 1982. Eppure, fra la fine del secolo scorso e l’inizio di quest’altro, l’Africa era rappresentata come il continente “emergente” per eccellenza all’interno del mondo pallonaro: in quegli anni, rappresentative africane vinsero per due volte consecutive il torneo olimpico di calcio (riservato agli under 23), con le medaglie d’oro della Nigeria nel 1996 e del Camerun nel 2000; un ultimo ruggito si sentì verso la fine del primo decennio, con la Nigeria campione del mondo under 17 nel 2007 ed il Ghana vincitore della competizione iridata riservata agli under 20 due anni dopo. Poi, più nulla: con l’intensificazione delle migrazioni verso l’Europa e, in misura minore, verso il Nordamerica ed il Medio Oriente, si è amplificato anche il fenomeno noto come “fuga dei muscoli”, ovvero la tratta di giovanissimi calciatori prelevati da trafficanti senza scrupoli nel Golfo di Guinea (come i loro antenati di quattro secoli prima) e trasferiti in Europa con il miraggio di una dorata carriera calcistica. Uno su mille ce la fa, e chissà che fine fanno gli altri 999. Uno che ce l’ha fatta è sicuramente Breel Embolo, attaccante della nazionale svizzera che ieri ha segnato, primo caso nella storia, la rete decisiva contro la nazionale del suo paese di nascita, ovvero il Camerun. Dopo il gol, l’attaccante, che pure aveva “preferito” la Svizzera al Camerun, non ha esultato, ma questo atteggiamento non lo ha preservato dall’accusa di essere il più vile dei traditori, mentre ci sarebbero addirittura folle inferocite pronte a prendere d’assalto (via Twitter…) le proprietà della sua famiglia, diversi membri della quale vivono ancora nella capitale camerunense Yaoundè. L’impresa di Embolo resterà negli annali, mentre l’oblio inghiottirà inevitabilmente un’altra africanata mondiale, in qualche modo uguale e contraria a quella del centravanti “traditore”: durante la partita Portogallo-Ghana, mentre era in corso il novantottesimo minuto ed i lusitani stavano prevalendo per 3 a 2, il portiere Diogo Costa ha messo come un fesso la palla a terra all’interno dell’area, non avvedendosi della presenza dell’attaccante ghanese Iñaki Williams, che gliel’ha ghermita ma sul più bello, mentre stava per segnare il più facile e beffardo dei gol, è scivolato rovinosamente. Il parallelo col caso Embolo nasce dal fatto che Williams, nato e cresciuto a Bilbao, ha “scelto” a ventotto anni di giocare per il paese di origine dei suoi genitori dopo aver esordito con la nazionale maggiore spagnola (il fratello Nico fa parte della rosa delle “furie rosse” a questi mondiali), ed aver disputato addirittura incontri con la maglia della selezione dei Paesi Baschi, fregiandosi fra l’altro dell’onore di essere stato il primo giocatore di colore schierato dall’Athletic Bilbao, società che tradizionalmente mette in campo solo calciatori baschi. La (triste) morale della storia è che il tradimento paga, il “ritorno alle radici” no. Oggi c’è Qatar-Senegal, e per quello che s’è visto nella prima partita i senegalesi dovrebbero avere la meglio sui mercenari padroni di casa, destino cinico e baro permettendo. In ogni caso, il mal d’Africa non finisce qui.
GR
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