Con questo pezzo si inaugura “Anema e core”, rubrica di arte e cultura culinaria tenuta da Umberto Rocca, di professione cuoco, da tempo radicatosi a Mosca. Umberto ha vissuto e viaggiato per il mondo, conoscendo e approfondendo la cultura gastronomica e la storia di altri popoli, sperimentando nuovi orizzonti del gusto e della vita. Come tanti altri, da questo pellegrinaggio non ha più fatto ritorno. Quando il cibo nutre anche la mente, questo viaggio può essere intrapreso restando tra le mura della nostra cucina di casa, rievocando sapori e odori legati alla nostra infanzia.
Umberto Rocca
Avanti.it
Qualsiasi chef che dice di farlo per amore è un bugiardo. Alla fine della giornata è tutta una questione di soldi. Non avrei mai immaginato di pensare così, ma ora lo faccio. Non mi piace. Non mi piace dovermi uccidere sei giorni alla settimana per pagare la banca… Se non hai soldi non puoi fare nulla; sei un prigioniero della società. Alla fine della giornata è solo un altro lavoro. È tutto sudore, fatica e sporcizia: è miseria.
Marco Pierre White
Lo chef Marco Pierre White è nato nel Regno Unito, a Leeds, l’11 dicembre 1961.
White fu il primo chef in Inghilterra a ottenere tre stelle Michelin alla giovane età di trentadue anni.
Il suo nome, Marco, tradisce origini italiane: la madre dello chef, infatti, è originaria del Belpaese e il padre è britannico. A casa già respirava i classici della cucina italiana.
White fece la gavetta in diversi santuari della cucina classica al di qua e al di là della Manica: Le Gavroche dei fratelli Roux, Le Manoir aux Quat’Saisons di Raymond Blanc e La Tante Claire di Pierre Koffmann – gli ultimi due, nonostante il nome possa trarre in inganno, si trovano rispettivamente a Oxford e a Londra. A ventisei anni, nel 1987, apre a Londra Harveys, il suo primo ristorante. È qui che il giovane e talentoso White si consacra nell’olimpo della ristorazione mondiale ottenendo la prestigiosa riconoscenza delle stelle Michelin. La terza stella la otterrà aprendo il ristorante Marco Pierre White presso l’ex Hyde Park hotel.
Trentatré anni fa pubblica il suo primo libro, White Heat (Londra, Mitchell Beazley Publishers Ltd, 1990) un testo rivoluzionario nel suo genere e che trascende il classico approccio divulgativo: alle ricette si alternano riflessioni personali di vita, dure, senza addolcimenti mielosi, secche, nude e crude, visivamente estese da una serie di incredibili fotografie in bianco e nero realizzate dalla mano esperta di Bob Carlos Clarke. Per gli addetti ai lavori diventerà una sorta di testo sacro, e White Heat rappresenta una vera e propria svolta nella percezione della figura dello chef: da semplice alchimista gastronomico, nascosto dietro le sue formule magiche, lo fa emergere sul proscenio della comunicazione di massa. Con lui nascono i cuochi star che occuperanno i palinsesti televisivi nei successivi trent’anni.
Marco Pierre White è uno chef rude, capello lungo e spettinato, aria truce, sigaretta in bocca e aria sprezzante, l’enfant terrible capace di rendere sempre più fluido il confine tra genio e follia, tra standard e anticonformismo, inaugurando un nuovo culto della personalità. Le immagini in bianco e nero, con tutto il loro potenziale espressivo, connettono emotivamente alle parole del testo, affilate e taglienti come coltelli. Il passaggio del libro citato in apertura del presente articolo ispirò lo chef Anthony Bourdain per la stesura del suo libro Kitchen Confidential. Adventures in the Culinary Underbelly (Londra, Bloomsbury Publishing, 2000).
Se da un lato il suo fascino di ‘bello e dannato’ ne fa il primo esempio di sex simbol dietro ai fornelli, dall’altro White buttava fuori senza remore i danarosi avventori che osavano eccepire sulle sue creazioni. Una volta arrivò addirittura a cacciare via sgarbatamente tutti i clienti da Harveys e chiudere prima dell’orario stabilito: gli altri avventori non avevano gradito il modo in cui White aveva allontanato un tavolo troppo polemico, e lo chef rispose alle contestazioni riservando a tutti lo stesso trattamento. White crea abilmente un glamour attorno al suo personaggio di bello e maledetto, diventando, per intenderci, una sorta di versione stellata del celebre locale trasteverino Cencio La Parolaccia. Andare al ristorante per farsi prendere a pesci in faccia aveva un tocco glamour per i clienti un po’ annoiati dalle monotonie culinarie della capitale d’oltremanica.
Odiato e rispettato, White rappresentava l’avanguardia della rivoluzione gastronomica britannica, nonostante nella prima parte della sua carriera fosse stato un interprete scolastico della Nouvelle cuisine. Crea e trasforma piatti alla velocità di un fulmine, ma non rivoluziona la cucina come fece il suo illustre collega Paul Bocuse, padre della Nouvelle cuisine francese. Uno dei piatti più famosi di White probabilmente fu il “Caldo al trotto”, piede di maiale brasato ripieno con farcia di pollo, rivisitazione di un classico dello chef francese Pierre Koffmann, che era stato uno dei suoi maestri. Altro cavallo di battaglia era la “Pesca Melba” secondo la tradizionale ricetta elaborata nel 1892 da Auguste Escoffier, padre della cucina francese. White a ben vedere è un ottimo interprete e un eccellente esecutore che tuttavia non ha mai apportato nessuna innovazione gastronomica.
Marco Pierre White non si è mai sentito a suo agio nel sistema della ristorazione d’alto bordo: è stato il primo al mondo a ‘restituire’ le tre stelle Michelin nel 1999, in polemica con gli ispettori da lui considerati incompetenti, o comunque non al suo livello, e dunque indegni di poter giudicare il suo lavoro. “Quando avevo tre stelle non ero libero” dichiarò all’epoca “Se non le avessi restituite, sarei morto dietro le stufe”.
E dietro le stufe non morirà: infatti, cucinato il suo ultimo pasto per un cliente pagante il 23 dicembre 1999 alla Oak Room, si ritirò poco dopo in campagna, vicino a Salisbury, per allevare maiali, pescare, coltivare l’orto, occuparsi dei quattro figli e lasciarsi alle spalle la dura vita dei fornelli. Dalla seconda metà degli anni duemila inizia la sua carriera televisiva: nel 2007 viene scelto come giudice nella versione inglese del programma televisivo Hell’s Kitchen, a cui aveva partecipato anche Gordon Ramsay, suo amico e allievo e di recente, a tempo perso si direbbe, ha aperto un ristorante da seicento coperti a Leicester Square, nel cuore di Londra.
Nell’immaginario collettivo Marco Pierre White rimane uno dei cuochi più carismatici della cucina moderna, creando un movimento di giovani cuochi che si sono ispirati al suo modello di enfant terrible dei fornelli, divenuto un vero e proprio canone stilistico di comportamento dei cuochi televisivi. Rude e fuori dagli schemi, per lui esiste un solo tipo di cucina: “Quella buona”.
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