
Davide Miccione
Avanti.it
Da qualche tempo è di moda brandire il Novecento come pietra di paragone negativa. Accade senza dare troppe spiegazioni, quasi si ammiccasse a un pubblico che già si sa sintonizzato e complice. A volte basta un breve accenno, quasi si dicesse “… ci siamo capiti non è vero?”. Fa così, ad esempio, l’ex ministro del governo degli ottimati Patrizio Bianchi in un libro dal titolo Nello specchio della scuola uscito nel 2020 quasi a far da manifesto a quella stagione da ministro che, con il senno di poi (ma in fondo anche con quello di prima), non ha lasciato significativa immagine di sé. Il libro di Bianchi, debole, perfino imbarazzante per la sua pochezza in alcuni punti, è però per altri versi illuminante. I libri scadenti infatti, diversamente dai libri dei grandi autori, riescono a rivelare profondamente lo spirito del tempo proprio perché ad essi non fa velo né il genio né la profonda riflessione. Si soffermano con facilità sui luoghi comuni e sovente vi ricorrono, cercano formule con cui superare i limiti di scrittura e di teoresi e imprimersi nella mente del lettore incontrandosi con lui a bassa quota.
In questo libro dunque, Bianchi parla di una scuola che riesca a fuggire le “trappole del Novecento”; lo dice più volte ma senza dare troppe spiegazioni. Si intuisce il suo riferirsi alle ideologie novecentesche totalitarie, quel fascismo e comunismo che nel discorso medio e mediatico posseggono ormai la perspicuità storica e complessità teoretica, ma potrebbe dirsi anche il ruolo, di Godzilla negli omonimi film. Un discorso simile, sebbene con raffinatezza e qualità letteraria superiore, appare in The Game di Alessandro Baricco, augusto cantore dell’integrazione tecnologica. In quel libro si porta avanti un’idilliaca ricostruzione del mondo del web come un luogo di pace, serenità, bellezza e soprattutto libertà creato da transfughi del pericoloso Novecento che lo hanno costruito proprio per dimenticare il secolo precedente e mai più ripeterlo. La violenza e l’ideologia avrebbero convinto questi uomini illuminati a creare un mondo migliore e privo dei vecchi inconvenienti. Un libro, questo baricchiano, che mostra un tempismo perfetto ora che i social, tonnare del pensiero, hanno mostrato la propria lotta a ogni opinione che disturbi i centri di potere che essi rappresentano in proprio o a cui sono collegati.
Ma, al di là di questi due esempi, l’idea di un Novecento da dimenticare al fine di poter abbracciare le magnifiche e progressive sorti future sbuca da mille discorsi e sembra aumentare in modo inversamente proporzionale alla diminuzione della conoscenza diretta o culturalmente mediata del secolo già passato: “Non ne sappiamo niente ma deve essere stato proprio brutto!” sembra essere il sapiente e articolato messaggio. Un secolo complesso, bruciante di passione intellettuale e di speranze, si trasforma soltanto nel secolo dei totalitarismi. Il secolo in cui finalmente il popolo ha potuto votare per intero (uomini e donne), ha potuto scrivere attraverso i propri rappresentanti nazionali la propria costituzione, ha visto edificarsi un impianto giuslavorista di difesa dei diritti mai visto prima, in cui alla lotta ferina per la sopravvivenza economica si è giustapposto un welfare in espansione, che ha visto lo sviluppo di un vero dibattito sui fini e i destini di una società, diventa ora solo il “secolo del fascismo e del comunismo”.
