Il primo ministro francese Elisabeth Borne ha presentato martedì la nuova riforma delle pensioni che prevede di spostare l’età minima di pensionamento da 62 a 64 anni entro il 2030. L’età legale sarà gradualmente aumentata ogni anno di tre mesi, per cui dall’estate 2023 sarà fissata a 62 anni e tre mesi e poi nel 2026 a 63 anni, e nel 2030 a 64.
Il governo prevede inoltre di accelerare l’estensione del periodo contributivo previsto dalla riforma Touraine del 2014, anticipando al 2027 il requisito di 43 anni di contributi per ricevere una pensione piena precedentemente previsto per il 2035.
I sindacati sono sul piede di guerra ed hanno reagito velocemente, riunitisi il giorno stesso hanno annunciato un primo giorno di sciopero il 19 gennaio. “È solo l’inizio di una forte mobilitazione” hanno dichiarato in un comunicato. Il capo del sindacato CFDT, Laurent Berger, ha affermato che si tratta “di una delle riforme più brutali degli ultimi 30 anni sulle pensioni”. “Siamo decisi a non far passare tale disegno di legge” ha dichiarato un altro sindacalista nella riunione intersindacale. “Abbiamo partecipato alle consultazioni, fatto proposte, abbiamo presentato i problemi e le difficoltà sulle carriere lunghe, ma non siamo stati ascoltati” ha affermato il segretario generale del sindacato Cgt, che auspica il numero massimo di lavoratori in sciopero il 19 gennaio.
Intanto i servizi di intelligence francesi sono preoccupati da possibili modalità di azione imprevedibili tra cui “scioperi lunghi che ostacoleranno settori chiave dell’economia” che potrebbero svolgersi anche “al di fuori di ogni quadro sindacale”. Al grande sciopero del 19 gennaio potrebbero partecipare anche i Gilet Gialli.
Fortemente voluta dal presidente Emmanuel Macron, che inizialmente aveva addirittura ipotizzato di alzare l’età minima di pensionamento a 65 anni entro il 2031, la riforma si va ad aggiungere alla lunga lista di spietate imposizioni neoliberiste attuate dal banchiere dei Rothschild sin dall’inizio del suo primo mandato nel 2017. Soprannominato “il presidente dei ricchi”, non ha fatto altro che imporre misure di austerità, tasse sul carburante, tagli, obblighi vaccinali, green pass e tante norme che hanno danneggiato il ceto medio-basso e hanno portato al deflagrare di numerose proteste e alla nascita di movimenti come i Gilet Gialli. Il suo governo si è anche distinto per l’autoritarismo e la particolare violenza repressiva della polizia durante le proteste.
Nel 2022 è stato riconfermato come presidente alle elezioni, ma va considerato che l’unica alternativa nel ballottaggio era Marine Le Pen, designata dai media come il mostro populista e fascista, e Macron ha dunque prevalso dopo aver perso due milioni di voti in cinque anni, tutto ciò con un tasso di astensionismo sempre più elevato ormai vicino al 30%, mentre 5 anni fa era circa il 25%. I francesi hanno dunque optato per il male minore. Resta solo da chiedersi quanti di coloro che l’hanno votato sono ancora convinti di tale scelta.
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