Giuseppe Russo
Avanti.it
Qualche mese fa, in occasione del suo novantunesimo compleanno, mentre si trovava ricoverato in ospedale, Mikhail Sergeevic Gorbaciov aveva ricevuto la visita e l’omaggio di Dmitrij Muratov, il giornalista russo filo-occidentale vincitore del Nobel per la pace nel 2021, a trentun anni di distanza da quando era stato lo stesso Gorbaciov ad ottenere l’ambito riconoscimento. In quella circostanza, Muratov si premurò di consegnare al mondo le parole sussurrate da Gorbaciov dal suo letto di malato, parole che oggi echeggiano a mo’ di testamento: “Fate il possibile per fermare Putin”.
La Storia, in tutt’altre faccende affaccendata, s’è ricordata dell’uomo che liquidò l’Unione Sovietica solo in occasione della sua dipartita. I necrologi beatificanti pubblicati dalle gazzette dell’Occidente hanno collocato la sua effigie nel Pantheon del globalismo, dipingendolo come un campione della lotta per la libertà e la democrazia. Eppure, l’ascesa di Gorbaciov ai vertici di quello che gli stessi gazzettieri di cui sopra chiamavano allora “Impero del Male” era maturata tutta all’interno del grigio apparato del Partito Comunista. Giovane burosauro cresciuto all’ombra di Yuri Andropov, l’ex direttore del KGB che divenne segretario generale del partito nella parte terminale della sua vita, nella sua scalata della piramide del potere sovietico Gorbaciov ebbe anche la sorte dalla sua, riuscendo ad entrare nel Politburo, l’ufficio politico “ristretto” del PCUS, dopo che un infarto e un incidente stradale avevano rimosso dalla sua strada i rivali più ingombranti. Con Andropov, oltre ad una tiepida vocazione “riformista”, il giovane Mikhail Sergeevic condivideva le origini, essendo entrambi nati nel territorio di Stavropol, a Nord del Caucaso. Successore designato di Andropov ai vertici del partito e dello Stato, Gorbaciov dovette star fermo un giro alla morte del suo mentore, quando a capo del PCUS fu promosso, per poco più di un anno prima di morire a sua volta, il “conservatore” Konstantin Cernenko.
Nel 1985 Mikhail Gorbaciov assunse la carica di segretario generale del PCUS con una fama di timido riformista analoga a quella che aveva caratterizzato il suo padrino Yuri Andropov. Inizialmente, la sua retorica “modernizzatrice” girava intorno alla necessità di “salvare il socialismo”, umanizzando il sistema come aveva provato a fare Alexander Dubcek nella Cecoslovacchia del 1968, prima che i carri armati sovietici ponessero fine al suo esperimento. Le spinte alla modernizzazione del sistema sovietico giungevano in realtà, dai vertici “illuminati” dell’esercito e dell’industria, i quali erano consapevoli che, persa la guerra tecnologica contro l’Occidente, la crisi dell’URSS era di portata tale da minare la sua stessa sopravvivenza. E così, Gorbaciov inaugurò quella stagione passata alla storia come “Perestroika” (“ricostruzione”), con la sua appendice detta “Glasnost”, che in italiano si è soliti tradurre come “trasparenza”. Sul piano della politica interna, fu promossa una relativa democratizzazione e furono quantomeno teorizzate la separazione fra Stato e partito, indissolubilmente legati all’interno del sistema sovietico, e l’instaurazione di un “moderno” stato di diritto. Nell’ambito economico, riforme di parziale liberalizzazione condussero l’Unione Sovietica sulla scia di quel “socialismo di mercato” che andava già in quegli anni affermandosi in Cina. In politica estera, invece, Gorbaciov tese la mano all’omologo statunitense Ronald Reagan in nome del disgelo e della riduzione degli armamenti nucleari: il summit di Malta del dicembre 1989 (quando presidente USA era diventato George Bush senior) segna simbolicamente la fine della Guerra Fredda. Facendo un bilancio, è possibile distinguere due fasi dell’esperienza di Gorbaciov alla guida dell’Unione Sovietica: la prima, durata fino a metà del 1989, può essere descritta come un tentativo di “rivoluzione dall’alto”; la seconda, invece, vide lo stesso Gorbaciov soccombere davanti alle spinte “dal basso” che le sue stesse riforme avevano innescato. Il processo di relativa democratizzazione produsse infatti da un lato la nascita di un’opposizione che trovava espressione anche nelle aule parlamentari, dopo la promulgazione di una riforma elettorale in base alla quale potevano essere eletti anche candidati non comunisti, dall’altro diede la stura ai nazionalismi a lungo sopiti dalla politica di redistribuzione della ricchezza adottata nel corso della storia sovietica. E così, alla “caduta” del muro di Berlino del novembre 1989, il gorbaciovismo poteva dirsi al capolinea, stretto com’era fra due fuochi, quello dei riformisti radicali guidati da Boris Eltsin e quello dei “conservatori” che si adoperarono fino alla fine per evitare il tracollo del regime. La resa dei conti fra queste due tendenze maturò nell’estate del 1991, quando fallì il golpe orchestrato dai fautori della restaurazione e andò affermandosi, con il decisivo appoggio delle potenze occidentali, l’autorità di Eltsin come presidente della Federazione Russa. Gorbaciov si trovò di fatto privo di qualunque facoltà decisionale man mano che le varie repubbliche ex sovietiche andavano proclamando l’indipendenza. L’ironia della storia vuole che egli sia stato il primo e ultimo presidente dell’Unione Sovietica; tale carica, da lui istituita nel marzo del 1990 nel quadro dei progetti di separazione fra Stato e partito, gli restò addosso come un simulacro di potere fino al giorno di Natale del 1991.
