Giuseppe Russo
Avanti.it
La storia del compagno Pierantonio Panzeri da Riviera d’Adda, il cui nome, prima del “Qatargate“, era noto solo ai cronisti politici dalla memoria elefantiaca ed ai membri apicali delle caste sindacali, è una storia di resilienza. Funzionario di carriera della CGIL lombarda in quota PCI, a quarant’anni viene chiamato a guidare la Camera del Lavoro di Milano, incarico che manterrà dal 1995 al 2003. Di estrazione egli sarebbe un “migliorista”, ovvero un esponente della “destra” del Partito Comunista (corrente storicamente guidata da Giorgio Amendola e poi, alla sua morte, dal di lui delfino Giorgio Napolitano) che nella Milano da bere degli anni ’80 andava a braccetto con il PSI nell’amministrazione della città. Con la Seconda Repubblica, tuttavia, Panzeri si avvicina a Massimo D’Alema, prima segretario del PDS e poi capo del governo dall’ottobre del ’98 all’aprile del 2000. In qualità di “dalemiano” acquisito, Panzeri si trova a capeggiare l’opposizione a Sergio Cofferati all’interno della CGIL, in una stagione in cui non mancano i motivi di attrito fra il leader sindacale ed il presidente del consiglio (era l’epoca del “D’Alema, di’ qualcosa di sinistra!” di morettiana memoria). Quando Cofferati lascia la guida del sindacato, nel 2002, fra i papabili per la successione c’è proprio Panzeri, considerato un sindacalista “ragionevole” dalla controparte confindustriale, che aveva avuto modo di apprezzarne l’inclinazione alla “concertazione” tanto in voga in quegli anni. Segretario della CGIL diventa tuttavia Guglielmo Epifani e Panzeri, in base al collaudato sistema di “porte girevoli” fra il sindacato e la politica, si fa eleggere al Parlamento europeo a suon di preferenze: alle elezioni del 2004 egli è il secondo più votato della lista “Uniti nell’Ulivo” nella circoscrizione dell’Italia Nord-occidentale alle spalle di Pierluigi Bersani. A Bruxelles, lontano dai riflettori, Panzeri si ambienta subito, “specializzandosi” nel ramo delle relazioni diplomatiche con i paesi del Maghreb. Mentre in Italia il suo partito di riferimento cambia più volte nome, Panzeri si adegua curando il suo orticello elettorale e facendosi trovare pronto ad ogni tornata: sia nel 2009 che nel 2014 uno zoccolo duro di “panzeriani” perlopiù lombardi scrive il suo nome sulla scheda permettendogli di confermare il seggio europeo e consolidare la sua posizione all’interno del gruppo socialista a Bruxelles. Nel 2017, seguendo il suo mentore D’Alema, Panzeri aderisce ad Articolo 1, il movimento degli scissionisti di “sinistra” del Partito Democratico che darà vita alla coalizione Liberi e Uguali per le elezioni politiche dell’anno successivo. Si fa anche il suo nome fra i papabili candidati nella lista guidata da Pietro Grasso, ma fra una cosa e l’altra non se ne fa nulla e il nostro Pierantonio, compiendo sessantatré anni e portando a termine la terza legislatura da eurodeputato, matura il diritto ad una succulenta pensione. Nel 2019, quindi, non viene ricandidato per un quarto mandato da europarlamentare, e si spengono subito pure le sue speranze di strappare uno strapuntino come capo segreteria di Roberto Speranza al ministero della salute, posizione nella quale gli viene preferito il napoletano Massimo Paolucci, dalemiano della prima ora. È allora che prende corpo la vocazione di Panzeri alla resilienza: invece di tornarsene a casina lungo le rive dell’Adda, l’ex sindacalista fonda la Ong Fight impunity, avente come ragione sociale quella di “combattere l’impunità” in fatto di violazioni dei diritti umani. Panzeri si reinventa dunque “lobbista”, mettendo a frutto dodici anni di esperienza europarlamentare: dietro il paravento dirittoumanista, infatti, si celano attività di tutt’altro genere.
Panzeri è stato arrestato lo scorso 9 dicembre a Bruxelles su disposizione della magistratura belga nel quadro dell’indagine mediaticamente ribattezzata “Qatargate“. Le autorità del Qatar (e, come verrà fuori in seguito, del Marocco, seppure in posizione più defilata) affidavano a Panzeri la cura delle “pubbliche relazioni” all’interno dell’Europarlamento allo scopo di ottenere votazioni favorevoli su singoli provvedimenti e strappare certificati di affidabilità in materia di tutela dei diritti umani. Tale sistema era foraggiato dall’erogazione di fondi che venivano smistati da Panzeri ai parlamentari “amici” all’interno del gruppo Socialisti e Democratici attraverso una rete di portaborse a lui fedeli, fra i quali il suo ex assistente Francesco Giorgi, che allo stato attuale delle cose è l’unico degli indagati, oltre allo stesso Panzeri, a trovarsi in carcere. Labile è il confine fra “lobbismo” e “corruzione”, e pare che Panzeri l’abbia varcato: nel suo appartamento sono stati trovati circa 500000 euro in contanti, e cifre analoghe sono state sequestrate a Giorgi ed al padre della sua compagna, l’allora vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili, esponente dei socialisti greci, la quale, dopo essere stata destituita dall’incarico, continua a proclamarsi estranea alla vicenda. Secondo quanto riportato dalla stampa belga, sarebbero almeno sessanta gli europarlamentari coinvolti nel Qatargate, fra i quali diversi italiani, tutti del Partito Democratico.
