Marco Di Mauro
Avanti.it
Il popolo italiano è meraviglioso. Un vero assurdo sociologico che unisce la più indefessa resilienza, il più abietto individualismo, il più dedito servilismo a uno scetticismo ribellistico che, stanti le premesse, non si sa davvero come spiegare. Un servo che pagherebbe per essere sfruttato, ma poi sputa e impreca mentre obbedisce. Così come il rapporto con il proprio paese: nessuno disprezza lo Stivale quanto chi vive sotto il suo tacco, ma allo stesso tempo non c’è un italiano che non sia pronto a lodarne le bellezze e prodezze con la pummarola ncoppa. Una vera e propria schizofrenia che trova la sua più compiuta espressione nella politica a tutti i livelli, con gente che loda il sovranismo di un governo che lecca il culo a Washington più e meglio dei globalisti sinistroidi e sotto il quale gli sbarchi di migranti sono addirittura triplicati, fino all’infimo dell’infimo dove i poveracci nogrinpasse invocano unità dopo esser riusciti a scindere in due fazioni persino gruppi di dieci persone. Ma questi esempi possono essere chiaramente spiegati con un mix letale – per gli stessi furboni – di ipocrisia e insipienza politica.
Tornando ai casi propriamente patologici, ne abbiamo uno vicinissimo nel tempo: quando qui da noi, neanche un anno fa, protestano i camionisti e i trasportatori turistici l’italiota gli impreca addosso perché bloccano le autostrade; quando scioperano agricoltori e pescatori li maledice, perché aumentano i prezzi dei generi alimentari; quando si ribellano i tassisti, li disprezza in quanto arraffoni privilegiati; poi scoppia la rivolta dei francesi ed ecco fioccare in ogni dove i post indignati, i commenti sospirati: quando qui da noi? perché in Italia niente? E la sentono davvero, la domanda, tanto da rimpinzare le query dell’algoritmo del dio Google, spingendo anche i giornalacci d’apparato a dare aranzulliane risposte alla domanda del momento: perché in Francia protestano, e in Italia no? E giù le solite risposte che rafforzano una delle doti più spiccate del medio italiota, il vittimismo, anch’esso accompagnato dal contraltare schizofrenico del disprezzo di sé.
Provando in questa sede a dare un’umile risposta, dobbiamo formulare la domanda nel modo giusto: non più perché in Italia non si è protestato?, ma: perché in Italia chi ha protestato è stato negletto e disprezzato dalla maggioranza? Innanzitutto, la gran parte del popolo italiano percepisce se stesso come ceto medio-borghese, e quando a protestare sono le categorie che percepisce come proletarie – come camionisti, agricoltori etc – o come freak – come i media hanno fatto passare l’attempato popolo nogrinpasse – esibisce quel sentimento che accomuna destri e sinistri al di là delle differenze: il disprezzo verso il più debole. Ma fin troppo si è parlato della maggioranza, ovvero di quei pecoroni che sono andati al macello nazisanitario dei vaccini killer in nome del dovere civico di obbedire al golem televisivo. Qui vogliamo parlare di come la stessa minoranza che ha resistito, quella di noi integerrimi novaccse, se ha lasciato incontaminato il corpo dai veleni di Pfizer e compagnia, non ha fatto lo stesso con la propria mente, consegnata in toto al padrone senza rendersene conto.
Come già abbiamo avuto modo di sostenere su queste colonne, la cosiddetta “resistenza” del popolo degli autodefinitisi “risvegliati” si è svolta in massima parte sulle piattaforme digitali fornite gratuitamente e gestite dai servizi segreti americani, e con le sue interazioni ha favorito il radicalismo acritico che ben si inquadra negli algoritmi dei social media e alimentato il cieco leviatano della sociologia militarizzata del nuovo Potere. Il quale non ha neanche avuto bisogno di indottrinare e incanalare in un conflitto fittizio le spinte provenienti dalla società: vi si erano già messe da sé, brave e ligie al totalitarismo più bieco e terribile che la storia abbia conosciuto. E queste tristi superstar del telecomplottismo, che cavalcano l’onda delle visual sul Tubo e fanno uscire tre-quattro libri all’anno, annunciano la vittoria del popolo dei risvegliati ogni volta che ce n’è bisogno, badando al proprio orticello mentre il vuoto delle piazze si taglia col coltello e il vecchio mondo esala gli ultimi respiri.
Le piazze di questi resistenti si svolgevano sempre e comunque in funzione dei social, diventavano dei grossi baracconi che cercavano di imitare una trasmissione televisiva. Il compimento di qualcosa che era iniziato poco più di dieci anni fa, quando ventenne andai a Boscoreale per un reportage sulle proteste contro l’inceneritore che l’allora presidente Caldoro voleva costruire, e vidi come poche decine di persone per lo più tranquille iniziarono a scatenarsi come matte, peggio degli ultrà, solo quando arrivarono le telecamere della trasmissione Annozero, per poi tornare nuovamente tranquille. È necessario alla comprensione del linguaggio mediatico delle proteste post-moderne il fatto che il popolo è il prodotto imbandito sulla tavola dei famelici algoritmi, e sa di esserlo. Già nell’ottobre 2020 a Napoli faceva la sua comparsa una componente che mai avrebbe abbandonato il popolo della resistenza alla dittatura sanitaria: l’allestimento di coreografie e scenografie da riprendere e trasmettere sui social media. Questa pratica si è sostituita completamente alle vecchie delegazioni dei manifestanti che andavano a trattare con l’esponente di turno delle istituzioni, preposto a dare risposta alle istanze che il malcontento espresso doveva portare avanti. Durante una di queste occasioni chiesi a Ugo Fuoco come mai si protestava contro De Luca andando sotto alla Regione negli orari in cui era certamente impossibile trovare non dico il Vingenzone, ma almeno un delegato, un segretario, un usciere… “Come al solito non hai capito un cazzo” mi disse “qui non si tratta di una lotta tra il Sistema e noi, ma di una lotta del Sistema e del popolo, contro di noi”. E perdonatemi se non riesco a trovare una conclusione migliore di questa.
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