Marco Di Mauro
Avanti.it
La giornata di oggi è stata un altro duro colpo per il già traballante governo Macron: lo sciopero generale ha coinvolto 140 città in tutta la Francia e ha visto la partecipazione di più di 200mila persone, di cui 30mila solo a Parigi. La parte più cospicua l’ha fatta il settore del trasporto pubblico, bloccando un treno su due – secondo la media fatta dai sindacati, ma ci sono tratte come la Marsiglia-Bordeaux in cui mancava un treno su quattro – nelle tratte regionali e interregionali, costringendo i pendolari a muoversi in auto così da provocare ingorghi inusuali: alle 6:30 nella regione di Parigi, l’Île-de-France, si registravano 121 chilometri di ingorghi, che alle 8 erano più che raddoppiati a 326 chilometri. I lavoratori della Société Nationale des Chemins de fer Français (SNCF) – la storica azienda statale delle ferrovie – insieme alla Régie Autonome des Transports Parisiens (RATP) – azienda autonoma che gestisce il trasporto pubblico sul territorio di Parigi e dintorni – hanno richiesto espressamente un aumento di stipendio di 400 euro, che si contrappone apertamente alle soluzioni-fuffa del governo e i suoi bonus una tantum, in modo da poter far fronte all’aumento indiscriminato dei prezzi dovuto alla scellerata economia di guerra appoggiata dal governo Macron sulla pelle dei lavoratori francesi, rappresentati dai sindacati Confédération Générale du Travail, Force Ouvrière, Solidaires e Fédération Syndicale Unitaire insieme alle organizzazioni giovanili Fédération Indépendante et Démocratique Lycéenne, Mouvement National Lycéen, Union Nationale des Étudiants de France (la storica UNEF) e Vie Lycéenne. Ai trasportatori e studenti si è unito il comparto degli insegnanti, dagli asili nido alle superiori, di cui sciopera a livello nazionale secondo il ministero il 5,67% della forza lavoro (6,04% secondo il canale francese RTL) coi picchi massimi di adesione dei professori delle scuole superiori professionali dei quali è sceso in piazza il 22,04%. Anche i lavoratori del settore pubblico, del settore nucleare, i portuali, gli autotrasportatori, negozianti e lavoratori del settore dei servizi hanno fatto propria la richiesta del segretario generale della CGT Philippe Martinez, ovvero l’aggiunta di 400 euro alla busta paga, e si sono uniti alla protesta, che ha visto l’appoggio dei soliti partiti dell’opposizione, desiderosi di una significativa passerella, come il leader di La France Insoumise Jean-Luc Melenchon, promotore due giorni prima di un’altra mobilitazione che aggiungeva, molto opportunamente, alle rivendicazioni sociali quelle della giustizia climatica, tanto care alla narrazione escatologica di marca Rockefeller. È pesata sulla mobilitazione l’assenza del più grande sindacato francese, la Confédération Française Démocratique du Travail (CFDT), che si è rifiutato di aderire allo sciopero perché, stando a quanto riferito alla stampa, non crede nell’efficacia di grandi manifestazioni intercategoriali per ottenere aumenti salariali dalle aziende. Il peso di quest’assenza diviene ancor maggiore se si considera la rottura tra i due maggiori sindacati confederati francesi avvenuta a monte delle trattative col governo per una delle questioni più spinose e vitali della Francia odierna, quella che fa tremare tanto il governo quanto i giganti della distribuzione petrolifera: l’inarrestabile protesta, ormai giunta alla quarta settimana, degli operai delle raffinerie petrolifere. Iniziata a fine settembre, la rivolta è arrivata alla sua acme a paralizzare sei – quattro di proprietà Total Energies e due di Esso-Exxon Mobil – delle otto raffinerie di petrolio del paese, svuotando il 30% delle pompe di benzina, con la conseguenza di lunghissime code alle stazioni disponibili. Gli operai della Total Energies e della Esso-Exxon Mobil contestano la fortissima diminuzione del potere d’acquisto sui loro salari in netto contrasto con i superprofitti delle aziende dovuti alla speculazione sui prezzi di gas e petrolio: sono arrivati così a chiedere un aumento in busta paga del 10% per far fronte al costo della vita. Dopo brevi minacce e lunghe trattative, la Total Energies ha concesso ai lavoratori un pacchetto di aumenti salariali del 7% per il 2023, e proprio questa concessione ha spaccato il fronte dei lavoratori, diviso tra chi ha accettato il pacchetto, come il CFDT, e gli oltranzisti del CFT. Proprio per dare un colpo a questi ultimi, la premier francese Elisabeth Borne il 13 ottobre ha annunciato la precettazione delle raffinerie, ovvero l’obbligo di terminare lo sciopero imposto dallo stato, minacciando di requisire i depositi se i lavoratori non avessero accettato. La prima raffineria a essere precettata è stata quella di Gravenchon-Port-Jerome, in Normandia, di proprietà Esso-Exxon Mobil, e con essa anche l’altra raffineria dello stesso gruppo, la Esso Refininf SAF situata a Fos-sur-Mer, ha revocato lo sciopero. Di tutta risposta, per alzare il livello dello scontro i lavoratori hanno annunciato lo sciopero generale di oggi, incontrando il favore delle altre categorie, che si sono uniti ai lavoratori oltranzisti delle quattro raffinerie rimaste per fare fronte comune alla distruzione della ricchezza privata europea perpetrata dalle multinazionali e dai loro scagnozzi incistati nei governi.
