Giuseppe Russo
Avanti.it
Come era già accaduto nel 2017, il vero e unico trionfatore delle elezioni parlamentari francesi è stata l’astensione: a disertare il voto nel secondo turno di domenica 19 giugno è stata la maggioranza assoluta dei cittadini francesi, pari al 53,7% degli aventi diritto; sommando a questo dato quello delle schede bianche e nulle, si arriva ad uno spaventoso 57,3% di elettori che non hanno formulato alcuna scelta. Per rendere l’idea, al secondo turno delle elezioni presidenziali dell’aprile scorso, la partecipazione era stata del 72%. La democrazia francese è malata da tempo, e non le hanno certo giovato gli ultimi cinque anni di autoritarismo tecnocratico in salsa macronista.
Dopo che la grande ammucchiata destra-sinistra, in nome della lotta contro il “diavolo” Marine Le Pen, aveva riportato sul trono presidenziale Emmanuel Macron appena due mesi fa, gli stessi attori di quella sceneggiata hanno provato a costruirsi una verginità antimacronista a queste elezioni legislative, ma il trucco è riuscito solo in parte. Da un lato, contariamente alle legislative di cinque anni fa, quando il presidente aveva capitalizzato lo straripante consenso ottenuto nel primo ballottaggio antilepenista, le truppe di Macron ne sono uscite con le ossa rotte; dall’altro, tuttavia, la coalizione che avrebbe dovuto, negli ottimistici auspici del suo fondatore Jean-Luc Melenchon, ottenere la maggioranza per dare vita ad un governo alternativo, è riuscita appena a portare a casa poco più di un quinto dei seggi. Guardando invece verso destra, reggono i Repubblicani postgaullisti dopo la disfatta delle presidenziali, vengono annientate le velleità di Zemmour, che col suo movimento Reconquete non riesce a conquistare alcuno scranno, mentre il Rassemblement National di Marine Le Pen, contro ogni previsione, ottiene il miglior risultato della sua storia in termini di seggi conquistati, ben 89 contro gli 8 di cinque anni fa.
Il tracollo dell’accrocchio “centrista” che supportava Macron è attestato da numeri impietosi: la coalizione Ensemble passa da 350 a 245 seggi, perdendo la maggioranza assoluta nell’Assemblea Nazionale. Ad essere travolta da questa valanga è stata soprattutto La Republique En Marche, la forza politica costruita a tavolino per accompagnare l’irresistibile ascesa macronista: pur sottoposta a “restyling” in occasione di queste ultime consultazioni (si è ribattezzata “Reinassance”: il marchio si era già esaurito), dimezza le sue truppe parlamentari, lasciando a casa una novantina di deputati uscenti e due rampanti ministre, la titolare del dicastero per la transizione ecologica Amelie de Montchalin e la vaccinista oltranzista Brigitte Bourgouignon, ministro per la salute. Il macronismo tiene gran parte dei suoi avamposti nella regione parigina e sulla costa atlantica, dalla Bretagna all’Aquitania, ma subisce pesanti sconfitte nel Nord e nel Sud nel paese, in tutte le aree pesantemente colpite dalla crisi economica.
Dopo aver sfiorato il ballottaggio alle ultime presidenziali, Jean-Luc Melenchon si è fatto promotore per le legislative di giugno della NUPES (Nouvelle Union populaire écologique et sociale), coalizione in cui si sono ritrovate, dopo un ventennio di scontri all’arma bianca, (quasi) tutte le anime della sinistra transalpina, dall’azionista di maggioranza, la creatura melenchoniana La France Insoumise, fino a ciò che resta del Partito Socialista, dalle schegge del “Polo ecologista” fino al Partito Comunista. I risultati sono stati al di sotto delle aspettative: 131 seggi in totale (senza contare quelli ottenuti dalle formazioni “amiche” nei Dipartimenti d’Oltremare), qualche schiaffo preso al secondo turno dai candidati lepenisti, la conferma nelle zone più storicamente e radicalmente “rosse” (en plein nel dipartimento Seine-Saint Denis: 12 eletti su 12, con 4 scranni strappati ai macronisti), crescita nelle principali aree urbane con risultati eclatanti a Lilla e Tolosa. All’atto pratico, l’alleanza è servita a riportare in vita l’agonizzante Partito Socialista (la cui candidata Anne Hidalgo aveva ottenuto appena l’1,75% alle presidenziali di aprile), che ottiene 26 seggi, appena 4 in meno del 2017, nonostante i “dinosauri” del partito, fra i quali l’ex presidente Hollande, si fossero opposti con veemenza a questa prospettiva, ed a salvare gli apparati delle diverse formazioni ambientaliste (che passano complessivamente da uno a 16 deputati) e del Partito Comunista (da 10 a 12). All’indomani delle elezioni, come nella migliore tradizione, è già rottura: ciascuno darà vita a gruppi parlamentari autonomi, e quelli socialista e comunista hanno già iniziato il dialogo coi macronisti in vista della spinosa formazione del nuovo governo.
Il principale gruppo parlamentare di opposizione dovrebbe essere dunque costituito dagli eletti del Rassemblement National. Da sempre penalizzati dal sistema elettorale maggioritario a doppio turno, i lepenisti ottengono con 89 deputati il miglior risultato della loro storia. Il Rassemblement spopola da un lato nella Francia della disoccupazione postindustriale, dall’altro in quella rurale e profonda, ottenendo pure riscontri positivi in aree tradizionalmente ostili, come la Lorena e la costa atlantica. A Nord Marine Le Pen viene trionfalmente rieletta nel Pas de Calais, ma è a Sud che il RN ottiene i risultati più sorprendenti, giungendo a colorare di blu scuro quasi tutta la costa mediterranea, dalle Alpi Marittime ai Pirenei Orientali.
In vista della formazione del nuovo governo, un Macron non più autosufficiente s’è visto costretto a mendicare sostegno a destra e a a manca. La soluzione più naturale, quella di un asse fra i macroniani di Ensemble e i Repubblicani (la destra “storica” sopravvissuta con 64 parlamentari) è per ora respinta con fermezza da questi ultimi, e per il presidente si profila, come già accennato, un inaspettato “soccorso rosso” da parte di socialisti e comunisti, pur con la netta ostilità di Melenchon, il quale ha invocato una mozione di sfiducia per il primo ministro Elisabeth Borne, che è formalmente ancora in carica. Macron, insomma (o meglio, i suoi “costruttori), vince pure quando perde: sarà il destino.
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