Volge al termine l’anno in Iran un anno segnato dall’escalation interna ed estera subita da parte degli acerrimi avversari anglo-sionisti: dal massacro degli scienziati coinvolti nello sviluppo del programma nucleare del paese fino alle rivolte scoppiate nelle regioni curde e che, bloccate sul nascere dai pasdaran, sono tuttavia continuate nelle regioni a maggioranza curda e azera – è da considerare che il territorio dell’Iran, essendo uno stato formatosi sul territorio di un ex impero, abbraccia varie nazionalità – suscitando nella repubblica islamica una risposta aspra e decisa, con 15mila arresti, 800 incriminazioni molte delle quali eseguite dal boia – il numero preciso non si conosce ancora. La categoria sociale su cui la propaganda interna fomentata, stando a quanto apertamente dichiarato dalle autorità iraniane, dalle intelligence di USA, Gran Bretagna e Israele, sono soprattutto gli studenti, e tra essi soprattutto quelli di sesso femminile. Queste ultime, anche se in Iran, come avevamo già notato, hanno troppo spesso maggiori possibilità di una formazione dignitosa e di raggiungere posizioni di spicco rispetto ai paesi occidentali – le donne iraniane fanno carriere prestigiose per merito e non per quote rosa o dopo aver assecondato certi vizietti beceramente patriarcali, come è invece la prassi qui da noi – sono tuttavia più esposte nel paese al bullismo in divisa – “Quando ero a Teheran se vedevo una pattuglia della polizia chiamavo immediatamente un tassì per allontanarmi il prima possibile” ci ha raccontato una donna emigrata in Italia, criticando un nostro contributo sulla “rivolta delle donne” – e dunque più circuibili da una certa propaganda contro il velo e la religione islamica, soprattutto se si tratta di minoranze etniche storicamente avverse al governo centrale degli ayatollah come le donne curde e azere. Nonostante tutto, la repressione dei pasdaran è stata più che brutale: molte studentesse hanno perso la vita, e i familiari, costretti dalla polizia a mentire sulla sorte dei loro cari, in molti casi hanno trovato conforto morale solo nel suicidio.
E sembra proprio che, estinto ormai definitivamente il fuoco della rivolta, qualcuno voglia a tutti i costi sobillare nuovamente il malcontento nella popolazione femminile utilizzando i mezzi più spietati: nelle ultime tre settimane attacchi terroristici hanno portato all’avvelenamento di più di un migliaio di studenti in cinquanta istituti scolastici di tutto il paese, prendendo di mira soprattutto le scuole femminili. Gli attacchi sono iniziati a Qom lo scorso novembre e si sono propagati in tutto il paese. La massima parte della popolazione, terrorizzata, ha smesso di mandare i figli a scuola, il governo ha avviato le indagini, ma la situazione ha tenuto sulle spine tutti i rappresentanti delle varie province in parlamento: bisognava far fronte a questi attentati, perché il terrore della popolazione poteva trasformarsi in men che non si dica in rabbia sociale, e far scuotere nuovamente il paese dalle rivolte; la tensione era tale da suscitare una baruffa parlamentare tra Nazari e Qudousi, rappresentanti rispettivamente di Khalkhal e Mashhad, in quanto il primo chiedeva risposte immediate per gli studenti avvelenati nel suo distretto, mentre il secondo esigeva rispetto per le indagini in corso. Finché proprio ieri è giunta una comunicazione ufficiale del ministero dell’interno che annunciava che erano stati effettuati cento arresti tra avvelenatori e mandanti in tutto il territorio del paese, dalla provincia di Qom a quelle di Teheran, Zanjan, Khuzestan, Hamedan, Fars, Gilan, Azerbaijan Occidentale e Orientale, Kurdistan e Razavi Khorasan. Secondo la propaganda antigovernativa si trattava di una “vendetta contro le manifestanti”, mentre lo stesso governo in un primo momento accusava intromissioni di taliban avversi all’istruzione femminile, mentre proprio ieri Mehdi Saadati, membro della Commissione per la sicurezza nazionale e la politica estera del parlamento, ha denunciato sull’accaduto “le impronte del regime sionista e dei servizi di spionaggio” (un chiaro riferimento al Mossad) e ha dichiarato che “gli arrestati hanno ammesso di essere stati guidati dall’estero attraverso il cyberspazio”. Finora, stando a quanto riportano i media iraniani, c’è stato il solo caso grave di uno studente che aveva già una storia sanitaria precedente, mentre su Instagram, il social più utilizzato dai dissidenti iraniani, è circolata per un po’ la notizia, mai confermata, della morte di una studentessa, l’undicenne Fatemeh Rezaei, con la cui immagine si è cercato di sobillare una nuova ondata di proteste contro il governo. Quest’ultimo ha provato a dare una risposta decisa e decisiva, per interrompere questa nuova crisi che va a concludere questo 1401, che certamente potrà essere chiamato in futuro il longus et unus annus della repubblica islamica.
MDM
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