Con l’avvicinarsi delle elezioni europee 2024, l’élite del continente appare spaventata e corre all’attacco contro la libertà d’informazione.
Dopo i rincari del gas, l’invio delle armi all’Ucraina, le sanzioni alla Russia e il rifiuto di organizzare trattative di pace e tante altre scelte sconsiderate che stanno riducendo la qualità della vita dei cittadini europei, i tradizionali partiti rischiano di perdere ancora più terreno, perpetuando una tendenza che va avanti già da tempo. Da diversi anni infatti assistiamo in tutta Europa alla perdita di consenso da parte dei tradizionali partiti e all’ascesa al potere di nuovi partiti che si autodefiniscono spesso antisistema, populisti o vagamente euroscettici, ovvero che cercano di incanalare il crescente dissenso tra la popolazione su tantissime tematiche che hanno segnato l’ultimo decennio: dalle politiche economiche, alle migrazioni incontrollate, dalla gestione autoritaria del Covid, fino alla guerra con la Russia. Ciò si riflette nei due grandi gruppi parlamentari che storicamente hanno sempre controllato il parlamento europeo, ovvero il partito socialista europeo e il partito popolare europeo, e che già nelle votazioni del 2019 avevano perso molti seggi. Tuttavia, la propaganda mainstream insiste nel far credere che tale dissenso venga alimentato da notizie false, solitamente diffuse in rete, magari portate avanti da movimenti finanziati dalla Russia con l’intento di destabilizzare l’occidente, e utilizzando campagne online per manipolare le opinioni delle masse. Attribuire interamente i propri problemi interni sempre ad un nemico esterno che vuole manipolare e destabilizzare è sempre stata una caratteristica tipica di qualsiasi regime.
Ecco allora che in vista delle elezioni dell’anno prossimo, l’Ue dà inizio ad una vera e propria caccia alle streghe con delle iniziative elaborate tra la Commissione europea e il Consiglio europeo, tra queste in particolare una modifica dello European Democracy Action Plan, un piano d’azione iniziato nel 2020 per difendere l’Unione europea da presunte minacce esterne, quali interferenze di Stati stranieri e la disinformazione. Già all’interno di tale piano era presente un controverso “codice sulle buone pratiche sulla disinformazione”, ovvero un accordo tra Commissione europea e grandi piattaforme del web per oscurare contenuti classificati come disinformazione, e che ha portato troppo spesso in realtà alla censura anche di notizie vere ma ritenute scomode.
Ma la modifica che ora ci si appresta ad attuare comprende diverse limitazioni agli annunci pubblicitari legati ai partiti politici, vietando alle piattaforme web di fornire all’inserzionista i dati degli utenti utili a identificare le persone a cui indirizzare la pubblicità. Sembra una proposta di modifica a tutela della privacy dei cittadini, per cui non sarebbe un’iniziativa negativa, tuttavia il problema è che queste limitazioni non riguardano più esclusivamente i partiti politici, ma qualsiasi argomento di dibattito pubblico come i rincari sull’energia, l’invio delle armi all’Ucraina e così via. In tal modo le piattaforme web potranno limitare anche altre categorie che nulla hanno a che vedere con i politici come giornalisti, associazioni, comuni cittadini, ma anche chiunque esponga semplicemente tematiche ritenute scomode sui social.
Dunque, ci troviamo difronte ad una vera e propria stretta da parte del “ministero della verità” europeo di Orwelliana memoria.
AS
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