Da quando è scoppiato il conflitto in Ucraina, alle masse occidentali divoratrici di immagini è stato propinato un nuovo santino: il presidente ucraino Volodimir Oleksandrovic Zelensky.
Egli ricopre la massima carica politica del suo paese dal 2019, quando trionfò nel ballottaggio contro il presidente uscente Petro Poroshenko, che era salito al potere sulla scia dell’Euromaidan del 2014 e delle purghe antirusse negli apparati statali.
Prima di darsi alla politica e diventare, al primo colpo, presidente dell’Ucraina con uno straripante consenso popolare alle spalle, Zelensky era stato poliedrico uomo di spettacolo. Cantante, attore, ballerino, sceneggiatore, regista… uno show man a tutto tondo capace di ritagliarsi un ruolo da protagonista nel panorama televisivo ucraino del dopo Maidan, quando l’Ucraina si è in tutto e per tutto “aperta all’Occidente”. Per rendere l’idea, qualcosa fra Fiorello, Luca Argentero e Achille Lauro (il cantante, chiaramente).
Nonostante una laurea in giurisprudenza conseguita nel 2000, è sempre stato lo spettacolo il principale interesse di Zelensky, l’ambito nel quale ha deciso di esprimere se stesso. Già nel 1997, un Volodimir appena diciannovenne fondò, nella città natale di Kryvyj Rih, centro metallurgico dell’Ucraina meridionale, la “Kvartal 95”, evolutasi poi nel 2003 nel “Kvartal 95 studio”, una società di produzione di contenuti per la televisione attraverso la quale spiccherà il volo nell’empireo massmediatico (e non solo).
Il primo lungometraggio sfornato dalla Kvartal è Love in the big city, nel 2009, una commedia romantica all’americana con Zelensky coprotagonista; il successo è tale che ne verranno girati ben due sequel, nell’ultimo dei quali Zelensky figura anche come produttore. Per mere esigenze di business, è soprattutto al mercato russo che si rivolgono le prime produzioni zelenskiane; egli arriverà addirittura ad esprimersi pubblicamente contro il bando degli artisti russofoni dall’Ucraina, sancito nel 2015. Lo stesso Love in the big city 2 sarà oggetto di ritorsioni, venendo bandito dal territorio ucraino nel 2018, otto anni dopo la sua realizzazione e proprio alla vigilia della trionfale elezione del suo protagonista alla presidenza. Ma erano altri tempi: gli amici americani ancora non s’erano visti, e il rampante Zelensky provava a tutelare i suoi affari messi a repentaglio dall’isteria russofoba del governo.
La popolarità di massa, tuttavia, giungerà solo nel 2015, attraverso la serie televisiva Servitore del popolo. In essa, Zelensky interpreta Vasily Goloborodko, un professore di storia delle superiori che coltiva pruriti populisti e si lancia in filippiche contro la corruzione degli “oligarchi” che governano l’Ucraina. Una di queste intemerate viene filmata, a sua insaputa, dagli studenti di una sua classe, i quali diffondono in rete il video, che diventa subito “virale”. Questo fatto scatena una serie di eventi paradossali, al termine dei quali Goloborodko – Zelensky si ritrova eletto, quasi suo malgrado, presidente dell’Ucraina. Servitore del popolo si articola in tre stagioni ed un lungometraggio: dopo gli sbandamenti iniziali, Goloborodko saprà farsi valere come presidente, sgominando gli oligarchi cattivi e salvando il suo paese grazie ad un finanziamento del Fondo Monetario Internazionale, per ottenere il quale aveva portato a termine un processo di riforme “modernizzatrici” e “anticorruzione”. La sceneggiatura di Servitore del popolo anticipa quasi pedissequamente la realtà politica che prenderà corpo nei mesi successivi. Oltre ad interpretare il ruolo del presidente per caso, Zelensky recita anche nei panni di Grisha, un poveraccio che viene sottoposto ad un’invasiva operazione di chirurgia plastica allo scopo di fungere da sosia del capo dello Stato.
All’ indomani della messa in onda della prima stagione di Servitore del popolo, un sondaggio di opinione attestò che il 5% degli ucraini avrebbe dato il voto ad un partito con tale nome: è l’inizio di un processo che, mescolando realtà e finzione, politica e spettacolo, condurrà Zelensky – Goloborodko sullo scranno presidenziale. La registrazione di Servitore del popolo come partito politico risale al marzo 2018, l’annuncio ufficiale della candidatura di Zelensky alla successiva notte di capodanno, dagli schermi dell’emittente televisiva 1+1, il canale di proprietà di uno dei suoi principali padrini, quell’Ihor Kolomojsky che, oltre ad essere uno degli uomini più ricchi dell’Ucraina, è anche finanziatore di milizie antirusse, oltre che presidente del Parlamento ebraico europeo, avendo fra l’altro la cittadinanza israeliana. La campagna elettorale vera e propria sarà a tutti gli effetti uno show: Zelensky reciterà fino alla fine la parte del candido Goloborodko, mentre i suoi uomini di Kvartal 95 si daranno da fare su internet, diffondendo brevissimi video somiglianti più a sketch comici che a prese di posizione politiche. Alla fine, l’operazione sarà coronata da un successo che andrà oltre le più rosee aspettative: mentre al primo turno delle presidenziali Zelensky deve “accontentarsi” del 30% dei voti (otterrà poi oltre il 70% nel ballottaggio contro Poroshenko), alle successive elezioni parlamentari di giugno Servitore del popolo sbaraglia la concorrenza conquistando la maggioranza assoluta alla Verkhovna Rada, il parlamento ucraino.
