Francesco Santoianni
Avanti.it
Intanto, una precisazione: come tanti, sono contrario all’obbligo di velo per le donne in Iran. Ciò detto, una provocatoria domanda: perché in Italia e in altri paesi occidentali è vietato passeggiare nudi per strada? Si potrà rispondere che è un retaggio che risale ai primordi del genere umano, che è una conseguenza del bigottismo della religione, che il nudismo è tollerato in precise aree… tutte considerazioni legittime. Ma che non rispondono ad una questione di fondo: fino a che punto è lecito trasformare in leggi il punto di vista della maggioranza della popolazione?
Perché di questo si tratta: il velo alle donne (hijab: un foulard sulla testa, non certo il burqa che scherma la faccia e il resto del corpo), piaccia o non piaccia, oggi, è sostenuto dalla maggioranza della popolazione iraniana. E sarebbe il caso, invece di aggrapparsi a pretesi “diritti universali da far rispettare a tutti i costi”, riflettere sulle responsabilità che ha avuto l’Occidente nel determinare questa situazione.
L’imposizione in Iran dello hijab alle donne risale al 1981 a seguito della cacciata dello scià Reza Pahlavi, imposto con un colpo di stato dagli USA, il quale, per ingraziarsi i suoi burattinai, aveva vietato alle donne di indossare il velo e imposto agli uomini di vestirsi con abiti occidentali. L’uso dello hijab (rivendicato da innumerevoli donne nelle manifestazioni contro lo scià) e di vestiti tradizionali divenne, quindi, un emblema antiimperialista mentre l’Iran veniva avvinto da un regime teocratico del quale l’ayatollah Khomeyni resta l’esponente più famoso. È da evidenziare comunque che, nonostante Khomeyni e i suoi sucessori, il ruolo della donna in Iran è stato invidiabile se paragonato a quello di tanti altri paesi dell’area.
Intanto, pur di bloccare il contagio della “rivoluzione iraniana” gli USA, oltre ad imporre feroci sanzioni, incaricarono l’Iraq di scatenargli contro una guerra durata otto anni e costata un milione di morti. L’assedio dell’occidente all’Iran è proseguito fino al 2015 quando l’allentamento delle sanzioni, a seguito della stipulazione dell’Accordo sul nucleare iraniano, sembrò premiare la leadership moderata arrivata al potere a Teheran ed emarginare l’ala più estremista. Va da sé che questo disgelo abbia determinato una progressiva impopolarità dello hijab attestata da alcuni sondaggi e lo svilupparsi di un mirabile tessuto culturale e politico (si vedano, ad esempio, questi film).
Nel maggio 2018, Donald Trump, dopo una campagna di fake news condotta da Israele e dalla lobby sionista, rinnega l’accordo e impone nuove sanzioni determinando, tra l’altro, una estromissione della leadership moderata iraniana. È l’inizio di un giro di vite che vedrà in Iran la riproposizione del potere della polizia morale incaricata, tra l’altro, del rispetto dell’obbligo dello hijab. Il seguito è storia di questi giorni.
Nel 2022, per fermare la collaborazione dell’Iran con la Russia impegnata in Ucraina, l’occidente tenta una ennesima rivoluzione colorata per abbattere l’ennesimo “stato canaglia”. Come in Siria nel 2012 (dove la causa scatenante fu la morte della fantomatica “Amina, la Lesbica di Damasco”) in Iran è la falsa storia di Mahsa Amini “uccisa dalle percosse subite in una stazione di polizia per non aver indossato correttamente il velo” ad infiammare gli animi e a riempire le piazze da parte di gente che non trova nulla da ridire, tanto per dirne una, sulla condanna a 34 anni di carcere comminata a Salma al-Shehab, attivista per i diritti delle donne in Arabia saudita. Intanto in Iran – seguendo il copione di tutte le rivoluzioni colorate – anonimi cecchini continuano a sparare indiscriminatamente sui manifestanti e sulla polizia trasformando le manifestazioni in massacri, subito sbandierati dai media mainstream che chiedono l’eterna soluzione: feroci sanzioni e “sostegno ai rivoltosi”.
Lo hanno già fatto (e non solo) per la Libia e la Siria, perché non anche per l’Iran?
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