Panzeri, sia chiaro, non è nessuno; se così non fosse, non ci sarebbe il suo faccione su tutti i giornali del continente, non circolerebbero dettagli pruriginosi sulle sue vacanze da centomila euro, non sarebbero state arrestate anche sua moglie e sua figlia, che hanno subito a loro volta perquisizioni domiciliari in Italia e che nei fatti incriminati sono coinvolte solo di riflesso. Non inganni il fatto che nel board dirigenziale della sua Ong figurassero pezzi da novanta della politica europea come gli ex commissari Emma Bonino, Federica Mogherini e Dimitri Avramopulos, o l’ex primo ministro francese Bernard Cazeneuve. Si tratta solo di figurine che Panzeri aggiungeva al suo album per risultare più credibile agli occhi degli “investitori” qatarioti e marocchini: personaggi come quelli sopramenzionati figurano in centinaia di organigrammi, e il loro formale coinvolgimento nel giro panzeriano scaturiva probabilmente dai rapporti di “amicizia” coltivati con l’ex sindacalista nel corso degli anni , in un do ut des in cui, in cambio di un sì o di una firma, di una foto o di una e-mail, i “dirigenti” della Ong venivano accostati alla nobile causa dei “diritti umani”. La stessa Emma Bonino, che risulta fra le fondatrici di un’altra Ong coinvolta nel pasticciaccio brussellese, quella No peace without justice nata in seno alla galassia radicale nel 1993 ed il cui segretario Niccolò Figà-Talamanca si trova ora in libertà vigilata, ha ben altri scheletri nell’armadio rispetto a Panzeri e soci, ed è quantomeno ingenuo pensare che possa inciampare in una vicenda simile. Non è neppure che Panzeri l’abbia fatta troppo grossa, è che si è trovato in un gioco più grande di lui all’interno del quale è apparso subito come una pedina sacrificabile. È infatti trapelato che Panzeri fosse stato “attenzionato” dai servizi segreti belgi già nel 2021, e che questi avessero agito dopo la “soffiata” dell’intelligence degli Emirati Arabi Uniti, paese rivale del Qatar nel Golfo Persico. Queste “rivelazioni” non sono frutto di scoop giornalistici, ma rientrano in precise strategie di comunicazione familiari ai servizi di tutto il mondo. I mille Panzeri impuniti che in queste ore tremano nei sottoscala dell’euroburocrazia e si affannano a distruggere documenti stiano pure tranquilli: la loro ora non è ancora giunta. “Fare pulizia” è l’ultima delle volontà di chi ha promosso il Qatargate, sullo sfondo del quale si consuma la resa dei conti fra Qatar ed Arabia Saudita per accreditarsi come principale partner dell’Occidente nella polveriera mediorientale. Inoltre, come tanti hanno fatto notare, se intorno alla promozione dell’immagine del Qatar girava una tale mole di quattrini (con l’organizzazione dei mondiali di calcio peraltro già acquisita), si può solo immaginare il giro di affari legato alla “promozione” dei vaccini antivocid: la notizia dei quattro milioni di euro accreditati “per caso” sul conto della commissaria europea per la sicurezza alimentare e la salute pubblica, la cipriota Stella Kyriakidou (o “Kyriakides” secondo un’altra traslitterazione), risalente alla primavera del 2021, non ha prodotto alcuno “scandalo” e i giornali che partecipano al linciaggio di Panzeri si guardano bene dal mettere in relazione i due episodi.
Pierantonio Panzeri non è dunque un Mostro da prima pagina, ma solo uno dei tanti mostriciattoli che si annidano nelle pieghe di una politica che non decide più nulla. Se costui l’avesse fatta franca, se si fosse ritirato a vita privata appena qualche mese fa, sul suo necrologio avrebbero un domani scritto che aveva dato la vita per i diritti dei lavoratori eccetera eccetera, come accaduto a migliaia più scaltri e fortunati di lui, e sublime sarebbe stato il godimento del maltolto da parte dei suoi eredi.Chissà come giustificava il compagno Panzeri il suo operato truffaldino davanti alla sua coscienza politica di comunista milanese anni’80. La sensazione è che, dopo una lunga marcia a perdere nelle istituzioni, egli avesse realizzato che il “potere” in funzione del quale era vissuto non era altro che scenografia, e che tanto valeva arraffare il più possibile prima di andare in malora, alla faccia dei metalmeccanici di Sesto San Giovanni e dei nepalesi che morivano nei cantieri qatarioti. È stata questa la cifra della resilienza del compagno Panzeri, politico di lungo corso sopravvissuto, a modo suo, alla morte della politica.