La scelta per una rilettura mediatica di questo tipo (dire storica sembrerebbe un po’ offensivo per il lavoro degli storici) sembra evidente e serve a sterilizzare quegli aspetti etici, politici e giuridici che oggi potrebbero, se non costruire un’alternativa, fungere almeno da luogo mentale altro da cui poter scorgere il presente e giudicarne gli aspetti più deboli e inquietanti. L’identificazione del Novecento con il golem totalitario serve a preparare a una lettura “lunga” del fascismo, quindi non storica, in grado di estendersi arbitrariamente a tutte le compressioni dei diritti civili e delle libertà, ben oltre i limiti geografici e politici su cui il golem fascista si è mosso. Ma serve anche a una lettura “lunga” del “comunismo di cui, con raro sprezzo del ridicolo, ci ha dato in Italia un buon saggio Berlusconi. Così l’imperialismo americano in Medio Oriente e Sudamerica, i colpi di Stato e le guerre asimmetriche di oggi, non riescono mai a coagularsi in un vero esame che ne mostri i profili di intollerabilità etica e politica. Il benpensante-militante antinovecentesco resterà a occuparsi del “male degli anni trenta-quaranta” del secolo scorso, a schivare tutte “le trappole del Novecento” e a incappare in tutte quelle del ventunesimo secolo. Una straordinaria presbiopia storico-politica che lo porta a non vedere da vicino nulla, tanto da trovarsi oggi sotto il naso l’inizio dell’agonia del costituzionalismo liberale e non riconoscerne neppure i gemiti.
Si potrebbe pensare che le vere trappole del Novecento che il potere e i suoi docili e gratuiti sostenitori vogliono schivare possano dunque essere, all’opposto, ciò che permette di vedere criticamente, per comparazione, i primi ventidue anni del secolo successivo, cioè del nostro secolo. Per citare le prime “novecentesche” cose da tenere utilmente a mente: i trent’anni di sviluppo senza alcun alleggerimento del Welfare nel secondo dopoguerra, le sperimentazioni scandinave socialdemocratiche, la laicità decolonizzata di lunghe fasi della politica araba, la ricerca politica di forme e modi alternativi di pensare e vivere negli anni sessanta e settanta, la progressiva eliminazione, giuridica, concreta e materiale, delle ineguaglianze tra sessi. Ognuna di queste cose sarebbe, se vi ponessimo mente, ben triste per un’analisi del potere di oggi. Queste sì trappole del Novecento, almeno se il potere ha bisogno di smemorati impressionabili. A tenerle presenti, come potremmo pensare normale il mantra del welfare che non ci possiamo più permettere mentre il mondo diventa più ricco e i miliardari, in dollari, aumentano? Come accettare l’idea che lo Stato non possa aiutare né per la culla né per la tomba? Come accogliere l’idea che quasi due miliardi di terrestri aderenti alla religione islamica siano diventati di colpo dei volenti radicali da guardare con estremo sospetto o convertire ai valori delle nostre meravigliose società? Come approvare la cappa di conformismo che è calata sui giovani (mai cosi manovrabili)? Come acconsentire alla battaglia meramente linguistica e a colpi di scomuniche, per un mondo “più corretto”?
Questo novecentesco totalitarismo di cartapesta che ci pongono innanzi ci fa dimenticare che gli spazi di libertà vanno sorvegliati sempre. Secondo la linea della scuola di Claude Lefort, così come la riassume Davide Frontini, «Totalitario è qualsiasi regime nel quale il potere politico, portatore di un sapere assoluto, elimina ogni distanza tra sé e la società, negando al sociale qualsiasi autonomia. La società democratica, al contrario, integra l’assoluta indeterminazione che l’attraversa e accetta il conflitto che la abita grazie al fatto che il luogo del potere è un luogo separato e, per di più, un luogo vuoto: da un lato è una società che si auto-determina (è il risultato aperto della dinamica conflittuale), dall’altro, collocando in un “altrove immanente” (separato, vuoto) il luogo del potere, è una società che auto-limita la possibilità di intervento su se stessa». Se il vaccino anti-totalitario è autodeterminarsi democraticamente e accettare integralmente il conflitto, le trappole di oggi non vengono certo dal Novecento, che il conflitto ha ben mostrato di saperlo ospitare e reggere, bensì dal Coraggioso Mondo Nuovo verso cui procediamo a balzi. Chiediamoci ogni tanto quanto di ciò che è accaduto egli ultimi quindici anni un “vero” novecentesco avrebbe accettato.
