Marco Di Mauro
Avanti.it
Russia e NATO: strategie a confronto
Al principio di giugno, dopo il successo dell’assedio russo alla città di Sjevjerodoneč’k, la guerra russo-americana in Ucraina si è impantanata in una lunghissima, estenuante trincea che si delinea dalla foce del Dnepr (Kherson), fino a Enerhodar (dove si trova la centrale nucleare di Zaporižžja) per poi lasciare il corso del fiume più grande del paese e continuare a est, su un altro fiume, nell’oblast’ di Doneč’k dove il corso del Sivers’kyj Donec’ ha visto, come avevamo previsto in un precedente articolo, l’inizio dell’impaludamento delle forze russe: presa la città principale infatti uomini e corazzati hanno attraversato il fiume e iniziato la morsa, tipica strategia russa ben collaudata in Siria; avviando l’assedio di quattro città, rispettivamente (collocate in un arco immaginario da ovest a est, rivolto verso nord) Slov’‘jans’k, Lyman, Seversk, Soledar e Bakhmut, mentre nella parte centrale i russi provano a sfondare il confine entrando ad Avdiivka, poco a nord di Doneč’k. Se ci riuscissero si assicurerebbero buona parte dell’oblast’ settentrionale, trovandosi a un passo dalla liberazione del Donbas, essendo Luhans’k già completamente in mano russa dopo la presa di Lysyčans’k. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo Washington.
Scelta la via della guerriglia casa per casa, strada per strada, villaggio per villaggio, utilizzando al minimo il supporto dell’aviazione e affidandosi perlopiù all’artiglieria balistica e alla fanteria in lunghi e faticosi assedi, gli strateghi del Cremlino hanno optato per una via attendista, volta a ridurre al minimo le vittime civili e nelle proprie file, impelagandosi in quella guerra di logoramento che proprio lo storico avversario di Mosca, Zbigniew Brzeziński, si augurava come la più favorevole alla compagine atlantista, perché avrebbe impelagato Mosca in un nuovo Afghanistan.
La lunga trincea non si ferma in Donbas, per l’avanzata russa, già a febbraio, verso nord-ovest, dove una serie di difficili battaglie ha portato il 7 marzo alla presa di Izjum, grazie alla quale i sono riusciti a unirsi con le truppe provenienti da nord, e connettere i territori sotto il proprio controllo da Luhans’k a Kharkov. Quest’ultima costituisce l’estremo nord del fronte – fatta eccezione per la piccola exclave a ridosso di Kiev, importantissimo baluardo rifornito dal confine Bielorusso – e qui i russi hanno lavorato per consolidare le proprie posizioni, con bombardamenti regolari e un numero di truppe sempre minore, utilizzando l’area soprattutto per sfruttare la ferrovia e dalla madrepatria attraverso Izjum rifornire via terra le operazioni, dalla morsa del Donbas fino all’altro estremo della trincea alla foce del Dnepr, Kherson. Da qui, secondo la maggior parte degli osservatori, dopo aver stabilizzato il controllo di Doneč’k i russi intendono procedere fino a Odessa, per arrivare a collegarsi con la Transnistria e forse proprio per questa ragione l’esercito di Kiev ha concentrato le unità di fanteria proprio al confine tra l’oblast’ di Mykolaev e quello di Kherson, tenendo impegnate le truppe russe in continue battaglie in più punti lungo il fiume Inhulec’, affluente del Dnepr.
Le operazioni dello stato maggiore di Putin, considerate nel loro insieme, sembrano volte soprattutto a consolidare i due estremi della trincea per tenervi l’AFU costantemente occupata, e non permettergli di concentrarsi in un unico punto, fondamentale in quanto la Russia, per ridurre al minimo il costo in termini di risorse e vite umane dell’Operazione speciale, ha deciso di schierare un numero di soldati pari circa a un terzo delle forze nemiche, ma grazie alla frammentazione dello scontro e ai superiori mezzi il rapporto in termini di vittime è di uno a cinque. Così però dà modo e tempo alla NATO di rafforzare l’arsenale ucraino (gli Stati Uniti hanno finanziato, ad oggi, la guerra d’Ucraina con 14,5 miliardi di dollari) e all’intelligence americana di pianificare strategie e individuare obiettivi. E in effetti, vuoi per la lentezza della strategia nemica, vuoi per l’arrivo a giugno dei missili a lunga gittata e elevata mobilità HIMARS forniti dalla NATO, vuoi per la familiarità coi territori e con l’utilizzo dei civili come deterrente, gli apparati NATO, ovvero dell’imperialismo neocon americano, hanno avuto il tempo di abbozzare una strategia per i loro burattini ucraini. Nella prima metà della stagione estiva hanno bombardato regolarmente i civili in Donbas – contrattaccando anche via terra a Soledar e Kodema, al confine con la DPR, dove tuttora sono in corso scontri – e in Crimea, dove i continui annunci di abbattimento del ponte Kerch hanno creato una vera e propria psicosi tra la popolazione.