Andrea dice
La sinistra è “a disposizione”: è una vecchia storia soprattutto “comunista”. I socialisti decisero di essere “a disposizione” con gli anni craxiani, ma con un pensiero più vasto, più “di regime”, non solo come corruzione individuale. Il “caso Moro” rivelò una sapienza maggiore maggiore dei socialisti, rispetto ai già vinti e vigliacchi democristani e “comunisti”, anche se la politica di Moro li avrebbe emarginati. Claudio Signorile ha avuto il coraggio di parlare di “manine” che impedirono la liberazione di Moro, mentre nessun “comunista” di rilievo ebbe il coraggio di dire altrettanto. La presenza così rilevante del Pci fu una sciagura, e Occhetto l’ultimo degli sciagurati, che preferi estraniarsi dalla storia del socialismo italiano creando i “democratici di sinistra”, piuttosto che evocare il superamento della scissione di Livorno. La fine della storia “comunista” in versione togliattiana ebbe in sorte un coglione che rincarò la dose “di sinistra” come fosse un richiamo vaccinale per l’esangue democrazia italiana.
Andrea dice
Ricordo che il segretario della federazione comunista di Bologna, che accompagnò un Occhetto lagrimoso alla storica sezione “Bolognina” – Mauro Zani – incoraggiò questo sciagurato ad affrettarsi, “perché ci faranno a pezzi”… Dov’era la tanto smagliante fierezza della “diversità”, la costante della narrazione storica del Pci sulla “via democratica al socialismo”, se si temette un diluvio di anticomunismo primario, come fossimo stati nell’Ungheria del 1956? Quale cattiva coscienza antistoricista? Quale rifiuto anche degli ultimi scampoli di gramscismo in versione Luciano Gruppi, da parte di questi inutili eredi di una lettura già ultra-riformista del comunismo italiano? Quale disprezzo della storia non sempre penosa del socialismo italiano? Domande ormai inutili…
Andrea dice
Ricordo che al matrimonio del responsabile di zona del partito a cui appartengo allora, nel 1974, il Partito comunista italiano, ovviamente, che si svolse nelle belle colline bolognesi, vedendo gli invitati a tavola che si rimpinzavano, disse all’unico amico socialista invitato: “sembrano tutti socialisti!”. La “diversità morale” fu radicata fin da allora, e rimase l’unico tratto distintivo. Si disse che i socialdemocratici di Saragat fossero corrotti alla radice, ma anche fra loro vi erano degli onestissimi, come ora rivendica Bonaccini per i piddini, senza che il Psdi si dicesse “parte lesa”… Ricordo che Aldo Cucchi, mitico capo della 7a Gap, con quasi 2000 assassinii di fascisti o presunti tali nel bolognese, quando uscì dal Pci e divenne socialdemocratico per il resto della vita, fece il medico, non faceva pagare gli sprovvisti di denaro, cioè i poveri in canna: al suo funerale, agli inizi degli ’80, il Comune di Bologna non si presentò nemmeno con un labaro, con un assessore qualunque… Vogliamo parlare dello storico dell’anarchia, che si ritrovò nel Psdi, ovvero Pier Carlo Masini? O di Giuseppe Faravelli? Quindi, la “questione morale”, già una nullità concettuale del già nullo Berlinguer, fu, alla luce di oggi, solo una cazzata moralistica che nemmeno il pur bravo Pasolini pote’ utilizzare se non come coinvolgimento “basico” in più alti “complotti” contro il nostro Paese, come poi il “Britannia” rivelò, a carico di un personaggio così tanto stimato come Draghi, che di mazzette non ha bisogno, essendo esso medesimo una gigantesca mazzetta vivente. Le narrazione hanno le gambe lunghe perché tutto ciò che non è vicino si percepisce infinito e lontano, dove si intrecciano tutte le gambe,nell’orizzonte, e i contorni sfumano fra terra e cielo.
Andrea dice
Quello che sconcerta è che una parte della società, sulla base di pseudo analisi di “fase” e uno storicismo da quattro soldi basato sulla volgarizzazione di alcuni contenuti deboli dei Quaderni del carcere di Gramsci e il tatticismo togliattiano-berlingueriano fondato su “elementi di socialismo” che creò la DC e il primo centro-sinistra, quello con il trattino, sulla base di esperienze europee e volontà del Capitale divenuto socialdemocratico nei “trenta gloriosi” 1945-1975 per timore dell’avanzata comunista, si continui a non capire che il Capitale divenne “Capitale totale” senza più avversari di nessun genere, poi divenne oligarchia “Deep State” che decide della vita e della morte dei popoli. Si continua a mentire sul parlamentarismo e sulla “democrazia” come fossero il punto più alto della vita politica dei popoli, pur essendo “essenze” svuotate di tutto. La ricreazione è finita da molti anni, ma tutti continuano a gustarsi la merenda dopo aver manomesso la campanella.