Dopo la democrazia liberale e l’atlantismo, in Ungheria è ora a rischio anche il valore più sacro di tutti: il libero mercato. Il governo Orban sta infatti conducendo una campagna di “nazionalizzazione” di alcuni settori strategici dell’economia in virtù della quale gli investitori stranieri sono indotti, con “metodi mafiosi” secondo il parlamentare democristiano tedesco Gunther Krichbaum, a cedere le loro aziende ad imprenditori ungheresi. Lo Spiegel, organo di informazione parecchio sensibile alle ragioni del capitalismo teutonico, riporta in questo senso alcune eloquenti vicende. Un consorzio tedesco operante nel settore edilizio e proprietario di due cementifici e di una rete di cave nel paese magiaro s’è visto prima boicottare l’attività dalle norme emanate dal governo, come l’inasprimento della tassazione, il divieto di esportazione senza il via libera delle autorità e l’obbligo di regolare la produzione in base alle indicazioni dei funzionari statali, per vedersi poi recapitare un’ambigua lettera in cui un “oligarca” locale si faceva avanti per acquisire quote della società in nome di un gruppo che si presentava come “dominante nell’industria ungherese delle forniture per l’edilizia”. Un’impresa austriaca attiva nello stesso settore ha invece lamentato, dopo un trentennio in cui gli affari erano andati “a gonfie vele”, di essere stata sistematicamente esclusa dalle gare d’appalto, fatto che ha determinato il crollo dei profitti ed ha reso antieconomica la sua presenza in Ungheria. Quella che i padroncini del vapore denunciano come una illiberale campagna di “nazionalizzazione” sarebbe in realtà da intendere come “magiarizzazione”: il quinto governo Orban, insediatosi dopo le elezioni dello scorso anno, ha dato seguito ai propositi di aumentare la “quota di proprietà ungherese” nell’industria nazionale cominciando proprio dall’edilizia, ambito nel quale dal prossimo luglio dovrebbe entrare in vigore una legge che vincolerà le imprese a smerciare i prodotti nel mercato interno, darà allo Stato diritto di prelazione in caso di cessione e porrà sotto l’autorità degli enti pubblici di pianificazione economica tutta la filiera. Secondo l’eurodeputato dei verdi tedeschi Daniel Freund si tratta di “capitalismo clientelare”: Orban “espropria” gli investitori stranieri violando le norme europee sulla concorrenza (la Commissione ha rilevato trenta illegittimi interventi statali nella sfera economica negli ultimi nove anni) per favorire una cricca di oligarchi “amici”, fra i quali il più in vista è Lorinc Meszaros, ex idraulico ed ex compagno di classe del primo ministro diventato l’uomo più ricco del paese dopo una fulminea scalata che ha portato le sue holding ad allungare i tentacoli su ogni ramo dell’economia ungherese. Dopo l’edilizia, bersaglio delle politiche “sovraniste” di Orban saranno le telecomunicazioni (settore nel quale è già prevalente lo stesso Meszaros), le assicurazioni e il mercato della grande distribuzione, nel quale sono oggi dominanti colossi tedeschi come Lidl, Aldi e Spar, i quali hanno denunciato come illiberali le norme governative che impongono un tetto al prezzo di alcuni beni di prima necessità, accusando inoltre l’esecutivo di aver orchestrato una campagna massmediatica per attribuire alle catene di supermercati la colpa dell’inflazione a due cifre che flagella l’Ungheria da qualche mese a questa parte. A ben vedere quello di Orban (che, giova ricordarlo, fu una prima volta capo del governo nel ’98 distinguendosi per il suo liberismo feroce) è un temperato “sovranismo” economico simile a quello adottato in Russia nel nuovo secolo, dopo l’avvento di Putin: dirigismo statale, pianificazione, crescita di una nuova oligarchia subordinata al potere politico, bassi salari compensati da un moderato assistenzialismo. Per quanto temperato, tale “sovranismo” non è attuabile nella cornice dell’Unione europea, ed è proprio a Bruxelles che hanno fatto appello le imprese tedesche penalizzate dalle politiche di Orban, le stesse che parlano di “metodi mafiosi” attraverso i loro rappresentanti politici, le stesse che si sono pappate i mercati dell’Europa orientale, dell’ex Jugoslavia e della Grecia, gozzovigliando nelle privatizzazioni seguite al crollo dei regimi comunisti e beandosi dell’austerità altrui. Prima o poi i nodi verranno al pettine: l’Ungheria ha già subito gli strali europei per le presunte “violazioni dello stato di diritto” e la sua stessa politica estera, con un piede in Occidente e uno fuori, non può durare a lungo. La soluzione “colorata” per sbarazzarsi di Orban è già abortita mille volte: lui stesso sa bene come disinnescare la mina, essendosi formato alla scuola del (quasi) connazionale George Soros. E allora, per formulare un giudizio politico compiuto su questo ubbidiente maggiordomo che s’è fatto autocrate a furor di popolo, è il caso di aspettare la resa dei conti: se quello del magiaro non è il solito Grande Bluff, da Budapest potrebbe partire il tracollo dell’Unione europea.
GR
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