Dopo la liquidazione dell’Unione Sovietica, “Gorby” venne adottato dall’Occidente. Negli anni, la sua popolarità al di là di quella che era la cortina di ferro è cresciuta fino a garantirgli di che sbarcare il lunario: l’ultimo leader del socialismo reale si è persino prestato a girare spot pubblicitari. In Italia, dopo essere stato idolatrato dal PCI negli anni ruggenti della Perestroika e poi abbandonato al suo destino irrisolto dal neonato PDS all’atto del crollo dell’URSS, è stato spesso ospite di incontri e conferenze, guadagnandosi la stima delle firme che contano e finendo per essere incensato come fautore della “società aperta”. Parallelamente, in quella Russia caratterizzata negli anni ’90 dalla selvaggia transizione al capitalismo, dalla macelleria sociale e culturale e dallo strapotere delle mafie, la sua figura è stata quella in grado di catalizzare più odio, accomunando in questa pratica sia gli “occidentalisti” che i nostalgici del comunismo. Egli ebbe l’ardire di candidarsi alle elezioni presidenziali del 1996 come indipendente: non solo fece una figuraccia ottenendo appena 386000 voti (pari allo 0,5% del totale), ma tutta la sua campagna elettorale fu caratterizzata da veementi contestazioni. Oggi, con il mondo e la Russia stravolti rispetto all’epoca gorbacioviana, nel suo paese natale ci si interroga su quale sia la sua eredità. Allo scopo, particolarmente eloquente appare la trama di una vecchia reclame alla quale “Gorby” prestò il suo volto nel lontano 1997. In essa, Mikhail Sergeevic si reca assieme alla nipotina in un “Pizza Hut”, fast food americano da poco aperto a Mosca e simbolo dell’occidentalizzazione della Russia. Altri due clienti, avvedendosi della sua presenza, danno vita ad un acceso dibattito. Il primo dice che per colpa sua c’è la crisi economica, l’instabilità politica e il caos, mentre l’interlocutore replica sostenendo che grazie a lui ci sono opportunità, libertà e speranza per tutti. A quel punto, mentre gli animi vanno accendendosi, interviene una terza cliente che mette d’accordo i due litiganti: “Grazie a lui abbiamo Pizza Hut!”, e tutta la sala si scioglie in un brindisi in onore dell’uomo che aveva portato il consumismo. Per un’altra ironia della storia, Pizza Hut ha di recente sloggiato dal territorio russo in ottemperanza alle famigerate sanzioni comminate in seguito al deflagrare della guerra in Ucraina. Gorbaciov avrà comunque i funerali di Stato, ma quella di oggi è un’altra Russia rispetto al 1997. Putin ha avuto occasione di dire che il crollo dell’Unione Sovietica ha rappresentato la più grande tragedia geopolitica del XX secolo. Come da manuale marxista, l’artefice di tale tragedia ha visto la sua vita scivolare verso una pagliaccesca farsa, personaggio minore della società dello spettacolo globale condannato sin da ora alla damnatio memoriae.
Ruggero dice
Da residente nella ex URSS da ormai molti anni, trovo questo articolo molto ben argomentato e finalmente, scevro del propagandismo politicamente corretto di cui soffre l’odierno occidente, dimentico delle sue tradizioni storiche, sociali e culturali.
Alberto dice
Mi pare il perfetto ritratto di Gorbaciev… Manca solo un acceno al suo silenzio, quando, dopo che in Ucraina il referendum aveva bocciato a stragrande maggioranza la separazione dalla Russia, Eltsin su mandato degli Americani procexette ugualmente in barba a quella “democrazia” che proprio gli Americani dicevano di voler portare tramite Gorbaciev..