Angelo Serafini
Avanti.it
Nuove tensioni tra Kosovo e Serbia: spari, strade interrotte da barricate e valichi chiusi sulla linea di Mitrovica (nel Kosovo del nord), che segna il confine con l’enclave serba del Kosovo. Nella notte del primo agosto si è appreso di scontri tra i serbi del Kosovo e le autorità statali della Repubblica del Kosovo. Si rialza così la tensione nella regione, stavolta per via del problema del riconoscimento dei documenti e delle targhe automobilistiche tra i due stati.
Continuano dunque le provocazioni ad uno degli ultimi baluardi neutrali, o almeno non pienamente allineati, della vecchia Jugoslavia, un tempo nemico di Washington ormai completamente smantellato e ridotto ad una serie di stati-fantoccio completamente integrati nella NATO, con la parziale eccezione della Bosnia-Erzegovina, che ha uno status particolare in virtù della tripartizione su base etnica del suo territorio, e della Serbia, che, pur intrattenendo stretti rapporti con l’Occidente ( aveva anche chiesto di aderire all’UE), è ancora legata fortemente al governo di Mosca, come dimostra la sua opposizione alle sanzioni verso la Russia e la neutralità nei confronti della guerra in Ucraina.
Per quanto concerne la Repubblica del Kosovo, con capitale Priština, essa si è autoproclamata indipendente dalla Serbia unilateralmente nel 2008, da allora lo status dalla regione è conteso, infatti la Repubblica è riconosciuta solo da 98 membri ONU su 193, non è riconosciuta dalla Serbia e all’interno del Consiglio di Sicurezza nemmeno da Russia e Cina.
Nel Kosovo c’erano due etnie maggioritarie distinte, i Serbi (cristiani ortodossi) e gli Albanesi (islamici). Se nei periodi tra le due guerre mondiali la minoranza serba costituiva un terzo della popolazione, mentre i restanti due terzi erano albanesi, all’epoca della dissoluzione della Jugoslavia i serbi erano diminuiti all’11%.
Nel 1995, con la fine della guerra di Bosnia-Erzegovina e gli accordi di Dayton, fu sancita la pace tra le repubbliche nate dalla dissoluzione della Jugoslavia. Negli anni precedenti avevano ottenuto l’indipendenza la Slovenia, la Croazia, la Macedonia del Nord (tutte e tre ora membri NATO) e la Bosnia Erzegovina, rimanendo nell’unione solamente la Serbia e il Montenegro (quest’ultimo si renderà poi anch’esso indipendente con un referendum nel 2006, per poi aderire all’Alleanza Atlantica).
Il Kosovo, prima dell’indipendenza, era una provincia autonoma della Serbia, ma senza la dignità delle sei “repubbliche costituenti” della Jugoslavia, e quindi senza avere costituzionalmente la possibilità di rendersi indipendente; così, l’UCK (Ushtria Çlirimtare e Kosovës), l’esercito di liberazione del Kosovo, attuò una serie di attentati che poi degenerarono in una vera e propria lotta armata contro il governo di Belgrado, dando luogo alla guerra del Kosovo che durò dal febbraio 1998 al giugno 1999.
L’UCK era stato incluso nelle liste delle organizzazioni terroristiche di molti paesi, primi fra tutti la stessa Jugoslavia (che appunto all’epoca comprendeva solo Serbia e Montenegro), ma anche da molti altri tra cui Stati Uniti e Regno Unito. Era già noto che sin dall’inizio del conflitto con la Jugoslavia di Tito, nei primi anni Ottanta del secolo scorso, i movimenti criminali albanesi si finanziavano anche grazie al traffico di eroina proveniente dalla Turchia. Nel 1998, in Italia è stato chiaramente stabilito da numerose sentenze che l’UCK aveva legami con la mafia albanese, pesantemente implicata nei traffici di droga, armi, prostituzione, immigrazione clandestina e riduzione in schiavitù. L’Interpol segnalava al contempo che l’organizzazione avrebbe fatto del Kosovo uno stato criminale legato alle mafie italiane, in particolare alla Camorra e alla Sacra corona unita. Inoltre, il 4 marzo 1999 il giornale tedesco Berliner Zeitung, citando l’Europol e proprie fonti riservate presso i servizi segreti occidentali, asseriva che circa la metà dei fondi dei quali si avvaleva il movimento all’epoca (pari a circa 900 milioni di marchi) fosse proveniente dal traffico di stupefacenti, mentre in un’intervista concessa nel 1999 al quotidiano britannico Sunday Times, il capo dei servizi segreti albanesi, Fatos Klosi, rivelò che l’UCK godeva di una rete di appoggio organizzata in Albania dal noto terrorista Osama bin Laden, evidenziando i legami con al-Qāʿida e altre organizzazioni terroristiche islamiche.