Non è la prima volta che il governo Macron si trova a fronteggiare uno sciopero delle raffinerie francesi, e tutti i danni collaterali, dall’approvvigionamento alimentare ai trasporti, che esso comporta. Prima di lui aveva dovuto pelare la gatta il “socialista” François Hollande nel maggio del 2016, quando i sindacati bloccarono la distribuzione di benzina contro la riforma sul lavoro in senso liberista (e che spiega le virgolette) bloccando il 20% delle pompe di benzina e scendendo in piazza in 300mila. Il bel tomo Emmanuel ci era passato invece nel 2018, quando c’erano stati blocchi dei depositi di idrocarburi nel corso dell’insurrezione dei gilet gialli, ma in quel caso era stato applicato il noto metodo Macron – ovvero spranghe, proiettili di gomma e granate stordenti –e c’erano stati più di quattrocento feriti e un morto. Questo però non può avvenire adesso, in quanto quest’anno il reuccio è stato dimezzato dal responso delle urne, e non può permettersi la repressione brutale delle manifestazioni che ha contraddistinto il suo primo mandato soprattutto nel trattamento riservato alle grandissime manifestazioni contro le restrizioni pandemiche e il pass sanitaire che hanno riempito le strade della capitale. Ma forse il comportamento del governo nasconde implicazioni più nefaste. Gérald Darmanin arriva addirittura a definire giuste le rivendicazioni dei manifestanti: “Oggi i francesi stanno attraversando momenti molto difficili” ha affermato il ministro dell’interno francese, definendo le manifestazioni “normali” e dovute a un “problema di salari” e facendo appello ai lavoratori in diretta televisiva di “negoziare. È necessario che queste trattative salariali si concludano al più presto.” Di tenore diverso la reazione del ministro della transizione ecologica Christophe Béchu ai microfoni di Europe 1, secondo il quale “il tempo del dialogo non è il tempo del blocco […] Come per molti francesi, c’è da parte mia un giudizio severo su una forma di abuso di un diritto d’azione sindacale per ottenere qualcos’altro”, dichiarazione che ci ricorda molto da vicino la motivazione della sentenza della Procura di Piacenza contro i sindacalisti di USB e SI COBAS, arrestati per le loro lotte contro i colossi della logistica Amazon, GLS e compari. È chiaro come il sole il tentativo, da parte della consorteria politico-giudiziaria al servizio del Grande Reset, l’accostamento della normale rivendicazione sindacale e salariale all’atto estorsivo, così da criminalizzare le lotte dei lavoratori, autorizzando le forme più violente di repressione, dallo sgombero forzato alla condanna penale per quelle che invece dovrebbero essere vertenze gestite dai tribunali del lavoro, per far tornare indietro i contesti lavorativi e la rivendicazione dei diritti in fabbrica di almeno cent’anni.
E oggi le migliaia di manifestanti che da Le Havre, Lille, Rennes, Martigues, Strasburgo, Montpellier, Puy-en-Velay sono scesi in supporto dei parigini, non sapevano che nella capitale alla loro testa marciava il nemico: i rappresentanti eletti del partito Nouvelle Union Populaire Écologique et Sociale (NUPES), tra cui Clémentine Autain, Sandrine Rousseau, Boris Vallaud e Olivier Faure, hanno guidato il corteo parigino insieme ai rappresentanti sindacali, mettendo, proprio come aveva fatto Melenchon, l’etichetta green sulla protesta dei lavoratori, pur essendo proprio la cosiddetta “rivoluzione verde” uno dei pilastri della distruzione della vecchia economia e conseguente impoverimento di tutte le classi legate al vecchio modello di economia, uno dei bracci armati più spietati e distruttivi della mafia globalista che ha messo i lavoratori proprio in quella situazione. E così, triste paradosso cui è tristemente abituato l’occidente, le vittime parlano lo stesso linguaggio dei loro carnefici, e ci sono forme di repressione ben più terribili dei manganelli che, guarda caso, oggi a Parigi non si sono visti, se non nel tristo usuale siparietto del solito pugno di black bloc.
Rosanna dice
Concordo pienamente
Carla dice
A però nei nostri tg tutto tace
Michele Gaido dice
Sono d’accordo, ma il vero problema è che gli USA vogliono impadronirsi della Russia. Essa detiene il 60% di tutte le risorse mondiali. Hanno già provato con Hitler,facendo fare il lavoro sporco dai tedeschi, ora ci riprovano mandando al macello gli ucraini. E devono assolutamente impedire che le economie UE e Russa si integrino.