Angelo Serafini
Avanti.it
La Segretaria del Tesoro Usa, Janet Yellen, ha iniziato dal 17 gennaio un lungo tour in Africa, durante il quale visiterà Senegal, Zambia e Sudafrica fino al 28 gennaio. Secondo quanto dichiarato in una nota del dipartimento del Tesoro Usa, lo scopo principale della missione è quello di espandere i flussi commerciali e gli investimenti per promuovere una crescita economica “sostenibile e inclusiva”, nell’ambito del processo avviato il mese scorso con il vertice Usa-Africa ospitato a Washington da Joe Biden. Durante l’incontro erano stati annunciati investimenti per oltre quindici miliardi di dollari in accordi, partership commerciali e di investimento bilaterali. Ora durante il tour in Africa, Yellen discuterà di investimenti infrastrutturali, della lotta alla corruzione, del sostegno alle imprese, ma anche di come prevenire e prepararsi alle future pandemie attraverso il nuovo Fondo pandemico, accesso all’energia pulita, adattamento ai cambiamenti climatici e per la transizione energetica. Insomma, si tratterà di implementare investimenti per vari punti dell’Agenda 21 in Africa.
La visita avrà però soprattutto una connotazione geopolitica: gli Stati Uniti cercano di rincorrere la Cina che negli ultimi venti anni ha realizzato una penetrazione in Africa senza eguali, con investimenti miliardari in infrastrutture, imprese e molto altro in tutto il continente. Non a caso il tour di Yellen avviene proprio pochi giorni dopo quello del ministro degli Esteri cinese, Qin Gang, che la settimana scorsa aveva visitato Etiopia, Gabon, Angola, Benin ed Egitto, secondo una consuetudine che vede il ministro recarsi in Africa per il primo tour estero ogni anno. Il governo Biden chiede ora anche ufficialmente di far entrare l’Unione Africana nel gruppo del G20, per sopperire alla mancanza di rappresentanza del continente nelle principali organizzazioni internazionali.
Tuttavia, il commercio cinese in Africa ha un volume circa quattro volte maggiore di quello degli Stati Uniti. Secondo un’analisi dell’Eurasia Group, nel 2021 l’interscambio Cina-Africa si è attestato ad un valore di 254 miliardi di dollari, mentre quello Usa-Africa a 64 miliardi. Un progresso incredibile se si pensa che nel 2002 l’Interscambio Cina-Africa ammontava solo a 12 miliardi e quello Usa-Africa a 21.
Ma parallelamente al continente nero un importante terreno di scontro pare essere il Sud America. Particolare è il caso dell’Argentina dove pare essere in corso l’installazione di una base navale cinese nella terra del fuoco, a sud del paese, una costruzione già in corso sottoforma di “porto polivalente” a Rio Grande. Le aziende cinesi coinvolte nel progetto sono la <<China Shaanxi Chemical Industry Group>> azienda che si impegnerà a realizzare un impianto chimico e una centrale elettrica nello stesso luogo, e la HydroChina Corp, società controllata dallo stato cinese, rappresentato in Argentina da Shuiping Tu, burocrate del Partito Comunista cinese. In questo modo con un porto cinese in quell’area Pechino potrebbe avere un accesso diretto all’Antartide oltre che controllare i flussi navali che transitano tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico.
È infatti fondamentale comprendere che negli ultimi anni la Cina sta stringendo i rapporti con l’Argentina che è storicamente uno stato satellite degli USA. Il consolidamento delle relazioni Argentina-Cina ormai trascende l’ambito esclusivamente commerciale, tanto da essere stata soprannominata “ArgenCina”. Ad esempio, in base ad un accordo firmato nel 2014 dall’allora presidente Cristina Fernandez de Kirchner, la Repubblica Popolare Cinese gestisce tramite personale afferente all’Esercito cinese, una stazione terrestre nella provincia di Neuquén, in Patagonia. Si tratta di una base radar per ambiziosi programmi spaziali, come il raggiungimento della faccia nascosta della luna, obiettivo molto difficile ma che nel paese asiatico prendono sul serio con investimenti multimilionari. La stazione di controllo satellitare è una delle più importanti costruite dal paese del dragone in territorio straniero, è costata circa 50 milioni di dollari, ed ha iniziato a funzionare a marzo 2018. Secondo vertici del Pentagono però essa servirà anche a scopi di intelligence. Questa struttura è l’emblema della penetrazione in America Latina da parte del gigante asiatico, che sta facendo ciò che prima facevano gli Stati Uniti cioè inserirsi nelle dinamiche politiche locali, in maniera graduale prima dal punto di vista commerciale e poi anche militare.
L’interscambio tra Pechino e Sud America-Caraibi ha raggiunto un volume di 244 miliardi di dollari nel 2017, quando solo un decennio prima la cifra era la metà, e dal 2015 avrebbe superato quello con gli Stati Uniti. Il paese del Dragone si è trasformato in pochi anni in una potenza indispensabile, che attraverso miliardi di dollari di investimenti ha salvato molti paesi dell’America Latina in crisi e molte industrie. Paesi poveri con gravi crisi economiche hanno usufruito delle banche e capitali cinesi.
La stessa Argentina era stata esclusa dai mercati internazionali del credito per anni, specialmente dopo la grave crisi del 2009, quando rischiava la bancarotta, non riusciva più ad erogare le pensioni e stava affrontando una grave inflazione. Il governo di Pechino ha iniziato così a dare liquidità al paese, prima con un accordo di scambi per importare beni in yuan anziché in dollari, aiutando a stabilizzare la moneta argentina, poi ha concesso dieci miliardi di dollari per rifare la rete ferroviaria del paese. Di fronte a tale mole di investimenti, il governo di Cristina Kirchner non ha esitato ad accettare la richiesta della costruzione della base cinese. Il rischio che gli Stati Uniti vedano crollare, in pochi anni la loro fitta rete d’interessi nel continente non è da sottovalutare. Come dichiarato dall’ambasciatore argentino a Pechino in riferimento all’élite di Washington “c’è stata un’abdicazione a quel ruolo di egemonia”.
Ecco dunque che osserviamo come una guerra Sino-Americana (che coinvolge tutti gli alleati delle due fazioni) sia in atto in tutto il mondo. Sullo scacchiere geopolitico globale si intrecciano strettamente gli interessi economici delle élite e quelli strategici delle varie potenze. Scontri che avvengono talvolta in maniera silenziosa con penetrazioni economiche e altre volta in maniera eclatante con colpi di stato e guerre. Le singole nazioni non sono quasi mai in grado di mantenere una reale sovranità e indipendenza, ma sono costrette in qualche modo a scendere a patti con i grandi attori e fare gli interessi di una qualche élite. Tutto il resto, compresa la parvenza di democrazia negli stati occidentali, è pura propaganda.
Aureliano71 dice
Mi aggancio alla conclusione dell’articolo.
Questo avviene poiché si è affermato in tutto il mondo il modello mercantilista, che è il più idoneo per le politiche neoliberista.
Un paese che avesse i settori primario e secondario un minimo efficienti, insomma con un buon livello di autosufficienza, potrebbe tenersi le mani più libere.
Quando sei in grado di soddisfare i bisogni primari della popolazione sei meno ricattabile, infatti chi ci ha provato (Mattei, Sankara) è stato prontamente eliminato.