Giuseppe Russo
Avanti.it
Una Colombia affamata di giustizia sociale elegge presidente Gustavo Petro, ex guerrigliero e leader del “Patto storico per la Colombia”, una coalizione di diciassette partiti e movimenti che ha preso forma intorno agli scioperi ed alle manifestazioni contro l’ex presidente Duque maturati nel “biennio rosso” colombiano del 2020-2021. Al ballottaggio di domenica 19 giugno Petro ha battuto l’outsider della “Lega anti-corruzione” Rodolfo Hernàndez, intorno al quale si erano concentrate le residue forze delle oligarchie, dopo che il loro candidato Federico Gutiérrez era uscito con le ossa rotte dal primo turno. Petro ha ottenuto oltre undici milioni di voti, quasi tre milioni in più di quelli ottenuti il 29 maggio scorso: il 51,6 % dei voti espressi (il 50,4 % conteggiando a parte le schede bianche, com’è prassi in Colombia), vincendo largamente sulle coste, nelle province più povere abitate in prevalenza da indigeni ed afrocolombiani, a Bogotà (città di cui Petro è stato sindaco), Cali e Barranquilla. Hernàndez, dal canto suo, ha ottenuto consensi plebiscitari nelle zone più ricche della Colombia centrale e nei pressi del confine con il Venezuela, dove più forte è l’incidenza del narcotraffico e più frequente il ricorso alla violenza politica, prevalendo, fra le maggiori aree urbane, a Medellìn, Cùcuta e Bucaramanga, città di cui era stato, a sua volta, controverso primo cittadino.
La campagna elettorale in vista del decisivo ballottaggio è stata caratterizzata dalla demonizzazione di Petro e del suo passato, pur avendo egli alle spalle un trentennio di impegno politico istituzionale e due candidature alla presidenza. La velenosa campagna diffamatoria, che si fondava su veline della polizia politica e dei servizi segreti, ha trovato il suo principale megafono nella rivista Semana, oltre alla complicità della quasi totalità dei canali televisivi e dell’ambasciata americana. In un clima da guerra fredda, sotto costante minaccia di attentati, Petro ha condotto una campagna all’insegna della moderazione, ribadendo che non ci saranno espropri generalizzati e che il suo scopo è “ricostruire il capitalismo in Colombia”. Dall’altra parte, l’ex sindaco-sceriffo Rodolfo Hernàndez si è affidato docilmente alle oligarchie contro le quali egli stesso si era sollevato in nome della lotta alla corruzione, facendo campagna su Tik tok mentre il suo avversario percorreva il paese in lungo e in largo fino all’ultimo barrio. Indagato a sua volta per corruzione e per atti di sfacciato nepotismo (affidò l’appalto della raccolta rifiuti di Bucaramanga alla ditta del figlio), Hernàndez si è già eclissato dalla scena pubblica, rivelandosi una meteora a cui, per un incidente della storia, è capitato di recitare il ruolo di candidato del Potere.
“Oggi è il giorno delle strade e delle piazze”, ha dichiarato il neoeletto presidente al profilarsi della vittoria, sintonizzandosi con lo stato d’animo di quei milioni di colombiani che hanno trovato in quest’occasione una rivincita simbolica ed esistenziale, oltre che politica, a fronte di cent’anni di eccidi, crimini impuniti, deportazioni forzate ed appropriazioni indebite. I colombiani umiliati e offesi dalle rapaci oligarchie che da sempre tengono le redini del paese per conto del padrone a stelle e strisce, dalle milizie paramilitari al soldo dei latifondisti, dalla Chiesa più reazionaria ed oscurantista di tutto il Sudamerica, hanno vissuto una giornata di orgoglio e di riscatto il 19 giugno. La portata storica dell’evento è tale che sulle spalle del neoeletto gravano aspettative gigantesche, quasi insostenibili: la sua promessa di ridistribuire ai campesinos 15 milioni di ettari di terra, attuando quella riforma agraria che la Colombia attende dall’epoca dell’indipendenza, ha suscitato speranze immense. Ora, passato “il giorno delle strade e delle piazze”, dopo che il Venezuela ha auspicato l’immediato ripristino delle relazioni diplomatiche ed il gruppo guerrigliero dell’ELN ha teso la mano per un trattato di pace, sulla strada di Gustavo Petro (che si insedierà formalmente il prossimo 7 agosto) incombono diversi macigni. Da un lato, nel pur smaccatamente presidenzialista sistema colombiano, il Patto Storico è ben lontano dall’avere la maggioranza nei due rami del Parlamento. Dall’altro, la Colombia è lo stato sudamericano maggiormente soggetto alla “tutela” politica e militare degli USA: ospita sette basi americane, ha recentemente ottenuto, unico fra i paesi del subcontinente, lo status di “partner globale” della NATO, il suo esercito è di stretta osservanza “yanquista”. Le oligarchie politico-criminali, i clan del narcotraffico ed i latifondisti che foraggiano il terrorismo della bande armate contro sindacalisti, braccianti e piccoli proprietari terrieri non arretreranno di un millimetro, e lo hanno fatto capire sin dal giorno stesso del ballottaggio, quando sono stati ammazzati un attivista sociale ed un osservatore elettorale, entrambi nel dipartimento di Cauca, dove, per inciso, Petro ha trionfato con oltre l’80% dei voti. I cent’anni di solitudine del popolo colombiano son finiti il 19 giugno. Il romanzo della rivoluzione è ancora tutto da scrivere.
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