Giuseppe Russo
Avanti.it
Alla fine, nonostante un ultimo sussulto populista in cui si era spinto a definire i “suoi” deputati come “un gregge”, Boris Johnson ha ceduto, dimettendosi dalla carica di leader del Partito Conservatore. Le vicende della giornata di giovedì 7 luglio chiudono il cerchio dopo lo stillicidio di dimissioni all’interno del governo dello scapigliato premier britannico : fra ministri e sottosegretari, in 38 avevano abbandonato l’esecutivo nelle precedenti 48 ore. La credibilità di Johnson, già minata da una serie di “scandali” montati ad arte nei mesi precedenti (su tutti il cosiddetto “Partygate”, le feste celebrate a Downing street durante il lockdown), è definitivamente franata sul caso Pincher, il vicecapogruppo conservatore alla Camera dei Comuni promosso in quel ruolo dal premier nonostante la sua fama di molestatore seriale di attivisti e giovani deputati. La stella di Johnson, già sindaco di Londra durante le Olimpiadi del 2012, successore di Theresa May alla guida dei Tories nel nome della “hard Brexit” e trionfatore delle elezioni del 2019, tramonta in uno scenario boccaccesco, con il biondastro leader mollato al suo destino di capro espiatorio da tutti i maggiorenti del partito (compreso il “fedelissimo” Michael Gove, poi definito “un serpente”), nei cui ranghi scalpitano in queste ore i potenziali successori.
È sul tavolo ucraino che Boris Johnson si è giocato le ultime carte, dopo che la sua “Hard Brexit si era incagliata nelle lungaggini dell’euroburocrazia: il suo governo è stato il più “zelenskiano” fra quelli occidentali, quello che più ha assecondato le “richieste d’aiuto” dell’Ucraina, che più ha cavalcato l’abusata retorica dello “scontro di civiltà”. Appena due settimane fa, in un’intervista rilasciata ad alcuni quotidiani, Johnson si era candidato al ruolo di guida politica della crociata anti-russa, formulando l’irrealizzabile obiettivo di “tornare ai confini del 24 febbraio” (cioè allo status quo prima della penetrazione russa nell’Ucraina orientale) ed auspicando, neppur troppo velatamente, un maggiore coinvolgimento militare della NATO. Paventando il rischio di una “cattiva pace”, Johnson si era spinto a dichiarare: “Questo è il momento per provare a rovesciare le cose. Fintantoché gli ucraini sono capaci di montare una controffensiva, dovrebbero essere sostenuti, con l’equipaggiamento che ci stanno chiedendo”.
Ora ,nonostante fra i favoriti alla sua successione vi siano altri due oltranzisti della russofobia come il ministro della difesa Ben Wallace, possibile futuro leader della NATO, e quello degli esteri Liz Truss, che ha addirittura la fama di “nuova Thatcher”, questa resa dei conti maturata nei sotterranei del deep state britannico mentre al pubblico venivano mostrati le immagini fatue degli scandaletti omoerotici pare collegarsi alla piega che sta assumendo il conflitto in Ucraina: una fazione sinora silente o minoritaria dell’élite potrebbe aver preso atto del fallimento della strategia sinora seguita, e spingere per una soluzione di compromesso che, allo stato attuale delle cose, risulterebbe accettabile per entrambe le parti. La notizia delle dimissioni di Johnson, fra l’altro, è stata salutata positivamente dai “mercati”, che hanno visto lievitare tutti i loro indici: qualcosa vorrà pur dire. A prescindere dunque da chi sarà il successore di Boris Johnson (che potrebbe comunque restare “tecnicamente” al governo per l’ordinaria amministrazione fino a settembre), è lecito aspettarsi, se non una svolta, qualche sostanziale cambiamento della politica estera britannica. Lo stesso Medvedev, ormai scheggia impazzita del putinismo d’assalto, ha rilasciato un sibillino messaggio su Telegram in cui descriveva la crisi di governo come “il logico risultato dell’arroganza britannica”. Johnson, insomma, potrebbe essere solo il primo di una lunga serie di “arroganti” a cadere sotto la scure di questo nuovo corso. Le scosse che hanno agitato il governo Draghi nei giorni scorsi potrebbero essere associate a movimenti tellurici dello stesso tipo. Ci sarà occasione di tornare sull’argomento su queste pagine.
GOI dice
Tanto va la gatta in Russia, che ci lascia lo zampino.