Ciononostante, nel 1998, in vista degli accordi di Raimbouillet che avrebbero dovuto portare alla fine della guerra, Stati Uniti e Regno Unito decisero di rimuovere l’UCK dalle loro liste di gruppi terroristici per sostenerlo, iniziando ad appoggiare l’UCK e la causa dell’indipendenza del Kosovo in funzione anti-serba.
Data la precarietà degli accordi di Raimbouillet, la guerra continuò. Il 15 gennaio 1999 ebbe luogo la strage di Račak: nel sud del Kosovo in una fossa comune furono trovati 45 cadaveri di albanesi e subito il capomissione americano William Walker si recò sul posto e accusò frettolosamente il governo serbo di Milošević di crimini di guerra e genocidio, poiché secondo la sua versione erano stati assassinati cittadini inermi e innocenti. In realtà, come sostenuto poi dalla giornalista Tiziana Boari, nel 1999 membro della missione Osce in Kosovo, dovette trattarsi di un probabile “false flag”. La scena del crimine fu infatti subito violata, tutto fu calpestato, toccato e spostato senza invece transennare prima l’area. Successivamente, le autopsie furono svolte due volte, prima da medici serbi e bielorussi, e poi da sanitari finlandesi, e venne dimostrato che non si trattava di esecuzioni sommarie, e probabilmente neanche di cittadini disarmati, bensì di membri dell’UCK morti in seguito a uno scontro a fuoco. Inoltre, nel 2006 il Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia nel processo a Milošević eliminò l’episodio di Račak dalle accuse. Nel 2008 Helena Ranta, la donna finlandese che aveva diretto le autopsie, ammise di aver subito pressioni da William Walker e dal ministro degli esteri finlandese affinché non escludesse del tutto la possibilità del massacro di innocenti.
Ma la strage fu usata dai media mainstream e dai governi occidentali come pistola fumante per legittimare l’intervento della NATO. Così, accusando il governo serbo di operare una repressione e una pulizia etnica nei confronti degli albanesi in Kosovo, i paesi NATO intervennero con l’operazione Allied Force, con la quale bombardarono la Serbia, sostenuti militarmente anche dall’Italia. Infine, con gli accordi di Kumanovo, la Serbia fu costretta a ritirare ogni forza armata dal Kosovo.
In base alle Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite numero 1244 del 1999 il Kosovo fu provvisto di un governo e un parlamento provvisori, e posto sotto il protettorato internazionale della NATO con la missione KFOR.
L’UCK si sciolse ufficialmente, tuttavia continuò ad operare sotto diverse forme, e molti ex membri entrarono anche in politica. La pace infatti non fu raggiunta e le persecuzioni verso i Serbi del Kosovo si intensificarono. Ad esempio, nel marzo del 2004 furono attaccate oltre trenta chiese e monasteri cristiani, almeno venti persone restarono uccise e decine di abitazioni di serbi furono incendiate, tutto nell’arco di soli cinque giorni, mentre già negli anni precedenti erano state distrutte oltre trenta chiese e monasteri. L’UCK e i movimenti albanesi sarebbero anche implicati nel traffico di organi, infatti secondo il magistrato Carla Del Ponte, procuratrice capo del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia dal 1999 al 2007, civili serbi, incluse donne e bambini, sono stati rapiti dall’UCK e sarebbero stati in seguito trasferiti a Burrel, in Albania, dove sarebbero stati tenuti prigionieri in attesa del prelievo degli organi diretti a cliniche turche specializzate in trapianti; alcuni sarebbero stati sottoposti a diversi prelievi successivi prima d’essere definitivamente uccisi e fatti sparire. La procuratrice ha poi dichiarato di aver ricevuto pressioni affinché non perseguisse alcuni tra i maggiori ufficiali dell’UCK per tali crimini.
Nel 2007 le elezioni furono boicottate dai serbi del Kosovo e portarono alla formazione di un governo di grande coalizione guidato dall’ex capo paramilitare dell’UCK, Hashim Thaçi il quale pochi mesi dopo, il 17 febbraio 2008, dichiarò unilateralmente l’indipendenza dalla Serbia.
Un’inchiesta svolta da Dick Marty per il Consiglio d’Europa tra il 2008 e il 2010 ha riconosciuto Hashim Thaçi come capo di una rete di traffico internazionale di armi, droga e organi umani. L’attività criminale avrebbe avuto inizio nel 1999 e sarebbe direttamente legata alle attività dell’UCK. Secondo Marty, la comunità internazionale ha deciso di ignorare i crimini dell’organizzazione paramilitare, mentre numerosi rapporti confidenziali da lui esaminati indicherebbero Thaçi e uomini del suo entourage come figure chiave dei traffici illeciti. Nel 2016 Thaçi diventa poi Capo di stato del Kosovo, ma alla fine, dopo anni di indagini, nel 2020 si è dovuto dimettere per essere arrestato e processato con accuse di crimini di guerra e contro l’umanità, oltre che per i suoi traffici criminali, presso il Tribunale internazionale dell’Aia, proprio lui che aveva dichiarato l’indipendenza del Kosovo e che era stato sostenuto e difeso dall’Occidente per anni.
