Giuseppe Russo
Avanti.it
Alle elezioni federali dello scorso 21 maggio, il Partito Laburista Australiano ha conseguito la maggioranza relativa dei seggi nelle due camere, e darà vita al prossimo governo in coalizione con i Verdi, esprimendo il primo ministro nella persona di Anthony Albanese, storico leader dell’ala sinistra del partito e primo italo-australiano a ricoprire tale carica.
Ad uscire pesantemente sconfitto è il primo ministro uscente Scott Morrison, capo della coalizione conservatrice fra il Partito Liberale ed il Partito Nazionale, la quale, pur ottenendo in termini assoluti più voti dei laburisti, è stata penalizzata dal sistema elettorale australiano, elaborato per la Camera dei Rappresentanti sulla falsariga di quelli statunitense e britannico. Il carattere fortemente maggioritario della legge elettorale ha consentito ai laburisti di sfiorare la maggioranza assoluta con meno di un terzo dei voti, mentre i Verdi, futuri partner governativi, pur ottenendo il miglior risultato della loro storia con quasi il 12% dei suffragi, strappano solo 3 seggi nella prima delle due camere (il maggioritario in vigore al Senato è più “temperato” e gli ambientalisti vi hanno ottenuto 12 seggi su 76).
Due vicende hanno caratterizzato più di tutte il governo Morrison: la sottoscrizione dell’AUKUS, patto militare con USA e Regno Unito, e la liberticida politica dei “contagi zero” perseguita per fronteggiare la pandemia. La nuova alleanza militare messa in piedi assieme agli storici alleati geopolitici dell’Australia (va ad aggiungersi all’ANZUS che comprende la Nuova Zelanda ma non la Gran Bretagna) è stata concepita per arginare l’egemonia commerciale, diplomatica e militare dei cinesi nel Pacifico e proteggere la sempre più isolata Taiwan, specie dopo la firma dell‘accordo di sicurezza fra la Cina e le Isole Salomone, che erano di fatto un protettorato australiano. Rispetto alla gestione dell’emergenza pandemica, invece, il governo Morrison si è distinto, assieme a quello canadese, per aver applicato i più rigidi protocolli nell’ambito del mondo occidentale. Particolarmente distopica è stata la situazione che si è venuta a creare nel Nuovo Galles del Sud, lo stato che ha per capitale Sidney, dove divieti paradossali, droni minacciosi e arresti con pestaggio di persone smascherate hanno fatto assaggiare alla popolazione un pezzo di Mondo Nuovo. Eppure, tutto ciò non è stato oggetto di campagna elettorale: gli unici che hanno osato formulare qualche obiezione al riguardo, i “populisti” del partito “One Nation”, hanno ottenuto appena due senatori, mentre gli stessi laburisti, che hanno la loro fetta di responsabilità nella conduzione autoritaria dell’emergenza controllando gran parte dei governi locali, hanno attaccato il premier Morrison contestandogli la scarsa efficacia della campagna vaccinale, che, pur fra ricatti e minacce che conosciamo bene anche da questa parte del mondo, non ha raggiunto gli obiettivi previsti. Lo stesso Albanese, “positivo” al Covid dopo un tampone, si è dovuto isolare per una settimana in piena campagna elettorale, mentre in dirittura d’arrivo, per permettere di esprimere il voto ai vari “positivi asintomatici”, ci si è inventati persino il “voto telefonico”, che non ha eguali al mondo. In base alle cifre ufficiali, i morti da coronovirus in Australia sarebbero poco più di 8000 su una popolazione di oltre 25 milioni.
Difficile aspettarsi una svolta dal neopremier Anthony Albanese nell’ambito della politica estera o di quella sanitaria; al massimo, come capita in questi casi, qualche cosmetico segnale di discontinuità emergerà rispetto a questioni secondarie, come l’eutanasia, i diritti LGBTQ e l’apertura ai migranti del Sud-Est asiatico, tutte cause perorate, come da copione, dal leader laburista. Così funziona la cosiddetta “alternanza” nelle più avanzate democrazie occidentali.
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