Marco Di Mauro
Avanti.it
È chiaro che nei piani della cricca globalista gli anni Venti di questo secolo saranno quelli della guerra all’anidride carbonica, il primo e principale ostacolo al raggiungimento della ‘neutralità climatica’, che prevede la riduzione delle emissioni di CO2 del 55% entro il 2030, il bilanciamento delle emissioni di gas serra entro il 2040, e il raggiungimento per l’Europa dello status di “primo continente al mondo a impatto climatico zero” entro il 2050. Gli obiettivi decennali saranno raggiunti con la progressiva definizione di piani quinquennali stilati di volta in volta dalla Commissione europea che si farà guardiana e garante del rispetto dei nuovi standard in ogni luogo del continente. Se il sistema delle quote commerciali di emissione (EU Emission Trading System) ha fissato una quota arbitraria di CO2 emessa da ogni attività economica e produttiva, la prima formulazione del Green Deal europeo è in un comunicato stampa dell’11 dicembre 2019, in cui nonna Ursula von der Leyen dichiara che l’obiettivo è “trasformare il nostro modo di vivere e lavorare, di produrre e consumare, per rendere più sano il nostro stile di vita e più innovative le nostre imprese”, per la prima volta dopo l’esperienza delle dittature novecentesche uno stato – o meglio, un organismo sovranazionale – pianifica interventi diretti e invasivi nell’economia sulla base di un principio esclusivamente ideologico, in tutto scollegato dalla realtà né del tutto dimostrabile, quale è l’escatologia climatica e il concetto di uomo come fattore estraneo all’ecosistema. Dietro alla guerra all’anidride carbonica si cela in realtà una guerra all’uomo, condotta da una compagine di plutocrati con il fine ideologico di salvare il pianeta dalle nefandezze dei più poveri e il reale obiettivo di fare tabula rasa di tutto il risparmio privato: altro che neutralità climatica, il mondo che vogliono creare entro il 2050 è un mondo in cui tutto ciò che esiste appartiene a un centinaio di famiglie, mentre per il resto dell’umanità la proprietà privata sarà abolita. L’ipocrisia che si cela dietro a questa ideologia è lampante in alcuni suoi concetti chiave, come il raggiungimento entro il 2040 di un regime produttivo che non preveda l’utilizzo di risorse naturali, che tolta la facciata ambientalista si rivela un vero e proprio ossimoro, che in termini concreti non può essere raggiunto altrimenti che con l’annientamento dei settori primario e secondario, relegando l’Europa a un continente totalmente eterosufficiente sul piano delle risorse, alla stessa stregua dei paesi del Terzo mondo.
Quelli che nella prima formulazione erano solo precetti diventano obblighi veri e propri con la legge europea sul clima, approvata il 24 giugno ed entrata in vigore il 29 luglio del 2021, la quale fissa il programma decennale con cui abbiamo aperto l’articolo e dà inizio alla guerra ai fertilizzanti che sta affliggendo l’Olanda e la Germania. Ma soprattutto fissa un sistema secondo il quale ogni attività deve compensare economicamente il danno arrecato al clima mediante la CO2 prodotta basato sulle quote ETS, e il 13 dicembre del 2022 questa iniqua tassazione sul carbonio è stata estesa anche ai paesi che esportano in UE alcune categorie di materiali come ferro, acciaio, cemento, alluminio, fertilizzanti, energia elettrica, idrogeno, e in una seconda fase alle emissioni indirette, ad alcuni precursori e ad alcuni sottoprodotti come viti e bulloni e articoli simili in ferro o acciaio. Si chiama Carbon Border Adjustment Mechanism, e con il pretesto di applicare gli standard ambientali europei anche ai paesi con politiche climatiche non conformi al Green Deal, si cala a tutti gli effetti una scure sulla produzione industriale dell’Unione Europea, in quanto oltre a distruggere il settore secondario interno si punta a rendere il Vecchio Continente un territorio commercialmente inaccessibile, con l’inevitabile conseguenza di spostare i flussi commerciali verso i paesi di quello che ormai sembra sempre più configurarsi come blocco orientale – Cina, Russia, India, Iran. E sebbene John Kerry, l’inviato USA per il clima, cerchi di presentare il CBAM come dannoso per l’export americano in UE adducendo la diversità dei parametri sulle emissioni di carbonio tra i due paesi, in realtà gli fa solo comodo, poiché da un lato rende l’Europa poco appetibile per l’export straniero lasciandola in balia dei mediatori a stelle e strisce capaci di pagare senza problemi le accise troppo onerose per i paesi in via di sviluppo, dall’altro le imprese americane sono molto più tutelate di quelle europee dal sistema di grossi incentivi statali per la riconversione ecologica delle imprese, che invece è del tutto assente nei paesi dell’UE, dove comunque non può essere fissata in modo unico e rapido essendo demandata alla sovranità dei singoli paesi membri; per non parlare dell’energia, per la quale gli USA sono autosufficienti, mentre l’Unione dipende esclusivamente dagli idrocarburi russi e nordafricani, la cui importazione diverrebbe immensamente costosa tanto per i venditori quanto per gli acquirenti. Infine, il meccanismo CBAM, che entrerà in vigore a ottobre 2023 e sarà rinforzato nel corso dell’anno successivo fino a estendere la tassa a tutti i beni che rientrano negli ETS, toglierà alla Turchia lo status privilegiato di rubinetto degli idrocarburi russi e turkmeni verso l’Europa, causando perdite ad Ankara per circa 5 miliardi di dollari. Per non parlare dell’inflazione galoppante e l’aumento inimmaginabile delle bollette dell’energia elettrica, come delle materie prime per la produzione industriale. Insomma, con la guerra al carbonio si sta cercando di dare l’ultima, e definitiva, mazzata ai popoli europei.
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