Marco Di Mauro
Avanti.it
Si fa un gran parlare negli Stati Uniti, in questi giorni di nuova recrudescenza della guerra tra le élite capitalistiche, dell’uso politico dell’agenzia d’intelligence interna, la Federal Boureau Investigation, da parte dei Democratici. Il 9 agosto infatti gli agenti hanno fatto irruzione nella sontuosa villa di Donald Trump a Mar-A-Lago, a Palm Beach, Florida, col mandato – divulgato ieri con il consenso dello stesso tycoon – di sequestro di alcuni documenti ufficiali e secretati che l’ex presidente avrebbe continuato a tenere in casa propria dopo la fine del mandato. Chiaramente, dato che gli agenti sapevano esattamente dove andare e dove guardare, c’è lo zampino di una “gola profonda”, qualcuno che conosceva bene gli uffici di Trump e dei suoi dipendenti presenti nella villa. Finora, nonostante i giornalacci nostrani già parlino di materiale segretissimo e riguardante armi nucleari, l’FBI si attiene alla facoltà di non divulgare le proprie indagini. Il procuratore genedale Merrick Garland si è assunto la responsabilità dell’irruzione, mentre il direttore del Boureau, Christopher Wray, ha fatto la vittima per le minacce subite dalle bestie di Trump, ultradestre e aduse ad indossare elmetti cornuti. E c’è già lo jihadista Maga, tal Ricky Shiffer, nostalgico del 6 gennaio, che ha provato a fare irruzione nella sede dell’FBI di Cincinnati armato di fucile d’assalto, ma poi non è riuscito a entrare, fuggito e abbattuto dalle forze del bene. Alla fine, il ciuffo biondo più amato dai conservatori americani – e anche italiani – è finito accusato di spionaggio. Proprio alla soglia delle elezioni di medio termine, che lo vedono avanti di diverse lunghezze rispetto al suo senile avversario Joe Biden, ormai diverse lunghezze oltre la soglia della demenza.
Sebbene sia evidente da parte della sinistra radicale e del cosiddetto Stato Profondo – la parte delle élite americane più vicina all’agenda sionista dei Rothschild, il complesso militare-industriale che punta a portare gli USA allo status di paese del Terzo mondo attraverso la distruzione dell’economia interna, le crisi sanitarie cicliche, le guerre razziali e la diffusione della cultura gender – l’utilizzo dell’FBI e del Dipartimento di Giustizia come arma politica contro la parte dei capitalisti ancora legati al “vecchio mondo” e rappresentata dai Repubblicani, questo tuttavia non scandalizza gli storici americani più attenti. Innanzitutto, c’è stato il maldestro Russiagate, il dossier Steele montato nel 2016 contro Trump proprio con la attiva collaborazione del Boureau, e che ha screditato l’agenzia agli occhi dell’opinione pubblica a livelli che non si erano raggiunti alla fine degli anni Settanta, quando la Commissione Church fece venire a galla le pratiche scorrette e gli abusi fatti dall’FBI durante la lunghissima gestione di John Edgar Hoover, direttore del Boureau per quasi mezzo secolo, dal 1924 al 1972: intercettazioni illegali, sorveglianza capillare dei cittadini americani considerati “comunisti” o “sovversivi” come Martin L. King, ma soprattutto azioni di spionaggio e montature di dossier contro gli avversari politici del governo in carica, come ha eloquentemente dimostrato il coinvolgimento di Hoover nello scandalo Watergate del giugno ’72, venuto fuori un mese dopo la morte dello storico direttore.
Anche qui, niente di nuovo, d’altronde lo stesso creatore dell’agenzia così come la conosciamo, il presidente Franklin D. Roosevelt, le diede mandato negli anni Trenta al giovane Hoover di perseguire con indagini segrete tutti i gruppi politicizzati del paese, nazisti, fascisti o comunisti che fossero. La Commissione Church palesò l’esigenza di istituire un regolamento che prevedesse un maggior controllo del Congresso sull’agenzia, cosa che, come da miglior tradizione democratica, è stata fatta più formalmente che altro, con la creazione dell commissioni di intelligence della camera e del senato. Oggi in effetti l’FBI non è più quella di Hoover, ma per un solo particolare: sono cambiati i padroni dall’altro capo del guinzaglio. Se prima si poteva dire che il Boureau era una sorta di polizia politica repubblicana, da Clinton in poi è passata ai padroni dem, che la usano a propria discrezione – e con molta nonchalance – contro chiunque metta i bastoni tra le ruote alla loro agenda, anche se fa parte del loro stesso schieramento. Molto prima della visitina a The Donald, infatti, a gennaio di quest’anno, l’FBI ha fatto irruzione nella casa del deputato democratico Henry Cuellar, rappresentante del distretto del South Texas, per il suo presunto coinvolgimento in un’indagine – di cui il Boureau non ha rivelato i dettagli – sul legame di alcuni politici e affaristi americani con l’Azerbaijan. Non si sanno ancora gli sviluppi, ma è certo che la rielezione di Cuellar – 66 anni, noto per la sua posizione anti-abortista e vicinanza a posizioni conservatrici (cosa che ha garantito la sua elezione per tanti anni in quel distretto nonostante fosse schierato coi blues) – è oggi molto incerta, e alle elezioni di midterm il partito probabilmente gli preferirà la ventottenne attivista dei diritti umani Jessica Cisneros, sotto di lui di quattro punti percentuali alle ultime primarie, radicale di sinistra nell’alveo di Alexandra Ocasio-Cortez, che più volte non ha nascosto l’intenzione di ‘svecchiare’ la politica nel distretto del South Texas.
La polizia federale statunitense vive in questi anni, dunque, la crisi forse più profonda della sua storia. Ai minimi termini nell’approvazione pubblica secondo le agenzie demoscopiche Pew e Gallup, non è soltanto l’uso goffo ai limiti del ridicolo che ne fa la sinistra americana per i suoi scopi politici. Già molti avvocati difensori lamentano le enormi difficoltà di fare il proprio lavoro di fronte alle procedure oscurantiste e macchinose dell’agenzia, che ad esempio non consente agli avvocati di registrare gli interrogatori, mentre la ricezione degli atti è a discrezione della polizia, che spesso e volentieri li consegna dopo averli ampiamente manipolati. A settembre scorso sulle colonne del Wall Street Journal è apparso un articolo dal titolo eloquente, “Abolish the FBI”, a firma di Holman W. Jenkins: la polizia federale ha una storia costellata di errori giudiziari e corruzione, omicidi e copertura di crimini, la sua struttura è irriformabile e va abolita, sostituita da «un corpo investigativo nazionale che risponda più direttamente ai 93 procuratori degli Stati Uniti incaricati di far rispettare le leggi federali nei 50 stati».
Ma continuiamo a esser certi che, dopo i palesi brogli elettorali del 2020 e l’ostinato e ormai svergognato utilizzo della polizia federale come arma politica, i dem radicali ci regaleranno a breve qualche altra perla per l’oscuro cammeo della fine della democrazia americana.
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