In appena sei mesi, il mefistofelico strumento noto come “Chat GPT” ha raso al suolo ciò che restava della scuola e dell’università. La piattaforma di “machine learning”, infatti, è in grado di produrre testi complessi su qualunque argomento, risolvere problemi ed equazioni, persino comporre poesie secondo lo stile di questo o di quell’autore. I famigerati compiti a casa, dopo aver flagellato generazioni di studenti, appaiono un ricordo di un passato remotissimo; già prima del cruciale 2020, la rete traboccava di temi e relazioni già svolte, versioni già tradotte, software per fare le espressioni o l’analisi logica, ma con l’avvento di Chat GPT e dei suoi fratelli intelligenti non c’è neppure da perdere tempo a cercare e a leggere: basterà fornire gli input giusti e la megamacchina sbrigherà ogni incombenza scolastica, facendo sì che il tempo sottratto alla noia possa essere proficuamente trascorso su TikTok o nell’assai più istruttiva dimensione parallela dei videogiochi. Nell’Occidente già da un pezzo tramontato, alcuni istituti scolastici hanno provato ad arginare il fenomeno vietando l’uso dell’applicazione: si può immaginare come sia andata a finire. Dopo una prima fase di fisiologico sbandamento davanti al Progresso, gli stessi insegnanti, inconsapevoli del fatto che nel Mondo Nuovo non è prevista la loro presenza, hanno cominciato a considerare la storia dell’intelligenza artificiale come una “opportunità”. Emblematica in questo senso la parabola di tale Kelly Gibson riportata da wired.it. La donna, insegnante di inglese in una scuola superiore dell’Oregon, è stata inizialmente sopraffatta da Chat GPT, giungendo a conclusioni fataliste. “Oh mio Dio, questo è letteralmente quello che insegno io” ha pensato la professoressa Gibson quando ha scoperto che gli intelligentissimi bot sono in grado di scrivere testi pure sugli spunti più strampalati. Poi, però, ha cambiato “prospettiva” fino ad abbracciare il Futuro con tutta l’anima e ad auspicare che “i chatbot Ai diventino come calcolatrici per la scrittura”. La storiella in sé potrebbe anche essere inventata di sana pianta a fini “pedagogici”, ma è plausibile: quella degli insegnanti è una categoria che, come dimostrano i fatti del recente passato, non difetta di “resilienza”. La digitalizzazione della scuola è inoltre in atto da anni e non ha mai trovato opposizioni:il processo, presentato da un lato come desiderabile e dall’altro come inevitabile, si è articolato attraverso l’istituzione degli “animatori digitali”, l’adozione delle lavagne e dei registri elettronici, l’uso e l’abuso della “didattica a distanza”. Fra i presidi si è svolta una gara a chi infilava più tecnologia nei piani dell’offerta formativa, e tutto con il plauso dell’opinione pubblica e degli stessi sindacati. E così, anche davanti a Chat GPT si è aperta una finestra di “opportunità” meravigliose. Secondo il professor Paolo Maria Ferri, che per campare insegna proprio “teorie e tecniche dei nuovi media” e “tecnologie didattiche” all’università Milano-Bicocca , oltre a dirigere il “laboratorio informatico di sperimentazione pedagogica”, l’introduzione nella didattica di quelli che lui definisce “assistenti cognitivi per l’apprendimento” e “agenti conversazionali” presenta diversi vantaggi anzitutto per il corpo docente: la possibilità di produrre test ed esercizi personalizzati con tanto di soluzioni allegate, la velocizzazione degli adempimenti burocratici, il supporto nella programmazione fornito dai “data set” degli alunni opportunamente elaborati dalla megamacchina. In certi casi è stata anche sperimentata l’efficacia di Chat GPT nel condurre una lezione, proponendo a profusione nuovi spunti didattici. Insomma, nella “scuola 4.0” prevista dal Pnrr ci sarà sempre più spazio per il nuovo prof Chat GPT, e non è casuale che il vecchio prof Paolo Ferri, che prima o poi incontrerà sulla sua strada un bot che insegna “tecnologie didattiche” meglio di lui, pubblichi il suo trattatello sulle magnifiche e progressive sorti degli “assistenti cognitivi per l’apprendimento” sul sito sinistramente denominato “agenda digitale”. I più lungimiranti, intanto, stanno già organizzando e frequentando corsi come “Usare gli strumenti di Intelligenza Artificiale per preparare gli studenti agli esami di certificazione linguistica in un ambiente inclusivo”, webinar tenuto dalla professoressa Joanna Paolinelli (che sarebbe pure “managing director of the British School Pisa Srl”) all’interno del quale si “dimostrerà che questa nuova tecnologia può essere uno strumento didattico rivoluzionario” e si toccherà con mano come “l’Intelligenza Artificiale può anche rendere molto più facile la vita di un insegnante!”. Secondo il più lungimirante di tutti, quel Bill Gates che vede tutte le sfumature del futuro nelle sue sfere di cristallo, entro un anno e mezzo Chat GPT si sarà evoluta al punto da insegnare la lettura e la scrittura ai bambini, sempre in modo “personalizzato” e non sciatto e generico come una vecchia maestra. Il nuovo professore, dunque, si chiama Chat GPT, e non è qui per fare il supplente; del resto, ha mille miliardi di lauree, non si sveglia mai con la luna storta e ama tutti incondizionatamente. In effetti, non c’è proprio paragone.
GR
Feli dice
Cosa significa “i chatbot AI come calcolatrici per la scrittura”? Come si calcola la scrittura? Se la parola è la concretizzazione del pensiero e la scrittura la fase successiva, ovvero ciò che trasforma il sottile(pensiero) in grossolano (scrittura) quali operazioni applicheranno per calcolarla? Siamo alla follia cognitiva. Ritengo tutto ciò abominevole!
Clach dice
Ben detto!