Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko gode da sempre di pessima stampa in Occidente: Al potere dal 1994, è considerato (quasi) universalmente l’ultimo dittatore d’Europa, e ad ogni trionfale rielezione (l’ultima nel 2020 con l’80% dei voti) sono fioccate contro di lui le accuse di brogli. Sotto la sua guida, la Bielorussia si è trasformata nel più “sovietico” fra i paesi nati dopo il crollo del comunismo, quello in cui la transizione al capitalismo non ha condotto a privatizzazioni selvagge, ma ha visto preservare il sistema pubblico di assistenza sociale ed il ruolo dello stato nella pianificazione economica. Ciò non significa che gli “investitori” abbiano trovato le porte chiuse e che la Bielorussia sia diventato un regime semi-autarchico: la McDonald’s, per dirne una, ha aperto i primi punti vendita a Minsk nel 1996, due anni dopo l’insediamento di Lukashenko alla presidenza, espandendosi nel successivo ventennio in base alle canoniche leggi di mercato e senza essere in alcun modo ostacolata dagli apparati statali. Tutto questo fino all’altro ieri, quando la multinazionale del cibo spazzatura ha deciso unilateralmente di abbandonare il paese, replicando quanto fatto in Russia qualche mese prima. Le ragioni del business si sono quindi fermate solo davanti alla guerra in Ucraina, nell’ambito di quella politica sanzionatoria che di riflesso colpisce anche la Bielorussia, trattata alla stregua di uno stato satellite del gigante russo. Pure in Bielorussia i ristoranti messi in piedi dalla McDonald’s passeranno ad un’azienda locale (anche se il marchio della “M” gialla permarrà per un indeterminato periodo di “transizione”), e per celebrare la notizia lo stesso Lukashenko ha dichiarato “Anche noi sappiamo tagliare il pane e metterci dentro un pezzo di carne”. Dopo aver assistito impotente al dilagare di Donald il pagliaccio nel suo paese dall’anima ancora sovietica, quello che sulla carta sarebbe un autocrate onnipotente ha ringraziato Dio quando il circo si è trasferito altrove. Putinista prima di Putin, Lukashenko è stato un amico della Russia anche negli anni di Eltsin, quando questa proprio non ne voleva sapere, e si è adoperato per intensificare i rapporti con il potente vicino in ambito militare ed economico, legando poi le sue sorti a quelle dell’omologo russo, consapevole che una rivoluzione colorata avrebbe potuto disarcionarlo da un momento all’altro (i tentativi si contano a decine, tutti prematuramente abortiti) e che solo all’ombra di Putin il “fossile” bielorusso sarebbe riuscito a sopravvivere. In occasione della pandemia, Lukashenko si è distinto per lo scetticismo e l’ostilità alle restrizioni, denunciando anche una tentata corruzione da parte del Fondo Monetario Internazionale, che gli avrebbe offerto una cifra vicina al miliardo di dollari per imporre il lockdown “all’italiana” nel suo paese. Dopo essersi esibito in dichiarazioni pittoresche sulla natura del virus e sulle strategie per fronteggiarlo (il presidente consigliava vodka, saune e lavoro in campagna), facendo della Bielorussia l’unico paese “aperto” in un’Europa “chiusa”, Lukashenko è stato costretto a tornare sui suoi passi affermando che pure lui si era ammalato e introducendo tardivamente qualche blanda misura di ordine sanitario. Il presidente bielorusso non è dunque un nemico dell’Occidente o un alfiere della lotta all’imperialismo e al globalismo, ma uno scaltro relitto dell’era sovietica che è stato capace di barcamenarsi in un quarto di secolo tumultuoso, sopravvivendo a tutto e a tutti in barba alle leggi della storia. Lo stesso non gli riuscirà con quelle della biologia: gravemente malato da tempo, in occasione della recente visita di stato a Mosca per la “Giornata della vittoria” del 9 maggio è apparso moribondo su una carrozzella elettrica con il corpo piagato dai cateteri: tornato in tutta fretta a Minsk senza prendere parte al pranzo ufficiale, Lukashenko sarebbe stato ricoverato in un ospedale militare senza apparire in pubblico per cinque giorni, periodo dopo il quale è stata pubblicata su Telegram una foto che lo ritrae in forma mentre sfoggia l’uniforme militare in uno scenario silvestre. Secondo l’opposizione bielorussa, Lukashenko sarebbe in realtà già morto, o almeno in coma dopo un infarto, ed al suo posto vi sarebbe un sosia, ipotesi già circolata a proposito di Putin e dei ministri russi Shoigu e Lavrov, e ritenuta credibile dai media occidentali, gli stessi che si inalberano se le medesime illazioni vengono fatte a proposito di Biden come in passato si facevano su Osama bin Laden, l’uomo dai mille volti. I complottisti “buoni” dipingono uno scenario in cui Putin e Lukashenko sono solo dei burattini manovrati da burattinai senza volto, che possono sostituirli alla bisogna con dei sosia (o magari degli androidi…) senza pagare dazio avendo il pieno controllo del sistema massmediatico. La dissonanza cognitiva è un male incurabile.
GR
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