Se il fenomeno degli attori che diventano presidenti non è nuovo (vedi su tutti Ronald Reagan), assolutamente inedita sul piano storico è l’elezione di un uomo che è già stato capo dello Stato sul piccolo o sul grande schermo prima di diventarlo nella realtà (a patto che, a questo punto, sussistano differenze fra le due dimensioni). Volendo costruire dei paralleli con le vicende di casa nostra, la memoria corre anzitutto ad un filmetto del 2013, Benvenuto Presidente!, in cui Claudio Bisio interpreta tale Giuseppe Garibaldi, che si ritrova eletto Presidente della Repubblica dopo vicende ancor più paradossali di quelle narrate in Servitore del popolo (alla fine lo eleggono pure papa). Le similitudini si fermano qui: Bisio non fonderà partiti né si candiderà a cariche pubbliche: dietro la realizzazione del film non c’era, chiaramente, alcun progetto di questo tipo. Assai più plausibili appaiono le similitudini con l’ascesa dell’uomo-televisione per eccellenza, Silvio Berlusconi: in tal senso, si potrebbe dire che Kvartal 95 sta a Zelensky come Publitalia è stata a Berlusconi; la società ucraina, infatti, prima “costruisce” il personaggio Zelensky – Goloborodko, poi ne promuove l’immagine attraverso le regole del marketing e del merchandising, quindi piazza i suoi uomini, ad elezione avvenuta, nei posti chiave dell’amministrazione pubblica. Va detto però che Berlusconi, pur essendo stato uno, nessuno e centomila, non ha mai fatto l’attore (in senso stretto, almeno) e men che meno ha interpretato ruoli presidenziali in qualche fiction. V’è pure chi vede nel percorso zelenskiano l’ombra di Beppe Grillo, anche lui attore comico; la Kvartal 95 si muove infatti, nell’uso “politico” della rete, in modo analogo alla Casaleggio Associati, promuovendo inoltre le stesse tipologie di “contenuti”: lotta alla corruzione, elezione di persone “oneste e competenti”, malcelato antiparlamentarismo.
Il cinema con la “c” maiuscola, tuttavia, ha già raccontato una storia per certi aspetti analoga a quella di Zelensky. Nel celeberrimo Oltre il giardino del 1979, lo sprovveduto Chanse Giardiniere (interpretato da Peter Sellers), un uomo che ha trascorso tutta la vita a guardare la televisione e non conosce alcuna realtà al di fuori di essa, diventa alfine presidente degli Stati Uniti per volere delle grandi corporation. Nel visionario film di Hal Ashby, ad ogni modo, Chance, pur essendo in tutto e per tutto un prodotto della televisione, non “esce” da essa. Con Zelensky, invece, la televisione straripa nella realtà, i piani si confondono e si sovrappongono in continuazione, lo straniamento è assoluto. Si tratta della sublimazione di quella Società dello spettacolo descritta da Guy Debord.
Con la guerra, la figura di Zelensky – Goloborodko ha varcato i confini ucraini per conquistare i teleschermi dell’Occidente. Ogni sua teleapparizione appare minuziosamente sceneggiata e scenografata, mentre procede parallelamente la conquista di milioni di seguaci sui social planetari. Dietro questa strategia, oltre all’opera del sodale Yuriy Kostyuk, il principale sceneggiatore di Servitore del popolo, si avverte la longa manus americana: non si fa mistero del fatto che il presidente ucraino, in questa nuova veste “militare”, sia circondato da “consulenti” a stelle e strisce che sanno far bene il loro sporco lavoro.
La telepromozione di questo guitto postmoderno ha raggiunto ultimamente livelli parossistici: oltre alla messa in onda pure in Italia della serie che gli ha dato la celebrità (su La 7, ma con risultati deludenti in termini di ascolti), per lui è stato ristampato il volume I grandi discorsi che hanno cambiato la storia, in modo da inserire il suo nome a fianco di Gandhi, Mandela e Martin Luther King, ed è financo possibile acquistare candele di preghiera con la sua effigie (qui ne trovate a iosa: costano solo 24,18 euro l’una ed il ricavato sarà “donato”, anche se non viene specificato a chi). Gli scaltri candelai così presentano il telesantino venuto dall’Est, suggerendo anche la formula votiva più appropriata: “Il mondo ha imparato a conoscere questo leader coraggioso e feroce. Possa egli condurre con successo il suo popolo attraverso la crisi.”
Dopo essere scampato ad attentati, complotti e tentativi di avvelenamento (i copioni, del resto, son sempre pieni di colpi di scena), il “comico eroe” (copyright Il Foglio) minaccia di diventare una presenza fissa nei nostri palinsesti. La sua beatificazione è già a buon punto: il Nobel per la pace non glielo leva nessuno. Lo stesso conflitto, alla fine, non è che un episodio di una grande saga. Per Zelensky, infatti (e, soprattutto, per quelli che gli scrivono la sceneggiatura), la guerra non è altro che la prosecuzione dello spettacolo con altri mezzi.
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