Il Qatar siamo Noi #21
Nella giornata in cui si gioca la semifinale fra Argentina e Croazia, a Messi e compagni tocca, oltre all’accusa di essere dei provocatori che prendono di mira gli avversari con battute sulle mogli, come ormai neanche più in terza categoria, anche quella di essere razzisti, essendo l’unica nazionale di tutte le Americhe a non avere in squadra giocatori neri. Per spiegare l’origine di questa mancanza si è scomodata una luminare dell’università di El Paso, tale Erica Denise Edwards, che ci ha scritto sopra un articolo per The Washington Post (Democracy Dies in Darkness l’eloquente sottotitolo che accompagna il nome della testata). Nel pezzo si ripercorre la storia della tratta degli schiavi in Argentina e della progressiva “bianchizzazione” della popolazione di colore, che in base alle stime dell’autrice ammontava ad un terzo del totale alla fine del XVIII secolo, prima della massiccia ondata migratoria dall’Europa che caratterizzerà il periodo fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Nella furia di trovare argomentazioni alle sue tesi, la Edwards gonfia la percentuale di afroargentini nel censimento del 2010, asserendo che rappresenterebbero l’uno per cento della popolazione e che sarebbero spietatamente discriminati in tutti i settori, in primis nel calcio. In base al censimento citato, gli argentini di origine africana sarebbero poco meno di 150000, pari allo 0,37% del totale (la stessa Edwards è stata “costretta” a rettificare il dato) e la loro sottorappresentazione nella nazionale di calcio è dovuta unicamente al loro scarso peso demografico. Non mancano inoltre esempi di calciatori con radici africane che hanno indossato negli anni la maglia dell’albiceleste, dall’attaccante Alejandro de los Santos, che con l’Argentina vinse il campionato sudamericano del 1925, fino a a Hector Baley, che fu portiere di riserva nella squadra campione del mondo del 1978, senza parlare del ventenne centrocampista del Boca Juniors Cristian Medina, che, già schierato nelle selezioni giovanili, ha sfiorato la convocazione ai mondiali qatarioti dopo che il tecnico Scaloni l’aveva già chiamato, senza mandarlo in campo, in occasione degli incontri di qualificazione con Brasile e Uruguay. Guardando alla storia argentina nel suo complesso senza le lenti deformanti dell’ideologia woke di cui è evidentemente imbevuta la Edwards, emerge non solo la matrice africana del tango (è di origine angolana la parola milonga, che designa sia un tipo di danza sia una sala in cui si balla il tango), con diversi cantanti, compositori e ballerini di chiara e rivendicata origine africana (su tutti Gabino Ezeiza, considerato fra i pionieri del genere musicale e popolarmente chiamato el Negro), ma anche la blackness di diversi padri e madri della patria, come Maria Remedios del Valle, che prese parte alla guerra d’indipendenza contro gli spagnoli, Bernardo de Monteagudo, che fu una sorta di “Bolivar nero” che si batté anche per l’indipendenza del Perù e per l’unità degli stati ispanoamericani, e addirittura il primo presidente della repubblica Bernardino Rivadavia, le cui radici africane, “sbianchettate” ad arte da una certa storiografia di fine Ottocento, sono oggi considerate un fatto acquisito. L’Argentina è da considerarsi, adoperando gli stessi parametri della Edwards, come uno dei paesi meno razzisti del continente americano, considerando anche che è stato il primo ad abolire ufficialmente la schiavitù in quell’area del mondo. Se la nazionale dovesse passare contro la Croazia (altra squadra “razzista”) e trovare la Francia in finale, proveranno a propinarci ancora questa minestra stantia, e ci sarà da essere indulgenti: non sono razzisti, ma soltanto stupidi.
GR
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