La strategia statunitense in Ucraina non si risparmia nulla, e nell’Ucraina centrale, a Enerhodar, le batterie HIMARS dall’inizio di agosto hanno iniziato a minacciare seriamente la centrale nucleare di Zaporižžja, con una apparente strategia suicida che ha l’obiettivo di destabilizzare l’opinione pubblica e tenere alta la tensione. Una guerra senza equilibrio, quella della comunicazione, in cui la NATO spadroneggia, e in cui sguazza il presidente ucraino Zelens’kyj, che minaccia l’olocausto nucleare con toni più da terrorista che da statista: ne è nata una vera e propria crisi, e in risposta alle richieste del Cremlino, che segnalava i bombardamenti ucraini sempre più vicini agli impianti della centrale, le Nazioni Unite hanno inviato il consiglio dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, i quali, dopo la visita alla centrale, hanno approvato proprio ieri – con 26 voti favorevoli, due contrari, Russia e Cina, e sette astenuti, (Egitto, Sud Africa, Senegal, Burundi, Vietnam, India e Pakistan) – una risoluzione che esorta la Russia ad abbandonare la zona della centrale e a cessare di metterla in pericolo. Ennesima dimostrazione di come la guerra della comunicazione non è ad armi pari, così come la diplomazia coi paesi vassalli dell’imperialismo americano.
La finta controffensiva
Le continue provocazioni e i toni iperbolici della guerra comunicativa hanno avuto due effetti positivi per la strategia NATO: per una parte, togliere alla Russia l’iniziativa, costringendola a rincorrere le follie di Kiev-Washington; dall’altro canto, la creazione di un diversivo per dare il tempo agli strateghi americani e britannici di preparare la leggendaria controffensiva: il 6 settembre l’AFU sfonda le difese russe e in meno di una settimana riconquista tutto l’oblast’ di Kharkov, sottraendo ai russi la parte nord-orientale, vanificando due mesi di sforzo bellico: riprendono il controllo di Kharkov, fino alla linea Balakleja-Izjum, arrivando al confine con l’oblast’ di Luhans’k. Secondo la propaganda occidentale, si tratta inequivocabilmente di una sconfitta russa, e in effetti anche i canali Telegram più agguerriti (in tutti i sensi) si sono stupiti, facendo piovere critiche sui comandanti dell’operazione. I media nostrani parlano di una ritirata scalcinata dei russi, corsi a rifugiarsi nella madrepatria, si enfatizza la perdita di Izjum e Balakleja come di avamposti cruciali per l’approvvigionamento dell’esercito, e Zelens’kyj compare con l’immancabile t-shirt verde (sempre la stessa, proprio come un eroe dei fumetti) ad annunciare la vittoria e, ciliegina sulla torta di poche ore fa, ha già trovato a Izjum una Buča nuova di zecca. Stessi sceneggiatori, stesso copione, vien facile chiedersi se anche la situazione non sia la stessa: e se anche la ritirata di Kharkov fosse, come quella di Kiev a inizio aprile, un semplice abbandono di un territorio non più utile alla nuova fase della strategia?
Dalle fonti ucraine e da quelle russe filo-atlantiste, si legge chiaramente che nella loro avanzata le truppe con la fascia blu non hanno trovato alcun ostacolo, alcuna resistenza da parte russa: e in effetti la smobilitazione di truppe e civili russofoni era già conclusa il 10 settembre. Stando al ministero della difesa russo, si tratta di un “raggruppamento” delle truppe verso il Donbas in direzione di Kherson: era là che i russi si attendevano una vera e propria invasione massiccia. Che in effetti c’è stata già all’inizio di agosto, con l’AFU che ha sfondato, anche se di pochi chilometri, in tre punti del fiume Inhulec’, dove sono in corso tuttora pesanti combattimenti di fanteria e artiglieria: il 2 settembre a Singirevka, per poi passare il fiume a Ternovka, conquistando il villaggio di Andreevka e attestandosi a Sukhyi Stavok, da dove proprio oggi i russi li hanno respinti riducendoli in ritirata al di là del fiume, e più a nord nella zona tra Ivanovka e Visokopolye.