Una nuova Costituzione del Kosovo, entrata in vigore il 15 giugno 2008, trasferisce maggiori poteri dal protettorato internazionale al governo kosovaro. Le forze internazionali, tuttavia, continueranno a mantenere le proprie truppe sul territorio.
Oggi le istituzioni di Priština controllano la maggior parte del territorio del Kosovo, a eccezione dei quattro comuni a maggioranza serba a nord del fiume Ibar, una vera e propria enclave serba nel Kosovo del Nord, con istituzioni serbe ancora sostenute da Belgrado.
Nel 2013 è stato firmato un accordo promosso dall’Unione Europea con il quale Belgrado riconosce l’estensione dell’autorità di Priština anche sul Kosovo del Nord e ne smantella le istituzioni parallele, in cambio di una autonomia non-territoriale per i comuni a maggioranza serba, anche se tuttora i quattro comuni sono contesi fra le due entità.
Nel 2018 il Parlamento ha approvato, all’unanimità, la proposta della creazione delle forze armate del Kosovo, con l’appoggio del governo degli Stati Uniti d’America, evidenziando ancora di più la funzione di protettorarto americano ricoperta dal Kosovo.
Nell’enclave serba del Kosovo del Nord c’è stata, tra il 2021 e 2022, la crisi sia diplomatica sia militare a causa delle norme sui documenti e sulle targhe automobilistiche. Attualmente, quando si lascia il Kosovo per la Serbia centrale, la sigla del Kosovo sulle targhe (RKS) viene coperta con adesivi con la sigla serba (KM), mentre quando i serbi si presentano alle frontiere per entrare in Kosovo i loro documenti non sono validi e necessitano di una certificazione sostitutiva rilasciata dalle autorità locali; per quanto riguarda le automobili immatricolate in Serbia dal 1999 al 2022, indicanti le vecchie province ora autonome, esse necessitano di essere reimmatricolate con una targa del Kosovo obbligatoriamente entro il primo agosto 2022. Priština si è difesa dicendo che si tratta semplicemente di misure di reciprocità, siccome in Serbia era stato fatto lo stesso e tali azioni sono previste dagli accordi.
Le prime proteste c’erano già state a settembre del 2021, ora la tensione si è alzata poiché la legge sarebbe dovuta entrare pienamente in vigore dal primo agosto 2022, ma questo provvedimento è stato rimandato di un mese. Nell’enclave serba del Kosovo del nord ci sono stati degli episodi di scontri armati tra la comunità serba e la polizia kosovara. I serbi locali hanno bloccato la strada con attrezzature da costruzione verso i posti di blocco di Yarina e Brnak e hanno mantenuto il blocco sebbene la polizia kosovara abbia cercato di disperderli con gas lacrimogeni e attrezzature speciali.
La popolazione serba in Kosovo attualmente conta solamente l’ 1,5% del totale, a dimostrazione di come la pulizia etnica effettuata alla luce del sole, non denunciata e supportata ampiamente dall’Occidente, stia perfettamente riuscendo.
Il ministro degli Esteri serbo Nikola Selakovich ha affermato che le autorità del Kosovo stanno preparando il “vero inferno” per i serbi. Inoltre il presidente serbo Vucic, che ha accusato Priština di un tentativo di mandare via i serbi dal Kosovo, in un incontro con l’ambasciatore russo ha ringraziato il governo di Mosca per il suo sostegno attivo alla sovranità e all’integrità territoriale del Paese. A sostegno dell’enclave serba del Kosovo si è espresso apertamente anche Vladimir Putin, affermando che presto la Serbia potrebbe trovarsi costretta a dover attuare un’operazione di denazificazione dei Balcani come la Russia sta facendo in Ucraina.
“La missione KFOR, guidata dalla NATO, sta monitorando la situazione ed è pronta a intervenire se la stabilità è compromessa, in conformità con il suo mandato”, dichiara la Nato, mentre il presidente dell’Albania (paese NATO) Edi Rama pur affermando che nessuna delle due parti trarrebbe un vantaggio dal conflitto. dichiara che “la guerra è una soluzione quando le cose vanno male”.
Ecco dunque che la stessa guerra si svolge contemporaneamente su molti fronti, in Ucraina come ora in Kosovo, la guerra dell’imperialismo americano e occidentale contro i paesi e i governi non allineati.
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