Marco Di Mauro, Francesco Santoianni
Avanti.it
Ma davvero l’Egitto potrebbe produrre e fornire segretamente alla Russia 40.000 razzi Sakr 45 come “documentato” da un fantomatico documento segreto pubblicato dal Washington Post? Dagli archivi del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute, il più grande centro di ricerca sullo stato degli armamenti nel mondo) le capacità di produzione dell’Egitto in questo campo appaiono inesistenti. Eppure in un primo momento l’intera palude mainstream, su tutti un vergognoso articolo del Fatto, ha posto quest’assurdità sul piano della certezza, sostenendo contro ogni logica che il Cairo dalla sera alla mattina avesse potuto sostenere lo sforzo di riconvertire il proprio apparato industriale al fine di rifornire la Russia di razzi di poco valore economico e bellico proprio adesso che sta affrontando una delle crisi economiche e alimentari più gravi dell’ultimo decennio. Il tutto in cambio di un pugno di cereali offertigli da Mosca, in uno scambio che – se non fosse stata una clamorosa bufala – avrebbe ricordato le famose perline di vetro offerte dai conquistadores ai nativi americani in cambio di oro e pietre preziose? Dev’essere un babbo fatto e finito, Al Sisi, per i giornalisti occidentali, e Putin un pazzo – definizione che accomuna Roberto D’Agostino a Domenico Bini, il che spiega molte cose – se con l’Iran e la Cina a due passi ha deciso di farsi rifornire di proiettili balistici proprio da un paese mediterraneo, peraltro in ottimi rapporti con gli Stati Uniti che, nonostante lo definiscano uno spietato dittatore, sostengono il comparto militare di Al Sisi con ben un miliardo di dollari all’anno – cifra ridotta nel 2023, almeno ufficialmente, del 13% in quanto lo spietato dittatore egiziano si sarebbe rifiutato di ripristinare i diritti umani e rilasciare i prigionieri politici (circostanza addotta come altra possibile causa del “tradimento” con Putin). Allo stesso modo, e questo rende ancora più inspiegabili le rivelazioni del Washington Post, il paese nordafricano è tra i primi acquirenti di armi prodotte dalla Russia, per la quale appunto sarebbe stato assai più comodo e conveniente interrompere le forniture all’Egitto piuttosto che commissionargli la fabbricazione di pezzi d’artiglieria per la cui produzione il paese non è nemmeno attrezzato.
Tuttavia anche quando martedì, dopo che alle smentite dei due paesi interessati si è aggiunta quella di Washington, i media si sono rimangiati tutto, una cappa di dubbio ha continuato a pesare su questa faccenda. Assodato che i Pentagon Leaks altro non sono che una montatura dell’intelligence americana volta a confondere le acque e prender tempo in campo diplomatico e mediatico in un momento di difficoltà della strategia neocon, che interesse ha la compagine globalista anglo-sionista a screditare l’Egitto in modo così grossolano? Un’ipotesi verosimile è che l’obiettivo non fosse il regime di Al Sisi, ma che si volesse irritare ulteriormente la Russia e spingerla a sospendere definitivamente gli accordi sul grano, sui quali è già traballante da un po’ nonostante la proroga concessa a metà marzo, in quanto ha denunciato come siano sabotati dall’endemica corruzione dei funzionari ucraini e ha fatto chiaramente capire di non essere intenzionata a permettere ulteriormente il passaggio delle navi cargo senza un alleggerimento delle sanzioni sui fertilizzanti russi. Uno stop degli accordi fortemente voluti dalla Turchia e ivi stipulati a luglio scorso sarebbe una manna per l’asse atlantico, in quanto uno stop totale agli approvvigionamenti alimentari dei paesi del Medio Oriente – i quali dipendevano fortemente dal grano prodotto nell’area del Mar Nero – e la conseguente instabilità sociale e politica nell’area costituirebbe un fortissimo ostacolo verso l’avvicinamento dei paesi islamici all’Iran e alla Cina.
Proprio la guerra d’Ucraina è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della catastrofe economica libanese, e lo stesso trattamento è riservato dai famelici predoni globalisti anche all’alleato Al Sisi, che sta fronteggiando dal febbraio scorso una profonda crisi economica originata proprio dal raddoppio della spesa pubblica per i sussidi statali sulla farina – sui quali si regge la sicurezza alimentare del 70% della popolazione egiziana – facendo levitare la spesa alimentare annua del paese da 3 miliardi a 5,7, costringendolo ad accettare l’anno scorso a giugno un prestito di 500 milioni di dollari dalla Banca Mondiale e a dicembre scorso un altro di 3 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale, le cui pressioni per l’abolizione di tutte le forme di welfare si fanno sempre più insistenti. Intanto, al Cairo l’inflazione nel mese di marzo ha toccato il 33.8% e non accenna a diminuire, costringendo la banca nazionale ad alzare i tassi di interesse per contenere i prezzi che ciononostante sono saliti oltre il 60% rispetto ai livelli pre-guerra. Sabotare gli accordi sul grano potrebbe dare quindi la spinta finale al paese verso il baratro della recessione. Ma l’Egitto ha già iniziato l’adozione delle proprie contromisure: a febbraio di quest’anno ha annunciato, causando profondo risentimento da parte dei paesi occidentali, il proprio ritiro, che sarà effettivo dal 30 giugno, dalla Grains Trade Convention, trattato delle Nazioni Unite per regolare il commercio di grano cui il paese aveva aderito nel 1994 quando, dopo la liberalizzazione selvaggia del settore agricolo attuata da Mubarak negli anni Ottanta, era diventato uno dei principali importatori di grano al mondo – ad oggi il paese, delle 9 milioni di tonnellate di grano necessarie al solo sussidio alimentare ne riesce a produrre di suo soltanto 3,2 importando la quasi totalità del resto da Russia e Ucraina, almeno fino all’entrata ufficiale della Russia nel conflitto del Donbas. Causa del ritiro dalla GTC è stata proprio, stando a quanto dichiarato il 18 marzo dal ministro degli approvvigionamenti e del commercio interno Ali Moselhi, il non aver ottenuto alcun sostegno dopo il blocco delle rotte dovuto allo scoppio della guerra: “L’obiettivo dell’accordo è quello di trovare un equilibrio nei mercati, fornire il fabbisogno di grano dei paesi e controllare la bilancia commerciale per produttori e consumatori […] l’accordo, tuttavia, non è riuscito a realizzare questi obiettivi desiderati durante la crisi Ucraina-Russia, per cui l’Egitto si è ritirato da esso.”
Lascia un commento