La vera controffensiva
Stando a fonti d’intelligence riportate dal New York Times, gli strateghi NATO a inizio estate hanno iniziato a pianificare la controffensiva, che nelle intenzioni iniziali doveva consistere in un attacco su larga scala nel sud del paese, con l’obiettivo di sfondare a est per riprendere Kherson e penetrare rapidamente da Enerhodar per arrivare a Volnovakha e fino a Boikivske, all’estremità orientale, per isolare Mariupol e tutto il Doneč’k meridionale dalle repubbliche separatiste del Donbas. Questo piano però ha incontrato lo scetticismo della maggior parte degli strateghi ucraini e americani, in quanto sarebbe costato troppe perdite; fu fatta quindi una simulazione, che ne dimostrò l’impossibilità, a causa dell’enorme concentrazione difensiva dei russi nell’area. Così, il piano fu ricalibrato per attaccare gli estremi del territorio russo, costringendo il nemico a difendersi nei due punti più lontani tra loro: «Invece di una grande offensiva, l’esercito ucraino ne ha proposte due. La prima, a Kherson, che probabilmente avrebbe richiesto diversi giorni o settimane prima di ottenere risultati tangibili a causa della concentrazione delle truppe russe. L’altro era previsto vicino a Kharkiv […] Stati Uniti, Gran Bretagna e Ucraina hanno fatto le proprie valutazioni e le tre parti hanno convenuto che il nuovo piano avrebbe funzionato. […] Il piano, emerso durante le discussioni di metà estate, si basava molto sull’intelligence statunitense e sulle armi ad alta tecnologia.»
Non è noto, poiché non esiste alcuna precisa dichiarazione russa a riguardo, se la smobilitazione da Kharkov fosse già preventivata nel piano generale dello stato maggiore dell’esercito russo, o se sia stata una reazione alla grossa mobilitazione nella regione di Kherson. Costretta comunque a inseguire l’iniziativa di Kiev, Mosca ha rafforzato con una mobilitazione dalla madrepatria il confine tra Luhans’k e Kharkov, dove in questo momento infuriano i bombardamenti su Kupjans’k, da dove sta partendo la controffensiva verso i territori persi, con un’aspra battaglia, così come a Lyman. Nella risposta di Mosca, l’aviazione sta avendo un ruolo determinante (sia a nord che a Kherson, dove alcuni analisti internazionali prevedono un’avanzata russa nell’oblast’ di Mykolaev) essendo stato fatto un uso massiccio di jet ed elicotteri da combattimento per annientare i manipoli nemici, che, armati soltanto di HIMARS e dei regali un po’ datati dei paesi NATO, si trovano sotto il fuoco incrociato da terra e cielo. È certo che il bilancio delle perdite ucraine in questa temeraria controffensiva, se al nord è stato nullo, sul fiume Inhulec’ è di quasi diecimila vittime. E non si ferma qui: proprio ieri un’imbarcazione ucraina con 120 soldati a bordo è stata intercettata e affondata dai russi nel Mar Nero, mentre cercava di sbarcare presso la foce del Dnepr. La leggendaria controffensiva, che già ha un paginone dedicato su Wikipedia in lingua russa e viene osannata dai pappagalli di regime, si basa sulla strategia, degna della prima guerra mondiale, di sacrificare migliaia di soldati al sud in una battaglia che si sa perfettamente di non poter vincere, mentre si festeggia una finta vittoria al nord. Gli USA e i loro burattini al governo di Kiev stanno mandando al macello migliaia di giovani per qualche sanzione in più, per qualche anno di guerra in più. “Fino all’ultimo ucraino”, e poco importa se si cancella dalla faccia della terra un’intera generazione: ci sono sempre i mercenari.
JC dice
Insomma, anche a Kharkov gli ucraini hanno perso 40.000 uomini (10.000 morti, 30.000 feriti) e la metà circa degli HIMARS forniti loro dagli americani è andata distrutta. Più tutti i vari depositi di armi e munizioni; gli attacchi sulle centrali elettriche e idroelettriche dell’ultima settimana hanno causato non pochi problemi, e Kodema è stata liberata dai russi già nei giorni della “controffensiva” ucraina. Il “contrattacco leggendario” su Kherson è stato un fallimento su tutti i fronti, l’avanzata di Kiev infatti si è già fermata.
Redazione dice
Grazie per l’interessante commento, che arricchisce e completa il mio lavoro. (L’Autore)