Più che alle “trappole” viene da pensare a un passo di Slavoj Žižek nel suo Virus. Lì Žižek segnala che solo dal 1966 ci siamo liberati dell’Index librorum prohibitorum, l’inventario generale di ciò che un buon cattolico non era il caso leggesse e come esso, poco prima di venire eliminato, a leggerne gli elenchi avesse finito con l’inglobare tutto ciò che di vivo e significativo aveva prodotto la cultura contemporanea. Il passaggio si conclude segnalando come l’espansione del politicamente corretto, se non arrestata, potrebbe costituire una sterilizzazione della cultura di consimili proporzioni. Ecco, forse tra qualche decennio si segnaleranno come “parentesi di libertà” proprio quei decenni, alla fine del Novecento, in cui “l’indice dei libri proibiti non vi era più” e “l’indice dei libri politicamente scorretti”, ora in via di approntamento, non vigeva ancora. Quei pochi decenni in cui la democrazia accettava “lefortianamente” di essere un luogo vuoto dove la verità si poteva dialetticamente cercare insieme.
Lo stesso scontro tra ideologie, certamente non privo di aspetti tragici del Novecento, era comunque uno scontro tra concezioni del mondo che ritenevano quella avversaria come errata ma esistente. Avere una concezione del mondo che per il mio avversario è parziale e sbagliata ha comunque ben altra dignità rispetto all’essere il semplice latore di fake news, negazionismi o di qualche altro mirabile conio linguistico attraverso cui si riesce a far finta che esista un solo modo di vedere il mondo.
Una adeguata cartografia concettuale del Novecento, dal ripensamento del concetto di partecipazione politica alla sacrosanta diffidenza anarchica per il potere, dalla centralità della libertà d’opinione come momento fondativo della democrazia alla analisi degli interessi economici di linea marxista, potrebbe invece farci scoprire qualche tagliola e qualche laccio non novecenteschi bensì nuovi di zecca, posti in questi decenni sotto i nostri piedi.
Non sapevo dell’Indice dei libri proibiti, in questo bell’articolo ne sono venuto a conoscenza, non si finisce mai di imparare. Incuriosito ho fatto una breve ricerca per saperne di più, logicamente ho consultato Wikipedia, chi altro?! Lì c’è scritto tutto ma proprio tutto, censura zero, totale libertà d’espressione…ihihi.
Wikipedia riflette ottimamente l’immagine di questi primi vent’anni del nuovo millennio: superficialità.
I social sono effettivamente le “tonnare del pensiero”. Da quando hanno fatto la loro comparsa gran parte della società si è istupidita.
Ottimo articolo pieno di “sapere”. Mi permetto un’osservazione. Anche sui totalitarismi del ‘900 andrebbero fatte delle analisi più critiche e di differenti valutazioni tra di loro. Da appassionato di storia, i giudizi manichei non sono mai veritieri, nè per le persone, nè per i movimenti. Lo stesso fascismo, deprecabile per gran parte del suo operato, ha lasciato tracce positive di se in qualche esempio. Non solo in opere architettoniche (la cui valutazione estetica forse muterá nei decenni a venire) ed in interventi nel sociale, ma, ad esempio, nell’aver individuato nelle oligarchie dell’anglosfera i veri nemici del nostro paese. A distanta di quasi ottant’anni, pare che ci avevano visto bene! Ciò non può cambiare il giudizio popolare sui troppi misfatti del Ventennio, ma è solo per sostenere l’idea degli errati giudizi netti. Grazie.
Dal cibo spazzatura sino alle opinioni spazzatura.
In ogni ambito i rais impongono alle masse inerti credo preconfezionati privi di consistenza.
La speranza è che si tratti di un fenomeno prettamente occidentale.